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Quest’anno ci sono importanti cambiamenti per quanto riguarda i fringe benefit, i voucher che le aziende possono concedere ai propri dipendenti per acquistare beni e servizi. Tra questi, un aumento della soglia di esenzione fiscale, che è passata da 258 euro ai 1.000 previsti con la legge di Bilancio 2024. In più, per i lavoratori con figli fiscalmente a carico, la soglia raddoppia, arrivando così a 2.000 euro.

Ma come funzionano questi contributi aziendali? Vanno richiesti oppure li concede autonomamente il datore di lavoro? Vediamolo insieme.


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Fringe benefit in busta paga, cosa sono e per chi valgono

I fringe benefit sono una misura di welfare aziendale che le aziende possono fornire o meno ai propri dipendenti per affrontare diversi tipi di spese. Sono quindi dei voucher, generalmente utilizzati per pagare visite mediche, coprire abbonamenti ai trasporti, utilizzare auto aziendali o comprare servizi e beni convenzionati (ad esempio gli elettrodomestici). Da circa un anno, poi, possono essere utilizzati anche per pagare le bollette di casa.

Il bonus è valido per dipendenti e assimilati, quindi non per i lavoratori autonomi, ma per i subordinati e i parasubordinati (come i collaboratori coordinati e continuativi, i Co.co.co). Non c’è alcuna distinzion, formalmente, tra lavoratori pubblici e privati. Ma tra i primi sono poco diffusi. La novità con l’ultima legge di Bilancio, in linea con interventi fatti negli ultimi anni (in primis dal governo Draghi) è la rimodulazione della soglia entro cui le aziende non pagano le tasse sui fringe benefit che concedono ai dipendenti.

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Per cosa si possono usare

Questi voucher possono essere assegnati dal datore di lavoro anche ad personam e vi rientrano i beni e i servizi utilizzati dal coniuge del lavoratore. Non c’è una modalità unica per fare domanda. Le aziende predispongono delle piattaforme telematiche o concedono delle carte ad hoc dove viene erogato il voucher. Per il pagamento delle bollette, però, bisogna dimostrare di averle pagate effettivamente e di averle a carico. 

Ma come possono essere usati questi fringe benefit? Dal pagamento di visite mediche all’acquisto di abbonamenti per i trasporti, passando per l’utilizzo di auto aziendali, sono moltissimi i modi per sfruttare questi bonus. Nello specifico, possono essere usati per:

  • pagare utenze energetiche;
  • pagare palestre e centri benessere;
  • prenotare viaggi;
  • acquistare smartphone;
  • pagare l’istruzione dei figli;
  • pagare l’auto aziendale;
  • ottenere vantaggi di natura finanziaria, come prestiti agevolati o partecipazione agli utili;
  • pagare assicurazioni o formule previdenziali particolari.

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Il contributo per gas e luce

Le utenze di gas, luce ed energia elettrica, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, devono riguardare immobili ad uso abitativo posseduti o detenuti, “sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, a prescindere che negli stessi abbiano o meno stabilito la residenza o il domicilio, a condizione che ne sostengano effettivamente le relative spese”.

Sono rimborsabili le stesse spese anche se si vive in un condominio, ma serve autocertificare l’avvenuto pagamento. Stessa cosa per chi è in affitto e nel contratto è chiarito che, nonostante le bollette siano intestate al proprietario, deve pagarle il locatario. L’azienda deve quindi accertare la spesa (può farlo a campione nel caso dell’autocertificazione) e poi concedere il rimborso al proprio dipendente.

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L’aiuto su mutuo e affitto

La novità più importante del 2024 è appunto quella dei rimborsi per coprire le spese relative alla casa, tra le quali il contratto di locazione o gli interessi sui mutui per la prima casa. Si tratta però di una misura sperimentale. Per gli affitti, almeno al momento, ci sono dubbi in relazione alle voci di spesa che possono essere considerati come fringe benefit. Non è ancora chiaro quali voci vi possono rientrare tra:

  • imposta di registro;
  • imposta di bollo;
  • Tari;
  • spese condominiali.

