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Con circolare del 24 aprile 2020, l’ABI chiarisce che i crediti garantiti al 100% dal Fondo PMI non possono essere utilizzati per compensare vecchi prestiti o scoperture di conto corrente.

Poniamo il caso che una piccola impresa faccia richiesta alla propria banca di un finanziamento coperto da garanzia pubblica al 100%, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. m) o, in via sussidiaria e alternativa, dell’art. 1 del D.L. 23/2020 – c.d. decreto liquidità./p>

Poniamo, inoltre, che l’istituto proceda effettivamente all’erogazione di quanto richiesto, in ipotesi € 25.000, e che – tuttavia – le somme erogate vengano utilizzate in tutto o in parte per la ristrutturazione di un precedente debito a carico dell’impresa, collegato ad esempio ad un pregresso affidamento in conto corrente o ad un leasing o ad altre forme di finanziamento aziendale.

Ci si chiede, dunque: sarebbe legittimo tutto ciò?

Sarebbe legittimo, cioè, se un istituto bancario utilizzasse le garanzie pubbliche concesse in base alla normativa di cui al d.l. 23/2020 per consolidare precedenti esposizioni debitorie della propria utenza?

Tali quesiti appaiono quanto mai attuali, alla luce del fatto che sono già numerose le richieste di finanziamento garantito inoltrate da micro, piccole e medie imprese nei confronti degli istituti di credito presso cui le imprese stesse risultano già clienti; non è quindi affatto escluso che le banche, prese d’assalto con richieste di nuovi finanziamenti, possano approfittare (e, in effetti, ciò è già avvenuto) della garanzia statale per sanare e coprire pendenze pregresse.

La questione, alquanto controversa, è stata recentemente affrontata dall’Associazione bancaria italiana (ABI) e risolta in senso negativo, con esplicita esclusione, in ogni caso, della legittimità di tali pratiche.

1. Perché, in base al decreto liquidità, non sono legittime operazioni di ristrutturazione del debito bancario con garanzia SACE al 100%

Ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. g) del D.L. 23/2020la garanzia copre nuovi finanziamenti concessi all’impresa successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, per capitale, interessi ed oneri accessori fino all’importo massimo garantito”.

Inoltre, in base a quanto stabilito dalla lett. n) della medesima disposizione di legge “il finanziamento coperto dalla garanzia deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria”.

In base alle disposizioni citate, dunque, i finanziamenti garantiti al 100% da parte di SACE s.p.a. devono essere “nuovi” e destinati a ben specifiche finalità quali i costi del personale e gli investimenti in stabilimenti produttivi e in attività imprenditoriali.

Appare dunque evidente come esuli da tali obiettivi un’eventuale destinazione a copertura delle precedenti debitorie bancarie delle somme erogate, perlomeno laddove la copertura pubblica concessa da SACE s.p.a. sia richiesta a protezione integrale del nuovo finanziamento.

È bene precisare che né il soggetto erogatore né il soggetto beneficiario dei suddetti finanziamenti potrebbero di loro iniziativa derogare a tali previsioni normative, risultando queste ultime espressione di un interesse pubblico superiore alla volontà delle parti e costituito dalla “straordinaria necessità ed urgenza di prevedere misure in materia di continuità delle imprese, di adempimenti fiscali e contabili, di poteri speciali nei settori di rilevanza strategica, di disciplina dei termini nonché sanitarie”, così come espressamente previsto in premessa dal Decreto Liquidità.

Pertanto, a nulla varrebbe il consenso dell’impresa finanziata in caso di destinazione delle nuove somme erogate (garantite al 100% da parte di SACE s.p.a.) a copertura di precedenti esposizioni debitorie. Una tale operazione finanziaria risulterebbe, in ogni caso, contra legem derivandone, come diretta conseguenza, la nullità della garanzia pubblica di cui al d.l. 23/2020, art. 1, concessa a copertura del finanziamento de quo.

A parere dello scrivente ciò significa, tra l’altro, che sarebbe decisamente contraria agli interessi degli stessi istituti bancari l’operazione di indirizzare i menzionati nuovi finanziamenti ad operazioni di ristrutturazione dei debiti della propria clientela. Tale garanzia verrebbe, infatti, automaticamente meno sicché SACE s.p.a. potrebbe legittimamente contestare qualunque suo obbligo, nei confronti della banca, nel momento in cui il debitore principale dovesse risultare inadempiente.

Non è inoltre escluso che le imprese beneficiarie del finanziamento garantito potranno, nelle ipotesi suddette, formulare loro specifiche contestazioni contro gli istituti di credito.

Stante, infatti, la gravità dell’attuale situazione finanziaria ed economica collegata all’emergenza epidemiologica in corso, le imprese si pongono in una situazione estremamente fragile, talvolta di vera e propria sudditanza nei confronti dei soggetti chiamati ad erogare liquidità. In tale contesto, le banche rivestono un ruolo fondamentale, essendo state investite – da parte del Governo – di responsabilità fondamentali per la tenuta del tessuto sociale ed economico della classe imprenditoriale italiana.

Approfittare di tale posizione di responsabilità e privilegio risulterebbe dunque particolarmente discutibile, potendosi dare – nelle ipotesi più gravi – casi di sfruttamento dello stato di bisogno del soggetto debole del rapporto, con inevitabili conseguenze di natura civile (ad es., ex art. 1448 c.c.) e penale (ad es., ex art. 644, comma 4, c.p.).

2. Perché, per ABI, i nuovi finanziamenti garantiti al 100% dal Fondo PMI non possono essere utilizzati per consolidare precedenti esposizioni bancarie. Critica

Mentre risulta piuttosto chiara la normativa con riguardo ai prestiti garanti da SACE s.p.a., più complesso appare il discorso relativo ai prestiti coperti dal Fondo di garanzia per le PMI.

Infatti, le disposizioni summenzionate (art. 1, comma 2, lett. g ed n del D.L. 23/2020) si applicano, appunto, alla sola garanzia SACE e non anche a quella prevista con copertura del Fondo PMI. Peraltro, è questa seconda garanzia quella più rilevante, perlomeno per le micro, piccole e medie imprese.

A fugare (solo parzialmente) i dubbi in merito a tale specifica questione è recentemente intervenuta l’Associazione bancaria italiana (ABI), la quale, con circolare del 24 aprile 2020, ha dato un’interpretazione chiarificatrice dell’art. 13 comma 1, lettera m) del d.l. 23/2020, il cui oggetto è, appunto, la  copertura al 100 percento dei i nuovi finanziamenti in favore di PMI e di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni la cui attività d’impresa è stata danneggiata dall’emergenza COVID-19.

Tali finanziamenti devono, in particolare, prevedere che:

  • l’inizio del rimborso del capitale non avvenga prima di 24 mesi dall’erogazione e abbiano una durata fino a 72 mesi;
  • l’importo non sia superiore al 25% dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario, come risultante dall’ultimo bilancio depositato o dall’ultima dichiarazione fiscale presentata alla data della domanda di garanzia ovvero, per i soggetti beneficiari costituiti dopo il 1° gennaio 2019, da altra idonea documentazione, come autocertificazione;
  • l’importo erogato non possa comunque essere superiore a 25.000 euro.

In ragione di tali previsioni, la conclusione dell’ABI è che la norma preveda espressamente che la garanzia venga rilasciata solo a fronte di nuovi finanziamenti.

Si ha un nuovo finanziamento quando, “a seguito della concessione del finanziamento coperto da garanzia, l’ammontare complessivo delle esposizioni del finanziatore nei confronti del soggetto finanziato risulta superiore all’ammontare delle esposizioni detenute alla data di entrata in vigore del decreto, corretto per le riduzioni delle esposizioni intervenute tra le due date in conseguenza dal regolamento contrattuale stabilito tra le parti prima dell’entrata in vigore del decreto legge ovvero per decisione autonoma del soggetto finanziato.

