Utilizza la funzionalità di ricerca interna #finsubito.

Agevolazioni - Finanziamenti - Ricerca immobili

Puoi trovare una risposta alle tue domande.

 

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito
#finsubito news video
#finsubitoagevolazioni
#finsubitoaste
01_post_Lazio
Agevolazioni
News aste
Post dalla rete
Zes agevolazioni
   


Lo scontro tra Kamala Harris (DEM) e Donald Trump (REP) è inquadrato nel copione hollywoodiano dei buoni e dei cattivi. Uno show! Dietro lo spettacolo desolante dei due agitatori di sentimenti di vendetta e di odio reciproco, con l’uso del linguaggio più bieco e offensivo, si nasconde il vero scontro interno alle strutture oligarchiche di potere degli Stati Uniti d’America. Fino all’inizio degli anni ’80 le oligarchie di potere condividevano gli scopi ma battagliavano per piccoli spostamenti sugli interessi degli uni e degli altri. Ma nella sostanza l’insieme formava “il sistema” al centro del quale c’era il dominio del dollaro. Conveniva a tutti così, tra una guerra e l’altra e un po’ di welfare in più o in meno. La globalizzazione degli anni ’90 e le sciagurate iniezioni di dollari stampati dal nulla della metà degli anni duemila hanno disgregato il consenso oligarchico e hanno sbiadito il sogno americano restringendo lo spazio vitale per la classe media. La retorica della “crescita” perpetua (growth), che continua ancora oggi, era già insostenibile nel primo decennio del nuovo millennio e oggi è totalmente vacua. Il segnale viene dai grandi finanziatori dello show elettorale americano: la finanza tradizionale di Wall Street e quella “nuova” della Silicon Valley.

Il paradigma neoliberale imposto dagli anni ’80 è oggi l’epicentro della crisi sistemica americana. Il paradigma ha agito in modo trasversale nello spettro politico. Infatti, sia i DEM che i REP propongono un modello di libertà che è il sogno bagnato di quel grande capitale che fingono di osteggiare. Come ha scritto Andrea Zhok, entrambi gli schieramenti sognano individui sradicati, isolati, che cercano consolazione passeggiando in quel grande supermercato che è diventato il mondo occidentale.

Tradizionalmente Wall Street era più vicina al vecchio grande partito Repubblicano (GOP) e alle sue obsolete liturgie che diffondevano le idee concepite nell’ecosistema repubblicano di think tank, organizzazioni mediatiche e gruppi di attivisti che hanno contribuito al declino del Partito, da Bush jr fino a Donald Trump. Lo tsunami trumpiano ha fatto capire che il GOP doveva essere cambiato in un partito REP moderno, rinnovando la rete dei media conservatori e le modalità di comunicazione, lavorando su contenziosi strategici, formando nuovo personale politico, strutturandosi capillarmente sui territori. In sintesi: cultura di governo, non solo vittorie elettorali. Non è un caso, quindi, che il vecchio Trump quest’anno sia stato affiancato dall’emergente e giovane J. D. Vance.

La nuova finanza di Silicon Valley è stata tradizionalmente vicina al “progressismo” DEM con il paradigma del “cambiamento” (Change!) con persone e istituzioni più orientate all’azione, più agili, giovanilistiche, efficaci e focalizzate sulla “vittoria” (Clinton, Obama). Non è un caso che il vecchio Biden sia stato cacciato dalla corsa elettorale – rottamato, come avrebbe detto un Renzi qualsiasi – e sostituito dalla giuliva e più giovanile Harris. I DEM, nota Zhok, sognano individui fragili, fluidi e perciò disponibili ad essere collocati senza resistenza in ogni anfratto e posizione del macchinario globale. Infatti, i DEM collaborano fattivamente alla dissoluzione di ogni identità stabile, collettiva quanto personale, che potrebbe fungere da baluardo alla liquefazione dei rapporti di mercato. Il finto progressismo dei DEM – la sinistra neoliberale dell’ideologia woke di cui di Kamala Harris è il miglior prodotto – colpisce anche la famiglia che è accusata di avere un carattere “antisociale e antipolitico”. In realtà, l’odierna sinistra neoliberale, con il suo pseudo illuminismo progressista, o con il suo neoliberalismo inconsapevole, vuole “garantire a ciascuno il dispiegamento della propria personalità”. Quindi, i DEM sostengono che è bene cancellare (cancel culture) qualsiasi cosa che non si adatti alle esigenze dell’individualismo mercatista – unica dimensione di libertà che sono ancora capaci di immaginare. Se ciò sia frutto di scelte consapevoli o inconsapevoli poco importa. Quel che resta è un importante contributo al degrado corrente.

