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L’Fmi è tornato a lanciare un monito all’Italia, invitando il governo Meloni ad agire in misura più incisiva per ridurre il debito e il deficit del paese, in un momento storico in cui il destino dell’economia mondiale è ostaggio delle tensioni geopolitiche e dei venti di guerra. Venti di guerra che, a dispetto dei processi disinflazionistici in corso che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo alle banche centrali, rischiano di innescare nuove fiammate dei prezzi a causa di nuovi shock dell’offerta. E, dunque, di riportare il mondo di nuovo alle prese con la minaccia dell’inflazione, dunque di tassi di interesse più alti e, di conseguenza, di costi di servizio del debito più alti.

I nuovi avvertimenti sono arrivati con la pubblicazione dell’esito della missione in Italia lanciata dall’Fmi per monitorare le condizioni economiche e finanziarie del paese, effettuata in linea con quanto previsto dall’Articolo IV dello statuto del Fondo Monetario Internazionale. La missione, guidata da Rachel van Elkan, ha visto tra i partecipanti Aleksandra Babii, Aidyn Bibolov, Yan Chen, Gee Hee Hong, e Sylwia Nowak ed è stata lanciata il 6 maggio, giungendo alla sua conclusione ieri, lunedì 20 maggio, giorno in cui l’Fni ha pubblicato le sue conclusioni.

Il quadro emerso è quello di una economia che si è ripresa in modo significativo dalla crisi esplosa nel mondo con la pandemia Covid-19, ma anche di un paese che continua a essere fortemente indebitato e alle prese con conti pubblici che i governi di turno fanno puntualmente fatica a riuscire a risanare. Washington ha puntato il dito contro diverse misure che sono state annunciate nei periodi di crisi e che ora non hanno più ragione di esistere, in quanto “inefficienti e temporanee”, in primis contro il Superbonus, considerato in modo ormai ufficiale alla stregua di una vera e propria maledizione per il governo Meloni, tanto che di questa misura si è parlato anche degli effetti che rischierebbe di avere sui tassi dei BTP e dunque sullo spread BTP-Bund, per ora sotto controllo.

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Tra gli altri appelli, anche quello di focalizzarsi sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (PNRR), considerato da molti vero motore di crescita (e forse il solo?) per il Pil dell’Italia.

Il rafforzamento della produttività è stato definito “urgente”, in un contesto in cui l’economia fa fronte a rischi al ribasso. Le banche italiane sono state considerate nel complesso “solide”, ma l’Fmi ha avvertito anche che “i rischi che incombono sulla stabilità potrebbero salire, in una fase in cui i cicli di restrizione monetaria giungono a conclusione e in cui si smorzano gli effetti delle misure eccezionali di sostegno” all’economia varate negli ultimi anni, prima per rispondere all’emergenza pandemica del Covid-19, poi per tamponare gli effetti della crisi energetica esplosa con la guerra tra la Russia e l’Ucraina, nel 2022, sui conti delle famiglie e delle aziende. Tra le ricette auspicate dal Fondo, lo stop al Superbonus e aumentare anche l’età di pensionamento. Entrambe prescrizioni, sicuramente l’ultima, che non avranno fatto piacere affatto a molti italiani. Ma è questa la strada che l’Italia di Meloni, secondo l’organizzazione, dovrebbe prendere, per non impantanarsi ulteriormente nelle sabbie mobili del deficit e del debito pubblico.

“Un aggiustamento dei conti più veloce di quanto pianificato è giustificato al fine di abbassare il rapporto debito-Pil con grande fiducia, e per ridurre i rischi legati al rifinanziamento” dei debiti, si legge nel testo relativo alle conclusioni della missione del Fondo in Italia, a fronte degli effetti del Superbonus che, avverte l’Fmi, “aumenteranno ulteriormente il debito nei prossimi anni”.

