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Post di Alessandro D’Arpa, chief product and data officer di Credimi

La pandemia ha accelerato la digitalizzazione delle imprese: secondo uno studio di Markets and Markets di febbraio, la spesa per la digitalizzazione in ambito aziendale passerà da 521 a 1.250 miliardi di dollari a livello globale entro il 2026, con un incremento medio anno su anno del 19%. Anche in Italia le imprese stanno cercando di restare al passo con la digitalizzazione, non senza qualche difficoltà dovuta principalmente al fatto che il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è formato per più del 90% da aziende piccole e medie.

Tuttavia, durante la pandemia proprio queste imprese, hanno iniziato ad avviare un processo di digitalizzazione come una via per sopravvivere ad un lungo periodo di crisi. Nel 2021, secondo il Rapporto Istat, il 60,3% delle piccole e medie imprese italiane (Pmi) ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale e le Pmi, ove possibile, hanno avviato canali di online shopping per non interrompere le vendite.

Buono anche l’utilizzo del canale fintech per richiedere i prestiti garantiti dallo Stato (basti pensare che solo noi di Credimi abbiamo ricevuto oltre 48mila domande di finanziamento nel 2021). Guardando questa fotografia si può dire che qualcosa sta cambiando, siamo di fronte a un contesto economico difficile ma che ha effettivamente creato anche un’opportunità e un momento di svolta. È importante però che questa opportunità venga trasformata in un vantaggio concreto.

La situazione in Italia: Pmi poco digitalizzate

Nonostante questa grande voglia di digitalizzazione in Italia, per quasi due aziende su tre (il 63%) l’infrastruttura digitale resta un problema concreto. Secondo il DESI (Digital Economy and Society Index), l’indice ideato dalla Commissione Europea per misurare i progressi compiuti dai Paesi UE in termini di transizione digitale, la digitalizzazione delle pmi in Italia è a livelli inferiori alla media europea, anche se nel 2021 l’Italia si è collocata al 20esimo posto fra i 27 Stati membri dell’UE, rispetto al 25esimo dell’edizione precedente. Una posizione ancora molto bassa che indica come non ci sia stata alcuna “rivoluzione digitale” portata dalla pandemia. Uno dei nodi del nostro paese sembra essere quello delle competenze: Nel DESI 2020 l’Italia era ultima nella dimensione del capitale umano, e quest’anno siamo 25esimi su 27 Stati. Inoltre, solo il 15% delle imprese italiane eroga ai propri dipendenti formazione in materia di tecnologia informatica, cinque punti percentuali al di sotto della media UE.

Preoccupa lo scarso tasso di utilizzo di soluzioni digitali in produzione e amministrazione: difatti, digitalizzare per le imprese non significa soltanto avere una presenza online, ma anche e soprattutto semplificare, automatizzare, smaterializzare, adottare processi guidati dai dati (data driven), ottimizzare, risparmiare, guadagnare competitività – andando a portare la digitalizzazione all’interno dei propri processi decisionali e organizzativi.

Digitalizzazione e Pmi, foto da Unsplash

Con la digitalizzazione più profitti e margini

Le imprese, anche quelle più piccole, possono avvantaggiarsi degli strumenti digitali che sono oggi presenti sul mercato per rendersi più competitive, ottimizzare i processi e crescere: anche se spesso questi strumenti sono visti come dei plus, qualcosa di aggiuntivo che si può avere o meno, ma che non incide davvero sul proprio core business, i dati dimostrano che non è così.

Le analisi dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano evidenziano come le realtà più mature dal punto di vista della digitalizzazione ottengono performance economico-finanziarie migliori: in media +28% di utile netto, +18% di profitti, +11% di EBITDA.

Ecco perché anche in Italia le imprese, specialmente le piccole e medie, dovrebbero impegnarsi per cogliere davvero questa sfida, portando la digitalizzazione in ogni settore dell’azienda: dalla presenza online, all’amministrazione e risorse umane, alla gestione degli aspetti legali, a quella dei flussi di cassa e del bilancio, ai finanziamenti, alla digitalizzazione delle linee di produzione.

Quest’ultima, ad esempio, va di pari passo con l’efficientamento dei consumi che comporta una forte diminuzione delle spese di produzione. Un caso concreto che illustra quanto la transizione digitale possa essere utile è lo studio condotto da Porche Consulting, società di consulenza del gruppo automobilistico tedesco, secondo il quale una gestione predittiva dei macchinari (attraverso le tecnologie digitali) genera un incremento nell’utilizzo degli asset industriali che tocca punte del 30%. Grazie a interventi mirati, è possibile infatti allungare i periodi di attività di macchine e macchinari sottoposti questo tipo di manutenzione.

Intervenire in maniera predittiva significa generare modelli e algoritmi che il computer sfrutta al massimo per predire la venuta di un guasto nel futuro. Un programma predittivo funzionante può offrire risparmi dell’8-12% rispetto a una semplice strategia preventiva (impianti manutenuti in anticipo rispetto ai guasti, ma senza uno studio specifico sull’andamento dei guasti del macchinario) e del 30-40% rispetto a una manutenzione reattiva (caratterizzata dall’intervento solo in fase di guasto).

È il momento giusto per investire nel digitale

È questo il momento, per le Pmi, di cavalcare l’onda digitale e cambiare passo: infatti le opportunità offerte dal Pnrr saranno una guida importante per le aziende per tutto il 2022. Nei prossimi anni, infatti, grazie al Pnrr – che si affianca al Fondo Complementare – verranno messi a disposizione delle aziende italiane, globalmente, quasi 50 miliardi di euro da investire sull’infrastruttura digitale con l’obiettivo di aiutarle a intraprendere un percorso di evoluzione tecnologica e riuscire così ad essere più competitive sul mercato.

Credimi
Nata con la missione di semplificare l’accesso al credito per le imprese, Credimi è oggi il più grande digital lender per le PMI in Europa, con oltre 1,9 miliardi di euro di finanziamenti erogati dall’inizio dell’attività e 83 mila richieste di finanziamento presentate da piccole e medie imprese italiane. Credimi è un intermediario finanziario vigilato da Banca d’Italia.

 

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