Poiché in Stati Uniti non si fa politica senza soldi (e tantissimi), torniamo alla grande finanza.

Le vecchie “new economy” dette GAFAM (Google, Apple, Microsoft, Meta) stanno soffrendo per i molti anni di fidanzamento con i DEM. Molti senior manager di queste imprese credono ancora nel cambiamento climatico o nei visti H-1B, e solidarizzano con i movimenti che protestano contro il divieto antislamico (tipici di San Francisco). La novità è che ai livelli più alti e più ricchi dell’industria, i creatori di tendenze culturali hanno ingoiato la “pillola rossa” perché, a differenza che nel 2016, oggi essere presi di mira da persone di sinistra sui social potrebbe essere commercialmente un vantaggio. Ma al di là di un crescente fastidio per il fanatismo ricattatorio di marca woke, ciò che irrita i magnati del tecno-ottimismo è la stretta fiscale sulle startup o la prospettiva di una IA rigidamente controllata. La proposta di un’imposta sulle plusvalenze non realizzate, ad esempio, è stata la goccia di troppo per Marc Andreessen e Ben Horowitz, fondatori di una delle più importanti società di venture capital della Silicon Valley. E analoghi sono i discorsi che si fanno al Cicero Institute di John Lonsdale o dalle parti del suo amico Elon Musk, che oggi incassa contro Biden anche l’appoggio di un mega donatore democratico come Jeff Skoll.

Mentre da anni le GAFAM (particolarmente Google e Meta) mantengono, insieme alle loro posizioni dominanti, il baraccone della censura progressista, Un nuovo mondo è nato nella Silicon Valley. Si tratta di ultra-dinamiche, ricche e potenti “Little Tech” che scalpitano sotto i tacchi delle GAFAM che vengono liquidate come modelli obsoleti. Un mondo in cui libertà d’espressione fa rima con libertà dalla stretta politica che si traduce in tasse e burocrazia. Una prospettiva integralmente libertaria e liberista, quindi. Ma non massimalista. Anzi, strategicamente molto scaltra. A questo mondo della Silicon Valley sempre meno DEM si aggiunge quello delle criptovalute, con cui Vance ha entusiastici rapporti e le cui aspettative nei confronti di Trump – dopo quattro anni di bastonature democratiche – sembrano alte.

Non stupisce, quindi, che la corte trumpiana – pur unita dalla richiesta di un laissez faire radicale – stia imparando a tollerare figure come Lina Khan, l’agguerrita presidente della Federal Trade Commission, che sostiene da tempo l’idea di una legge sull’antitrust potenziataNon focalizzata solo su prezzi e tariffe, ma su natura e qualità dei servizi, sul pluralismo dell’offerta, sull’equilibrio tra piccole e grandi aziende. In realtà si capisce che quella suggestione oggi si insinui anche in ambienti conservatori, dove matura la consapevolezza che il modello progressista non si sconfigge depotenziandone le casematte. Semmai, anzi, rafforzandole e sfruttandole.

Il vecchio Trump non può opporsi ai tempi, deve adeguarsi o finire come Biden. È stato “avvisato” in modo cruento, a fucilate e, complice il bug informatico di Microsoft, a colpi di “short” sulle sue azioni compiuti da un ignoto “fondo” dietro il quale si nascondono Vanguard e Blackrock. Il più grande e più ricco think tank americano, la repubblicanissima Heritage Foundation, ha stilato un poderoso rapporto, Project 2025, che dettaglia la nuova linea politica del partito REP. Il cuore del messaggio è: “Ritorcere contro i democratici gli odiati residui post New Deal è il momento tattico fondamentale”. Ben venga dunque un antitrust che colpisca gli oligopoli a dispetto dei cavilli. In quanto pericolosi non solo per il consumatore di merci ma anche per il cittadino, fruitore del mercato delle idee. Quindi ben vengano le bordate (quantomeno rumorose) della Khan al GAFAM e il modello teorico che le sostiene. Perché “è ora di smantellare Google”, come dice senza mezzi termini Vance. Il quale del resto appoggia la proposta di revisione della Sezione 230 del Communication Decency Act, che tanto dispiacerebbe a Microsoft. E da tempo è investitore di Rumble, piattaforma alternativa a YouTube.

