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In due anni il management di Unicredit ha trasformato la banca italiana in uno degli istituti di credito più profittevoli d’Europa. Se è vero che la strategia aziendale ha dato ottimi frutti, non va dimenticato che il ritorno a tassi di interesse positivi, dopo un decennio caratterizzato da un costo del denaro pari a zero o negativo, ha giocato un ruolo importante in questo processo di trasformazione.

Mentre tra il 2011 e il 2021, Unicredit non è riuscita mai a generare un rendimento del capitale a due cifre e ha registrato una perdita in 4 esercizi su 10, ora è in grado di produrre facilmente un ritorno del capitale in doppia cifra. Al centro del successo di Unicredit c’è la sua attività retail in Italia, che garantisce alla banca una notevole fonte di finanziamento indipendente dal tasso di interesse. I depositi bancari in Italia, infatti, tendono ad essere quasi esclusivamente conti utilizzati per le transazioni, poiché gli italiani utilizzano altri veicoli di risparmio.

Il lato negativo della elevata sensibilità ai tassi di interesse è che Unicredit è destinata a registrare una maggiore contrazione degli utili, rispetto alla maggior parte dei suoi competitor europei, una volta che i saggi di riferimento inizieranno a scendere.

Unicredit, che ha venduto la propria attività di asset management ad Amundi nel 2016, è ora impegnata a ricostruire questo business. Riteniamo che l’attività di gestione patrimoniale rappresenti una fonte di crescita di lungo periodo che potrebbe aiutare la banca a compensare una certa pressione sui ricavi in un contesto di tassi di interesse in diminuzione.

Unicredit resta esposta alle difficoltà macroeconomiche e politiche del mercato italiano. La proposta di una tassa straordinaria sulle banche italiane e il possibile intervento del governo nella vendita di crediti in sofferenza hanno messo in allarme gli investitori. L’impatto che questi possibili interventi hanno sul sentiment del mercato in termini di premio al rischio applicato alle banche italiane è a nostro avviso molto più alto rispetto alle reali conseguenze che queste misure avrebbero sugli utili degli istituti di credito.

Riteniamo che il portafoglio prestiti di Unicredit sia molto più sano rispetto al passato e che il cambiamento nel mix di prestiti a favore dei mutui dovrebbe favorire una riduzione degli accantonamenti per perdite su crediti rispetto al passato.

Fair value a quota 32 euro

La nostra stima del fair value per Unicredit è di 32 euro per azione, pari al book value della banca registrato nel 2022 e 7 volte gli utili stimati per il 2023. La banca italiana dovrebbe essere in grado di generare un rendimento medio del capitale di circa l’11% nei prossimi 3 anni. Questo potrebbe sembrare un risultato modesto, considerata la sua attuale profittabilità, ma le nostre previsioni tengono conto di margini di interesse netti più bassi e maggiori perdite sui prestiti. Detto questo, in un contesto di politica monetaria normalizzato, la redditività di Unicredit dovrebbe rimanere nettamente al di sopra della sua media storica.

Pur riconoscendo a  Unicredit il merito di aver ripulito il proprio portafoglio prestiti, siamo preoccupati per la resilienza delle piccole e medie imprese italiane in una prolungata fase di recessione economica.

Le nostre previsioni indicano una distribuzione del 100% degli utili aziendali nei prossimi tre anni attraverso lo stacco di dividendi e il riacquisto di azioni proprie. Attualmente, Unicredit distribuisce il 35% degli utili sotto forma di cedola, ma ci aspettiamo che questa quota salga gradualmente avvicinandosi al 50%.  

Perché Unicredit non ha un Economic moat

Nonostante i significativi miglioramenti nella profittabilità registrati negli ultimi anni, non crediamo che Unicredit possegga un Economic moat. In base alle nostre stime, infatti, c’è una bassa probabilità che la banca italiana sia in grado di generare rendimenti in eccesso rispetto al costo del capitele nei prossimi 10 anni. Inoltre, riteniamo che esista il rischio che il governo italiano possa giocare un ruolo attivo nella determinazione dei costi dei depositi, il che rappresenterebbe un rischio materiale per la nostra stima della redditività ì. Nel complesso, crediamo che il rischio di intervento da parte del governo italiano sia più elevato rispetto a molti altri Paesi europei.

 

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