Sebbene il deficit primario sia diminuito, la differenza con quel surplus primario dell’1,75% (rispetto al Pil) che ha prevalso nel periodo precedente alla pandemia rimane molto ampio, a causa della lenta rimozione delle misure temporanee varate nei momenti di crisi, nonostante la posizione di forza ciclica dell’economia”, quando invece secondo il Fondo, “per assicurarsi una flessione graduale del debito-Pil, sarebbe necessario un avanzo primario decisamente più alto, vicino al 3% del Pil”. Come fare? Secondo Washington riuscire a raggiungere un livello vicino a quel target entro il 2025-26 può essere possibile “con un costo mdoesto alla crescita ritirando in modo più veloce misure inefficienti o temporanee”, agire dunque tra le altre cose dicendo “stop ai sussidi elargiti per la ristrutturazione degli immobili e alle misure che sono state lanciate per compensare l’inflazione elevata” , a fronte di “un’attività protetta dall’incremento delle spese e delle riforme legate all’attuazione del PNRR”. A proposito del Superbonus, che ha costretto tra l’altro il governo Meloni a presentare un Def con tanto di sorpresa negativa del debito, il Fondo Monetario internazionale ha anche ridimensionato quel valore salvifico che il M5S continua a riconoscere alla misura da esso promossa.

“Lo stimolo alla crescita provenuto dai crediti di imposta dei bonus edilizi è stato probabilmente alquanto limitato rispetto alla dimensione delle risorse fiscali che sono state spese, a causa della fuga verso le importazioni, gli sconti significativi sulle fatture, l’aumento dei rpezzi nel settore dell’edilizia, dallo spazio che è stato tolto ad altri investimenti, dall’utilizzo improprio dei fondi pubblici, con lo stesso contributo (del Superbonus) all’attività reale che è anch’esso diminuito nel corso del tempo”.

Ma l’Fmi non ha messo in evidenza soltanto le inefficienze del Superbonus. Nel mirino anche “altre misure di sostegno attuali e del passato, che includono i prestiti con garanzie pubbliche, le misure per compensare il caro bollette, i trasferimenti effettuati durante il periodo della pandemia, che hanno supportato la ripresa nonostante le restrizioni monetarie” avviate dalla Bce. Ma per l’istituzione per l’Italia, oltre il breve termine, non è neanche sufficiente garantire che l’avanzo primario si avvicini al target del 3% del Pil.

“Al di là del breve termine, ulteriori risparmi creerebbero spazio per soddisfare le priorità fiscali e gli impegni da rispettare – recita il testo del documento -Nel mantenere un avanzo primario attorno al 3% del Pil per garantire un calo graduale del debito-Pil, ulteriori sforzi fiscali saranno richiesti per gli investimenti volti a rafforzare la produttività, per le pressioni latenti sulla spesa, in particolare per quelle legate all’invecchiamento della popolazione, e per creare quello spazio fiscale necessario in caso di un grave shock”. Tra i risparmi a cui il governo Meloni dovrebbe tendere, l’Fmi ha auspicato la sostituzione dei tagli del cuneo fiscale e dei sussidi a sostegno delle assunzioni con misure che sostengano in misura permanente la produttività del lavoro; lo snellimento ulteriore della spesa pensionistica attraverso l’aumento dell’età pensionabile effettiva ed evitando schemi di prepensionamento costosi; e il miblioramento dei controlli e la supervisione dei crediti fiscali in riferimento all’erogazione dei crediti del PNRR per gli investimenti digitali e green, richiedendo in modo esplicito autorizzazioni a priori, e monitorando in tempi reali gli ammontari ricevuti. L’Fmi ha auspicato anche l’annullamento del credito fiscale in assenza del pieno rispetto degli obiettivi stabiliti con il PNRR.

Riguardo al fattore crescita del Pil, il Fondo ha riconosciuto che “l’economia si è ripresa bene dagli shock della pandemia e dei prezzi energetici, grazie alla ripresa del turismo e alle misure di sostegno significative” varate dal governo. “Tuttavia, la crescita ha moderato il passo”. Inoltre, “pur contribuendo alla ripresa, la politica fiscale espansiva ha mantenuto i deficit e il debito pubblico a livelli molto alti, facendo alzare il premio sul rischio dell’Italia e frenando gli investimenti nel settore privato”. Guardando al futuro, “la crescita è attesa moderare il passo nell’arco dei prossimi anni, con il processo di disinflazione che continuerà. L’outlook – ha ricordato il Fondo Monetario Internazionale, che aveva già reso note le nuove stime sull’Italia, con il recente aggiornamento delle previsioni di qualche settimane fa – è di un Pil che salirà dello 0,7% nel 2024 e nel 2025 grazie all’accelerazione delle spese legate al PNRR che dovranno essere finalizzate entro la metà del 2026 e che compenseranno in gran parte il ritiro degli investimenti residenziali sostenuti dal Superbonus”. Successivamente – e queste previsioni alimentano il dubbio sul ritmo a cui il Pil dell’Italia crescerebbe in assenza della manna dal cielo arrivata con i fondi del Next Generation EU, “un rallentamento della crescita temporaneo potrebbe essere previsto nel 2026 e nel 2027 con il completamento del PNRR, e un rallentamento ancora più graduale manifestarsi se il periodo di spesa (dei fondi Ue) consentito venisse esteso”. Ancora più in là, afferma il Fondo, “la crescita dovrebbe tornare al suo potenziale, con il calo della popolazione in età lavorativa che sarebbe compensato da un aumento della produttività che si avrebbe lanciando gli investimenti e le riforme strutturali, dalla maggiore partecipazione alla forza lavoro e dal continuo assorbimento dei lavoratori stranieri”. L’inflazione headline è attesa dall’Fmi scendere a una media dell’1,7% nel 2024 per tornare poi al target del 2% nel 2025″. Nessun pericolo dal rafforzamento della crescita dei salari previsto per quest’anno e il prossimo, dal momento che le aziende dovrebbero assorbirne l’aumento soprattutto grazie all’espansione degli utili, assicurando dunque che l’inflazione core continui a moderare il passo.

