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Con la sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione ha affrontato in maniera chiara, inter alia, la questione relativa alla qualifica della relazione tra contratti di mutuo e di ausilio in presenza di rapporto di credito agevolato. Il Supremo Collegio ha evidenziato la natura accessoria di tale legame, ponendo in luce come, dinanzi alla risoluzione del primo, anche il secondo debba necessariamente venir meno.

In particolare, è opportuno sottolineare come i ricorrenti, originari beneficiari di un mutuo agevolato caratterizzato da un contributo in conto interessi ad opera del Ministero per le attività produttive e precedentemente obbligati a rimborsare l’intero ammontare del citato mutuo oltre a interessi moratori e spese del giudizio a seguito di pronunce non favorevoli in primo e in secondo grado (in cui era stato accertato il mancato inizio dell’attività industriale in relazione al quale il finanziamento era stato concesso) hanno adito la Suprema Corte con una pluralità di motivi di ricorso. Dopo aver evidenziato l’infondatezza delle eccezioni di inammissibilità per tardività della notifica e di inammissibilità del ricorso per allegata assenza di motivi idonei ad evidenziare il “fatto decisivo controverso”, la Cassazione ha considerato infondata la prima censura mossa dai ricorrenti, volta a sottolineare violazione e falsa applicazione della l. 64 del 1986 ed insufficiente e contraddittoria motivazione. Viene infatti posto in rilievo come non sia stato “evidenziato un significativo e determinante inadempimento dell’istituto finanziatore”, mentre la risoluzione di entrambi i rapporti sia “senza dubbio alcuno da ascrivere al comportamento inadempiente” del mutuatario, resosi “inadempiente all’obbligo di pagare gli interessi di preammortamento, ovverosia i frutti civili maturati sulle somme corrisposte prima dell’erogazione a saldo del finanziamento pattuito”, unito alla “mancata attuazione di attività produttiva”, con conseguente legittima risoluzione del contratto di mutuo e successiva revoca del contributo in conto interessi ad opera del Ministero. Il Supremo Collegio, ricollegandosi ad un orientamento giurisprudenziale (SS.UU. 13046/1997; Cass. 1400/1999), ha posto infatti in luce che “la concessione di un cd. credito agevolato presuppone la nascita di un rapporto principale, instaurato tra l’istituto finanziario erogatore ed il privato, e di un rapporto secondario, che intercorre tra l’ente pubblico ed il detto istituto. Il primo rapporto integra gli estremi del mutuo di scopo […]. Il secondo rapporto è, invece, rappresentato da una convenzione (comunemente detta di ausilio) diretta a regolare l’obbligazione nei confronti dell’istituto finanziario”. Il collegamento tra i due rapporti risulta definito di natura accessoria e, di guisa, “stante il vincolo di accessorietà che lega il contratto di ausilio a quello di mutuo, non è possibile che, a fronte della risoluzione di quest’ultimo, possa restare in vita solo il primo”.

In aggiunta, la Cassazione ha rigettato altresì il secondo motivo, con cui è stata denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 183.7 e 356 c.p.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione per il negato ingresso di mezzi di prova, ad opera della Corte d’Appello, considerati connotati dal criterio della “decisività” da parte dei ricorrenti, visto che, come sottolineato dal Supremo Collegio, è necessario espletare una valutazione di “indispensabilità” (ai sensi della versione previgente del comma 3 dell’art. 345 c.p.c., applicabile ratione temporis), implicando, di conseguenza, “la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale”, con decisione discrezionale dell’organo giudicante.

Infine, non hanno trovato accoglimento il terzo e quarto motivo di ricorso, con denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del contratto di mutuo e dell’art. 15 del d.P.R. n. 7 del 1976, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, per una pluralità di ragioni, tra cui l’impossibilità di ricondurre “la violazione di norme di diritto comune […] alla violazione di “norme di diritto”, oggetto della previsione dell’art. 360 n. 3 c.p.c.” e il mancato ossequio del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e del carattere limitato del mezzo di impugnazione, data l’assenza di specifici elementi e circostanze rispetto a cui è stato invocato il controllo di legittimità.

 

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