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Giovanni Toti difende se stesso e il “modello Genova” e il giorno dopo l’interrogatorio di otto ore davanti ai pm che lo accusano di corruzione per aver favorito alcuni imprenditori e voto di scambio per essere eletto, il governatore ligure non abdica ma prova a “riabilitarsi” con la richiesta di revoca degli arresti domiciliari. A più di due settimane dalla misura scattata lo scorso 7 maggio, il presidente della Regione Liguria tenta di tirarsi fuori dall’angolo, prima rispondendo per otto ore alle domande serrate del procuratore aggiunto Vittorio Miniati e dei pm Luca Monteverde e Federico Manotti, poi consegnando una memoria di 17 pagine che suona come un manifesto morale e politico, quindi rivendicando un ruolo pubblico a cui, in tanti, gli hanno chiesto di rinunciare. «Presto presenteremo l’istanza al gip di revoca della misura cautelare, ma non ho ancora deciso quando» spiega il difensore Stefano Savi. 

 

 

Tornare libero è la prima condizione per il confronto con una maggioranza che potrebbe portare alle dimissioni che, in tanti, chiedono a gran voce e che Toti sembra non volere. «Nel mio percorso politico ho sempre perseguito l’interesse pubblico» che si concretizza – scrive nella sua memoria – in un’apertura alle imprese che ha come «unica prospettiva la tutela dell’interesse collettivo». Ed è in questa chiave che va letta la volontà di modernizzare il porto di Genova, l’attenzione con cui monitora «e ove necessario sollecita il disbrigo delle pratiche, ovviamente nel pieno e trasparente rispetto della legge e delle procedure». Un’attenzione priva di discriminazione: tutti sono stati ascoltati, finanziatori del partito e non. È questa la sua difesa a oltranza. «Non ho mai travalicato le specifiche competenze degli enti e degli uffici preposti, mai ho ingerito nelle libere scelte e decisioni dei soggetti coinvolti mai ho fatto pressioni verso alcun soggetto, mai ho servito un interesse particolare in danno di quello collettivo». Una trasparenza rivendicata anche sotto il profilo dei conti. «Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica: nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale a me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati» sono le parole che consegna ai magistrati. 

 

 

La sua è stata una difesa alla sua morale e alla sua politica. In 17 dense pagine, in cui si dice pronto a collaborare per la verità sottolinea come «l’unica ragione del mio agire è stata quella di aiutare l’iniziativa privata per far crescere la Liguria» e come l’intervento nel porto sia stato solo per evitare guerre o contenziosi legali e bloccare un’attività che porta soldi nelle casse di Genova e dello Stato. Parole da governatore, di chi non vuole rinunciare, ma il destino politico di Toti, come quello giudiziario, è ancora tutto da decidere.

 

 

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