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L’Fmi non ha lanciato un avvertimento ‘solo’ sulla traiettoria del debito e del deficit: un attenti è andato in direzione delle banche italiane, a dispetto della solidità confermata dalla pubblicazione recente delle trimestrali delle Big del settore. “Gli aggiustamenti alle condizioni finanziarie più rigide sono andati avanti senza problemi e il sistema bancario italiano rimane solido”, si legge nel paper, che ha tuttavia ricordato che il boom di redditività (e di dividendi) è stato sostenuto dai continui rialzi dei tassi dei tassi avviati dalla Bce di Lagarde, che ormai si sono fermati da un po’ (nessun rialzo dal settembre del 2023) e che lasceranno spazio ora all’era dei tagli dei tassi , per quanto le prospettive rimangano tuttora incerte.

Il Fondo ha ricordato anche che l’aumento dei tassi di interesse da parte della Bce si è “velocemente trasferito ai tassi dei bond sovrani (dunque ai tassi dei BTP) e ai tassi che le banche hanno imposto sui prestiti”. Per le banche, le conseguenze sono state “un ampliamento dei margini netti di interesse e la necessità minore di accantonare riserve per far fronte a perdite future sui crediti (NPL)”: fattori che hanno “fatto salire gli utili delle banche e che, insieme alla flessione degli asset ponderati per il rischio (RWA) hanno portato i ratio di capitali a livelli record”.

Inoltre, “sebbene gli alti costi di finanziamento abbiano provocato una flessione significativa dello stock di crediti erogati alle aziende, alcune azienda hanno attinto ai loro cuscinetti di liquidità e ai profitti per accelerare il rimborso dei prestiti”. Di conseguenza, “finora gli indicatori che misurano la qualità del credito (delle banche italiane) si sono erosi in modo solo marginale rispetto ai livelli solidi dell’inizio”. le “banche conservano inoltre una liquidità ampia anche se hanno ridotto la maggior parte delle passività di lungo termine dell’era pandemica nei confronti della Bce”.

Il punto, ha avvertito il Fondo Monetario internazionale, è che “la raccolta si è fatta più costosa, sulla scia dei rialzi dei tassi e della continua competizione per raccogliere i risparmi retail” con i bond governativi (riferimento al BTP Valore, che ha dirottato i risparmi degli italiani verso la sottoscrizione di questi titoli di stato italiani sottraendo dunque risorse alla raccolta bancaria). Inoltre, “sebbene i debitori siano emersi dai recenti shock della pandemia e dei costi energetici in condizioni finanziarie generalmente positive, i tassi di interesse ancora elevati e l’erosione dei cuscinetti di liquidità potrebbero provocare in futuro un indebolimento”.

L’Fmi ha accolto con favore la decisione di Bankitalia di lanciare la riserva anti-shock SyRB (“systemic risk buffer), ovvero il “cuscinetto di rischio sistemico”, sottolineando che l’introduzione di queste nuove disposizioni rafforzerà le banche italiane in vista di rischi futuri. Allo stesso tempo, Washington ha auspicato l’identificazione e la gestione di quelle aree di vulnerabilità che caratterizzano le istituzioni meno importanti, consigliando alle banche di lavorare per continuare a considerare prioritario lo smobilizzo dei crediti deteriorati e delle sofferenze

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