Spetterà all’Agenzia delle Entrate e ai ministeri competenti fornire indicazioni complete e precise sui costi che potranno essere coperte dai fringe benefit senza tasse. Discorso diverso, invece, è quello che riguarda i mutui. Ora è in vigore una norma del Testo unico delle imposte sui redditi, che ha stabilito che a concorrere alla somma da considerare come fringe benefit è la metà della differenza tra gli interessi che sono calcolati con il tasso ufficiale di riferimento della Bce e quelli che vengono invece calcolati attraverso i tassi agevolati dipendenti.

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Quali aziende concedono i fringe benefit?

Secondo il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, la platea dei lavoratori che sono coinvolti è circa del 17% dei dipendenti, cioè circa 3 milioni di persone su 18 milioni totali. Stime più realistiche parlano di circa 2,5 milioni di dipendenti privati e qualche migliaio nel settore pubblico. Tutto ciò a discrezione, in ogni caso, dei vertici delle aziende pubbliche e private e secondo accordi integrativi dei contratti nazionali.

Attualmente, infatti, hanno inseriti i fringe benefit direttamente nel loro Ccnl solo i metalmeccanici. Si tratta di 1,5 milioni di persone. Per le aziende che già hanno le piattaforme web necessarie a fare domanda sarebbe relativamente facile alzare la soglia di aiuto al lavoratore, anche se comunque i soldi non verrebbero rimborsati dallo Stato e quindi alcune società potrebbero decidere di non farlo.

I sindacati, poi, segnalano che i lavoratori preferirebbero di gran lunga aumenti stabili di contratto, anche tramite il taglio del cuneo fiscale al 100%. Nelle grandi società, come la pubblica Rfi, si possono poi “spostare” i soldi dei premi di produttività dalla busta paga per usarli come fringe benefit o per i servizi aggiuntivi che l’azienda concede ai dipendenti. In questo modo alcune aziende si potrebbero avvicinare alle nuove soglie esentasse. Per le società non hanno queste piattaforme, è difficile che ci saranno novità. Si tratta delle piccole e medie imprese e del settore pubblico.

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Cosa succede nella Pubblica amministrazione

Le pubbliche amministrazioni spendono del denaro per il benessere dei propri dipendenti, rimborsando protesi, visite e interventi sanitari, ma anche tasse di iscrizioni ad albi professionali, rette di asili nido, abbonamenti a mezzi pubblici e altre spese.

Tuttavia, come chiarisce l’Aran (l’agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni), le disposizioni contrattuali di livello nazionale demandano la concessione dei benefici di natura assistenziale e sociale alla contrattazione integrativa e solo in alcuni comparti. In tutto ciò la spesa complessiva è a carico del bilancio dell’amministrazione, nell’ambito di una soglia massima di spesa da non superare, spesso bassa. Tradotto, secondo un’analisi del 2017 della stessa Aran, i benefici pro capite vanno da 1 centesimo per i prefetti ai mille euro in alcuni enti locali, arrivando a circa 2mila euro solo nel caso delle autorità indipendenti.

I fringe benefit nel pubblico riguardano appena alcune migliaia di persone e solo nel 2021 è stato firmato un accordo da governo e sindacati, chiamato “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico”, per tentare di stimolarne l’utilizzo nella Pa. Chi già beneficia di voucher, se i fondi a disposizione lo permetteranno, potrà quindi ricevere il prossimo anno fino a mille o duemila euro, ma a discrezione dei manager pubblici che dirigono le singole amministrazioni e sotto l’egida di Comuni, Regioni e ministeri di competenza.

Per dare fino a 2mila euro a tutti i dipendenti statali, servirebbero in teoria qualche miliardo di euro. Soldi che al momento non sono stati stanziati. Quindi i lavoratori di scuola, sanità ed enti pubblici che non hanno già oggi i fringe benefit per lo più non vedranno questo “bonus” aggiuntivo.

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