Per l’Associazione bancaria, dunque, tenuto conto della definizione di nuovo finanziamento stabilita dall’art. 13 del decreto liquidità, tale finanziamento non potrebbe essere utilizzato per compensare alcun prestito preesistente, sia nella forma di scoperto di conto sia in altra forma di prestito.

Infatti, secondo l’ABI, la compensazione determinerebbe un avvio del rimborso del capitale prima dei 24 mesi, facendo decadere la garanzia pubblica.

La circolare dell’ABI è solo parzialmente condivisibile.

Resta infatti da capire come l’interpretazione proposta dall’associazione bancaria possa essere contemperata con la libera scelta economica del soggetto finanziato, il quale – in autonomia – ben potrà operare la scelta di risolvere vecchie pendenze in virtù dei nuovi finanziamenti garantiti, allorché ciò risulti funzionale a risolvere l’attuale crisi di liquidità.

A parere di chi scrive, inoltre, la circolare dell’ABI potrebbe applicarsi esclusivamente ai casi in cui vi sia contestualità fra erogazione del nuovo finanziamento e l’utilizzo dello stesso per la copertura di vecchie pendenze. Solo in tali specifiche ipotesi, infatti, non sarebbe rispettata la norma nella parte in cui è richiesto che “l’ammontare complessivo delle esposizioni del finanziatore nei confronti del soggetto finanziato risulta superiore all’ammontare delle esposizioni detenute alla data di entrata in vigore del decreto”.

In tutti gli altri casi – allorché, cioè, non vi sia contestualità temporale di movimentazione finanziaria fra “nuovo finanziamento” e copertura della “vecchia esposizione”; oppure allorché l’istituto erogatore risulti differente rispetto a quello titolare del credito pregresso – non potrà esservi la decadenza della garanzia pubblica e, soprattutto, non potrà escludersi il periodo di preammortamento di 24 mesi relativamente al nuovo finanziamento.

In altre parole, ciò che conta affinché il finanziamento sia ritenuto “nuovo” ai sensi della norma, è che esso implichi un incremento netto delle esposizioni detenute dall’impresa finanziata alla data di entrata in vigore del decreto. Come poi il soggetto beneficiario del nuovo finanziamento vorrà disporre di tali somme in un momento successivo (anche di pochi giorni) rientra nella libera scelta economica del soggetto stesso, non sindacabile né da ABI né dal Fondo di garanzia.

3. Perché, ai fini della rinegoziazione e della ristrutturazione del debito bancario, la norma di riferimento rimane l’art. 13, comma 1, lett. e), d.l. 23/2020

Quanto finora evidenziato non esclude affatto che banche e imprese possano individuare una strategia comune finalizzata a rinegoziare e ristrutturare il debito sulla base di una adeguata garanzia pubblica.

È lo stesso articolo 13 del D.L. 23/2020 a predisporre lo più strumento adatto. Ci si riferisce, in particolare, al comma 1, lett. e) di tale disposizione: la norma prevede una copertura diretta nella misura dell’80% e del 90% in caso di riassicurazione sui finanziamenti a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito del soggetto beneficiario, purché il nuovo finanziamento consenta l’erogazione al medesimo soggetto beneficiario di credito aggiuntivo in misura pari ad almeno il 10% dell’importo del debito già accordato ed oggetto di rinegoziazione.

A parere dello scrivente, tale disposizione costituisce lo strumento principe in base al quale risulta possibile che i soggetti erogatore e beneficiario delle somme finanziate possano avvalersi delle tutele predisposte dalla disciplina emergenziale di cui al decreto in questione per operazioni di ristrutturazione del debito. Certamente le condizioni stabilite dal comma 1, lettera e) della disposizione in commento appaiono parzialmente meno vantaggiose di quelle, ad esempio, previste dalla lettera m) del medesimo articolo (prevedendo una garanzia massima al 90% e con obbligo di istruttoria e valutazione del merito creditizio). Tuttavia, è questa la strada più indicata per progettare un’ampia e generale sanatoria delle pendenze debitorie pregresse.

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