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Sempre più spesso all’agricoltura, e nello specifico al settore zootecnico, vengono addebitate grandi responsabilità in materia di inquinamento dell’aria, sia per ciò che riguarda la produzione di gas climalteranti sia per ciò che attiene la produzione di polveri sottili, adducendo a prova di ciò dati non sempre corretti o che necessitano di essere meglio illustrati.
La premessa è che tutti i comparti produttivi, a prescindere dal contributo emissivo di cui sono responsabili, debbono fare quanto ragionevolmente possibile per contenerlo; dunque, anche il settore agricolo e zootecnico si sono mossi in questa direzione, come dimostrano gli ingenti investimenti fatti in questi anni da moltissime aziende per acquisire strutture e tecnologie in grado di migliorare le loro performance ambientali.
Anzitutto occorre fare una riflessione su quello che oggi viene definito un allevamento industriale. In base alla legislazione vigente in Italia e alla direttiva Emissioni Industriali votata recentemente dal Parlamento europeo, tale è un allevamento con oltre 2000 suini all’ingrasso (di peso maggiore di 30 kg). In Cina a Hubei, a pochi chilometri da Wuhan, è stato recentemente costruito un allevamento di 26 piani destinato ad ospitare 600 mila suini, un numero di poco inferiore a tutti quelli allevati in Provincia di Cuneo.
Se ciò che avviene in altri stati non può essere addotto quale motivo per non cercare di migliorare i propri standard ambientali, è pur vero che in un mercato globale queste realtà sono i nostri competitori.

I dati

Con riferimento ai gas climalteranti, per intenderci quelli responsabili del cambiamento climatico, la zootecnia e, secondariamente, l’agricoltura, contribuiscono alla produzione di metano e protossido di azoto.
Per valutare quanto ciascun gas incide in percentuale sul totale delle emissioni climalteranti, è possibile convertire i valori di ciascuno di essi in un’unica “unità di misura” rappresentata dalla CO2 equivalente e, tenendo conto delle emissioni di ciascun comparto, attribuire ad esso il valore percentuale di contribuzione alla produzione di gas serra.
Per il settore zootecnico/agricolo in Italia si stima che nel periodo 1990-2020 le emissioni siano diminuite dell’11,4% e, con riferimento al Piemonte, che il contributo di questo settore incida del 10%, contro il 42% dell’industria, il 23% dei trasporti su strada e il 17% del riscaldamento.
Una delle emergenze ambientali della nostra regione e più in generale della Pianura Padana è senza dubbio quella della produzione di polveri sottili, ovvero del particolato (PM10 e il Pm2,5), dovuto in buona parte alla conformazione morfologica di questo territorio che, circondato dalla Alpi, favorisce il ristagno in atmosfera di queste particelle.
In questo caso al settore zootecnico viene attribuito un ruolo chiave nella produzione dell’ammoniaca, un gas precursore della formazione del particolato secondario, con valori percentuali del 95%.
A fronte di questo dato, pur nella consapevolezza che vi sono margini di miglioramento e che occorre in tal senso fare tutti gli sforzi ragionevolmente possibili per diminuire queste emissioni, la domanda che occorre porsi è quanto incide in percentuale sul totale delle emissioni di particolato.
I settori che da soli incidono in ragione indicativamente per il 70-80% (durante l’anno ci sono evidentemente variazioni significative) sono i trasporti e il riscaldamento, ai quali seguono agricoltura/zootecnia ed industria (dati ARPA e Regione Piemonte riferiti al 2010 dal Piano regionale Qualità dell’Aria).

La qualità dell’aria in Piemonte

Il Piano Stralcio Agricoltura, quale provvedimento attuativo dei principi ed indirizzi definiti dal Piano Regionale per la Qualità dell’Aria, ha rappresentato un passaggio dovuto ma gli obblighi imposti al settore zootecnico, con particolare riferimento alle disposizioni che occorrerà soddisfare entro il 31 dicembre 2025, presentano, in relazione a specifici aspetti, fattori di criticità non trascurabili.
A fronte dell’impegno per la sostenibilità dell’intero comparto produttivo agricolo – che, come certificato da Ispra, ha ridotto i livelli emissivi anche per quanto concerne l’ammoniaca – e dell’elevato grado di indeterminatezza che caratterizza gli scenari economici che si prospettano, la Coldiretti ha chiesto al governatore Alberto Cirio in un recente incontro con la Regione di individuare un approccio condiviso maggiormente sostenibile per tutte le parti in causa, passando ad una modalità basata sui principi di gradualità e reciprocità.
Un primo passo in questa direzione auspicato dalla Coldiretti è l’eliminazione dell’obbligo di copertura del cumulo in concimaia: la costruzione di nuove strutture imporrebbe degli investimenti economici difficilmente sostenibili per le imprese zootecniche, oltre ad avere un significativo impatto in termini paesaggistico-ambientali.



 

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