Il 22 luglio è stato emanato l’atteso provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate ha riparametrato la percentuale di spettanza del credito d’imposta ZES, che scende però [udite, udite!] al 17,6668 per cento del suo ammontare – pari, cioè, al solo 10,6% dell’investimento effettuato – ricordando che le previsioni nelle singole regioni andavano da un minimo del 35%, sempre del credito ZES, per l’Abruzzo a un massimo del 70% per talune zone della Puglia.
È la conseguenza, se è necessario precisarlo, del numero elevatissimo di domande presentate dai contribuenti per investimenti complessivamente superiori a 9 miliardi di euro a fronte di circa 1,7 miliardi di risorse disponibili, che era il limite di spesa per il 2023.
Così, ad esempio, su un investimento nella regione pugliese di euro 200.000 [che, lo ricordiamo, è e resta comunque l’importo minimo su tutto il territorio nazionale per accedere, o tentare di farlo, al credito in argomento], il credito d’imposta – il cui ammontare, secondo le ottimistiche previsioni del decreto istitutivo, sarebbe stato di euro 120.000 – si ridurrebbe ora, per effetto del provvedimento del 22 luglio, addirittura a euro 21.200, cioè appunto al 17,6668% di 120.000.
Quindi le imprese finirebbero per poter contare su un incentivo perfino inferiore a un quinto della misura massima preventivata; diciamo finirebbero, perché non è affatto da escludere l’ipotesi che le rinunce di molte imprese possano consentire di incrementare la percentuale riconosciuta a consuntivo…
Già si preannunciano, tuttavia, polemiche al riguardo anche in sede politica, tant’è che – ad esempio – il ministro Fitto ha dichiarato che “si tratta di un provvedimento adottato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate senza alcun confronto”, senza cioè la benché minima richiesta all’Agenzia delle Entrate di una seria verifica dei dati.
Certo è che, almeno per ora, questo non sembrerebbe propriamente un…bonus, ma qualcosa di molto meno.
(marco righini)
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