Questa Silicon Valley sempre più plurale, pro-crypto, pro-business, ma disposta alla strategia politica, in Vance trova l’uomo ideale. Perché è essenzialmente uno di loro, ed è capace di tradurne le aspirazioni in parole d’ordine efficaci. Oltretutto non ha ancora quarant’anni, guarda al lungo periodo e ha una vasta rete di relazioni. Non ultima, peraltro, l’amicizia col magnate visionario (e suo mega finanziatore) Peter Thiel, con cui Trump evidentemente mira a ricucire rapporti da tempo gelidi.

Vance incarna un nuovo tipo di attivista repubblicano che è rappresentato da gruppi come il Rockbridge Network, di cui è co-fondatore, che riunisce una rete di facoltosi sostenitori del GOP che ama la discrezione (nel 2021, il New York Times parlò di Secret Coalition). L’obiettivo è assicurarsi spazi egemonici sufficienti (vittorie elettorali) ma soprattutto declinazione di strategie, obiettivi e risorse come in una sorta di political venture capital, dove ogni donatore è un azionista. Un esempio esiste già: il fondo d’investimento anti-woke Capital 1789 di Christopher Buskirk e Omeed Malik (anche con i fondi di Mercer e del solito Thiel).

Così si muove la finanza della nuova Silicon Valley che ha l’obiettivo di rompere il muro dei tradizionali donatori, scettici su Trump. Infatti, non è un caso che Rockbridge – di solito restii ad invitare candidati in corsa alle loro iniziative – qualche mese fa hanno voluto Trump in un incontro a porte chiuse. L’idea della Silicon Valley è di rimettere in gioco forze giovani per destrutturare le obsolete liturgie repubblicane creando “una sorta di ambiziosa coalizione di destra che mescola dinamismo americano, nuova tecnologia spaziale, infrastrutture di sicurezza nazionale e innovazione con la politica repubblicana”. Tutto molto più coolsotto ogni punto di vista, rispetto ai tradizionali eventi e alle coalizioni repubblicane che ovviamente non sono cool per definizione (ricordiamoci il grande vecchio da poco scomparso, Kissinger).

È finita l’epoca dei polverosi monumenti al GOP che fu (rete Koch o Growth Club), con cui pure ovviamente Trump non disdegna interlocuzioni. La linea politica incarnata da Vance e dalla nuova Silicon Valley è esplosiva, altro che il tecno-populismo sbandierato dalle testate liberal. Non c’è improvvisazione. Vance è il volto di un trumpismo che ormai sembra definitivamente uscito dalla fase delle malattie infantili.

In conclusione, lo scontro tra Trump e Harris è dunque uno scontro tra diversi interessi economici e diversi atteggiamenti verso la guerra – sia in Ucraina sia in Palestina (eloquenti le immagini di Trump e Bibi) sia quella che si vede all’orizzonte con la Cina. Chi semplifica la corsa con “donna afroamericano contro magnate fascista” si può solo compatire perché non capisce un tubo, nella migliore delle ipotesi.

Ti piace questo articolo? Condividilo nel tuo profilo social.



 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Informativa sui diritti di autore

La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni:  la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.

Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?

Clicca qui

 

 

 

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui

La rete #dessonews è un aggregatore di news e replica gli articoli senza fini di lucro ma con finalità di critica, discussione od insegnamento,

come previsto dall’art. 70 legge sul diritto d’autore e art. 41 della costituzione Italiana. Al termine di ciascun articolo è indicata la provenienza dell’articolo.

Il presente sito contiene link ad altri siti Internet, che non sono sotto il controllo di #adessonews; la pubblicazione dei suddetti link sul presente sito non comporta l’approvazione o l’avallo da parte di #adessonews dei relativi siti e dei loro contenuti; né implica alcuna forma di garanzia da parte di quest’ultima.

L’utente, quindi, riconosce che #adessonews non è responsabile, a titolo meramente esemplificativo, della veridicità, correttezza, completezza, del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale, della legalità e/o di alcun altro aspetto dei suddetti siti Internet, né risponde della loro eventuale contrarietà all’ordine pubblico, al buon costume e/o comunque alla morale. #adessonews, pertanto, non si assume alcuna responsabilità per i link ad altri siti Internet e/o per i contenuti presenti sul sito e/o nei suddetti siti.

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui