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Il presidente della Comece e vescovo di Latina racconta ai media vaticani l’udienza con il Pontefice e fa il punto sulla situazione in Europa. Dopo le elezioni l’Ue è più debole, anche se il quadro politico non è sostanzialmente mutato. Per i nuovi vertici serve continuità, ma anche una nuova iniziativa politica, soprattuto per le iniziative di pace. Sul caso del bracciante lasciato morire: è frutto di una mentalità che considera gli immigrati meno di un uomo

Michele Raviart – Città del Vaticano

Un’Unione Europea debole, ma sempre più necessaria è quella che emerge dall’udienza di Papa Francesco di oggi, 22 giugno, con gli otto membri della Presidenza della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea, riuniti nella Comece. Un incontro che arriva a pochi giorni dalle elezioni europee, il cui risultato è stato uno dei temi di discussione, insieme alla pace e al commercio di armi. A raccontarlo, ospite degli studi di Radio Vaticana – Vatican News è monsignor Mariano Crociata, presidente della Comece e vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno.

Eccellenza, come è andata l’udienza dal Papa?

È stato un incontro come al solito, ma mi verrebbe da dire anche più del solito, molto disteso e molto franco su tutte le questioni principali di cui ci occupiamo. Siamo ovviamente partiti dalle elezioni e abbiamo toccato, come era inevitabile ahimè, il tema delle guerre e poi dell’attività della stessa Comece nella sua vita ordinaria, in questa fase in cui comincia una nuova tappa, un nuovo quinquennio, dopo le elezioni europee che si sono svolte poche settimane fa…

Che cosa si aspetta il Papa dall’Unione Europea e dai suoi vescovi?

Il Papa guarda con molto realismo la situazione, nel senso che vede, anche dopo queste elezioni, un’Europa debole e tuttavia un’Europa necessaria, perché, come ha scritto del resto in altre circostanze, l’eredità, il patrimonio culturale, umano, tecnico, storico che ha alle spalle la rende unica nel contesto dell’umanità. Il mondo ha bisogno di Europa, ha scritto. E quindi è con dispiacere che si constata questa debolezza che in qualche modo le elezioni hanno confermato o addirittura accresciuto, seppure il quadro politico non sia stato stravolto. E quindi è un invito a lavorare… Il Papa si aspetta che anche noi ci impegniamo nel nostro ambito di competenza, che è quello di intavolare un dialogo, far giungere sollecitazioni, pareri, relazioni su temi specifici e sollecitare, perché davvero l’Europa svolga il suo compito, assuma il suo ruolo e si prenda le sue responsabilità facendole valere nel contesto internazionale, soprattutto in una fase così complicata come questa.

Siamo a poco più di una settimana dalle elezioni per il Parlamento Europeo. Due sono state le tendenze: sia uno spostamento verso alcuni estremismi in molti Paesi d’Europa importanti come la Francia e Germania, sia l’astensionismo. Che giudizio dà la Comece a quello che è avvenuto nelle urne?.

Diciamo innanzitutto che è stato un esercizio ancora una volta confermato e sostanzialmente riuscito di democrazia e una prova che la democrazia è viva in Europa. Certo, queste caratteristiche che lei ha notato e che tutti rileviamo, vedono anche degli aspetti di difficoltà che l’Europa attraversa appunto per quella debolezza, o per l’effetto di quella debolezza di cui si diceva prima. La nostra valutazione è articolata, direi. Come accennavo prima c’è la conferma di un quadro tutto sommato stabile perché la maggioranza precedente viene mantenuta. C’è una crescita delle ali estreme soprattutto della destra, ma la complicazione sta nel fatto che curiosamente nei paesi dell’Est, dove la destra era forte, altre forze si sono espresse e non è cresciuta così tanto. Al contrario nell’Europa occidentale, come la Germania e la Francia, la destra si è fatta sentire ed è cresciuta. Quindi la situazione è in movimento e richiede un’attenta valutazione e un attento accompagnamento. La speranza è che si ritrovi un equilibrio tale da indurre tutti a portare il proprio contributo ad una maggioranza il più possibile solida e il più possibile forte, perché senza unità e senza la forza della Commissione e dell’orientamento dell’Unione europea nel suo insieme difficilmente il cammino della stessa Unione europea sarà davvero di crescita di sviluppo e di capacità di affrontare i nodi sempre più complessi che sono dinanzi.



L’intervista a monsignor Crociata negli studi di Radio Vaticana

Almeno in Italia c’è stato un forte astensionismo, per la prima volta il tasso di partecipazione è stato inferiore al 50%. C’è conoscenza sufficiente di quello che fa l’Unione europea. Non parlo solo per l’Italia, ma in generale negli Stati membri, per il cittadino comune, per il cittadino che non è esperto o appassionato di politica?

La questione è più vasta, nel senso che l’elemento della valutazione della conoscenza di ciò che fa l’Unione europea incide, ma non è l’unico fattore di scontento o di disinteresse. C’è un fenomeno più complessivo di difficoltà a coinvolgersi e a seguire questioni che non siano quelle di immediato interesse nella vita della maggior parte dei cittadini. In questo non è di aiuto il fatto che spesso la stessa tornata elettorale europea, ogni cinque anni, sia utilizzata soprattutto per polemiche, confronti o campagne elettorali che hanno una valenza soprattutto nazionale. Naturalmente interviene anche il fatto che l’opinione pubblica in generale non si sente interpretata e capita dall’Unione europea perché la percezione è che si tratti di una forza piuttosto anonima e lontana, che decide sulla testa dei popoli e della gente e non aiuta a risolvere problemi concreti che ciascuno di noi si trova ad affrontare. Questo ha la sua parte di verità, nel senso che spesso l’Unione Europea vive dinamiche autoreferenziali, autonome nel confronto con le questioni che poi affronta realmente, tuttavia non in modo tale da riuscire a comunicare veramente ciò che intende fare. D’altra parte è davvero complicato per i comuni cittadini arrivare a questo livello di attenzione. ed è invece ciò di cui ci sarebbe bisogno è proprio cominciare ad interessarsi e non ragionare più di una cosa di cui si parla e si discute termini di liste nazionali, ma di liste europee. Già questo sarebbe un modo per entrare in un rapporto con l’Unione europea di tipo diverso, perché in fondo la cosa che si pensa il più delle volte da parte di opinioni pubbliche così allontanate da tanti fattori di politica locale o di comunicazione non sempre efficiente, è che in fondo non valga la pena votare e che non ci sia nulla da fare. Invece il punto da capire e da far capire è che invece c’è la possibilità di incidere. Questo però non lo si avverte e da questo punto di vista dovremmo fare molto noi come Comece abbiamo una grande responsabilità in questo senso in quanto delegati, ma insieme a noi le stesse conferenze episcopali e le stesse chiese locali dovrebbero essere interessate, e a volte si fa difficoltà a operare in questa direzione.

In questi giorni si stanno consultando i vertici europei per il rinnovo delle cariche apicali, il presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo, Alto Commissario per la Politica estera. In che cosa la Comece chiede continuità e in che cosa vorrebbe discontinuità rispetto al mandato appena terminato?

Noi non lavoriamo in termini di valutazione politica. È chiaro che l’istituzione come tale ha bisogno di continuità, però ha anche bisogno di una componente di innovazione di nuova iniziativa perché quello che sembra mancare, a proposito di Europa debole, è una capacità di incisività, di influenza effettiva da parte dell’Europa nelle grandi questioni che poi si intrecciano tra interno ed esterno nel mondo di oggi. Passa l’immagine, a volte anche la realtà di un’Unione europea che va al traino o comunque decide come può su questioni su cui poi invece altri danno, per così dire, la linea. Da questo punto di vista credo che questo sia auspicio di tutti, perché alla fine l’interesse generale è che l’Unione europea maturi una capacità politica di iniziativa che affronti realmente i problemi. Pensiamo anche all’enormità di problemi interni, o con rilevanza interna considerevole, come la questione sociale, delle condizioni sociali dei cittadini nella varietà delle situazioni dei vari Paesi o all’interno dei vari Paesi, come la questione delle migrazioni. Si è fatto e si sono fatti dei passi, ma ancora mi pare che abbiamo bisogno – e la contingenza politica non sembra aiutare molto – di una volontà di affrontare la questione per darvi un indirizzo davvero decisivo… Non diciamo una sua soluzione, ma un orientamento che ridoni davvero un po’di equilibrio all’interno dei nostri Paesi, nel rapporto tra i Paesi con i Paesi di provenienza degli immigrati qui da noi. Quindi direi che c’è bisogno di continuità, ma c’è bisogno non meno di discontinuità di iniziativa politica nuova, in senso lato.

Lei ha parlato di immigrazione ha parlato di questioni sociali ha parlato di rapporto fra Unione europea e Stati membri. Lei è anche vescovo di Latina, non posso non chiederle un commento su quanto avvenuto nei giorni scorsi proprio nel territorio della sua diocesi, quando il bracciante Satnam Singh, è stato ferito con un braccio amputato, lasciato davanti la sua casa lì asciato morire invece di essere portato in ospedale…

Ho cercato di dirlo anche in un comunicato che ho sentito di fare pur non volendo, sinceramente, moltiplicare parole che alla luce dei tanti fatti successi, rischiano davvero di apparire inutili. Però era doveroso. Ho detto fondamentalmente due cose. Ho sperimentato che le istituzioni in questo campo si sono adoperate e si adoperano in maniera crescente, però si vede che ancora non basta e c’è bisogno di un controllo maggiore su questi mondi di lavoro, soprattutto della terra.  Lavori che richiedono lavoratori stagionali o lavoratori immigrati, magari continuativi e tuttavia non sempre in condizioni dii garanzie lavorative e di sicurezza come si dovrebbe. Qui ci vorrebbe uno sforzo maggiore di quello che già si sta facendo e si è fatto. Ma la cosa non meno grave e drammatica che ho voluto dire è che la percezione di una condizione umana e morale in generale -poi la vicenda concreta sarà valutata da chi ha competenza e titolo per farlo – che è l’immagine di una perdita totale di senso di umanità. Non ritengo che in questo si debba fare clamore sul caso, perché il singolo caso, questo singolo caso estremo, drammatico riflette una insensibilità diffusa. Noi pensiamo che un immigrato alla fin fine non sia un essere umano come noi, degno di attenzione e di cura quando sta male. Ho detto anche che lo usiamo come un oggetto cioè per noi sono delle cose che servono ad uno scopo, non sono persone da trattare con rispetto e di cui prendersi cura, soprattutto quando c’è bisogno ed estremo bisogno. Quindi per me è un segnale di allarme più generale sul livello della sensibilità umana e del senso morale collettivo. Mi spiace dire questo, ma è di questo che si tratta, èerché forse un certo modo di parlare dei migranti alla fine legittima l’idea che un migrante, un lavoratore occasionale, può essere trattato come un essere non umano, meno che umano. E questo cresce con una mentalità e discorsi che si diffondono, non è una cosa improvvisa o isolata. Considerarla una cosa improvvisa, isolata è un modo per sgravarsi la coscienza, ed è un modo di sentire molto diffuso e questo è molto grave. Secondo me su questo c’è un compito educativo, di senso civico e di senso di umanità che deve essere coltivato e accresciuto.

Lei ha detto, analizzando quello che è il lavoro della Comece, che c’è il rischio che in Europa su alcuni temi la linea venga dettata da altri al di fuori delle istituzioni europee. Tra questi pernso quelli affrontati dalla Comece sul diritto alla vita, sull’intelligenza artificiale, in un certo qual mondo anche la pace…

Su questi tre grandi temi c’è da dire che l’Unione europea ha un atteggiamento direi differenziato e articolato che riflette sensibilità diverse che si cumulano all’interno, come del resto anche naturale in un contesto pluralistico e democratico, però senza avvedersi delle contraddizion, della problematicità della differenza di posizioni. Riguardo all’intelligenza artificiale bisogna dire che l’Unione europea ha elaborato uno dei documenti più articolati e più minuziosi e all’avanguardia, quindi da questo punto di vista c’è un’attenzione molto evoluta, molto progredita. Diversa la questione quando parliamo della pace perché sui due principali versanti su cui si articola nel dibattito che colgo, quello della difesa comune e del pericolo rappresentato dall’invasione e dall’ aggressione da parte del governo russo nei confronti dell’Ucraina e quello dell’azione diplomatica dell’iniziativa di pace attraverso la promozione di colloqui e dialoghi a tutti i livelli, sembra – parlando ancora di debolezza – che l’Unione europea non riesca ad esprimere un’iniziativa capace di farsi notare e di incidere anche nel rapporto con altri soggetti internazionali nel contesto geopolitico globale. Questo è dunque un’altra cosa che va notata e che dice appunto come sia cruciale la forza politica che viene dall’unità o dalla convergenza delle forze politiche che l’Unione europea dovrebbe maturare ed esprimere.

Tutt’altra questione invece quella dell’aborto e delle questioni della vita, della famiglia o se vogliamo anche della demografia con la differenza che queste questioni presentano tra loro. Qui è in atto un’azione di tipo di tipo ideologico perché l’insistenza – sebbene la competenza dell’Unione su questo non sia diretta – ma l’insistenza di forze politiche significative e numerose, di tentare di portare nella Carta dei diritti dell’Unione Europea l’aborto è qualcosa che veramente impressiona. Perché? Come se uccidere una vita possa essere considerato un valore, un valore di primo piano, un valore direi quasi assoluto, tanto da valere come diritto fondamentale. È qualcosa che veramente ad una riflessione attenta non si capisce, pur nel rispetto delle donne, dei drammi che vivono e della considerazione assoluta che bisogna avere della donna, della sua libertà e però anche della maternità che rimane un riferimento, un compito, una missione fondamentale e una vocazione per la donna. Dunque da questo punto di vista è impressionante, si rifletteva anche oggi un po’ su questo, e fa pensare che tra il commercio delle armi – poi la questione non va affrontata con ingenuità e ci vuole realismo e considerazione –  per non parlare poi la questione del fine vita, la questione dell’aborto sembra che le preoccupazioni fondamentali vadano contro la vita piuttosto che a favore della vita. Questo fa pensare molto. Credo che bisognerebbe trovare il modo e le sedi per riflettere con pacatezza su queste cose perché l’impressione che si ha e che si fa presto a parlare di diritti e guai a chi li mette in discussione, ma la vita è un valore. Senza andare contro nessuno è il primo valore. Tolto questo valore, tutto il resto non vale più nulla o rischia di perdere ogni significato, se non poi secondo le mode, i capricci o quelli che sono gli interessi del momento che possono poi prevalere nella società. È qualcosa su cui riflettere attentamente io non ho da giudicare nessuno ma è un invito a riflettere attentamente.

 

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