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Il processo di condivisione e riallocazione di costi e ricavi nell’Eurosistema qualche volta ha effetti sorprendenti. Per esempio, la Banca d’Italia si sobbarca una parte dei cospicui interessi che le banche tedesche ricevono dalla Bundesbank.

Dei costi fiscali relativi agli interessi che le banche centrali dell’area euro erogano alle banche commerciali mi sono già occupato in un precedente intervento su lavoce.info, seguito poi da uno di Rony Hamaui. Si tratta del risultato delle modalità con cui viene correntemente condotta la politica monetaria, che ruota ora sul controllo diretto da parte della Banca centrale europea del tasso di interesse erogato su un abbondante eccesso di riserve bancarie (rispetto all’obbligo di riserva). A sua volta, l’eccesso è frutto delle passate operazioni di quantitative easing (Qe) con cui le banche centrali nazionali dell’Eurozona acquistavano titoli pubblici e societari emettendo riserve (liquidità). All’attuale tasso obiettivo della Bce (3,75 per cento) le banche incassano somme notevoli, oltre 118 miliardi all’anno rebus sic stantibus. Accade anche in altre aree monetarie, ma vi sono peculiarità europee.

In primo luogo, la disomogenea distribuzione delle riserve in eccesso fra i paesi dell’Eurosistema rende difficoltosa l’applicazione di una soluzione alla De Grauwe, ovvero l’innalzamento del coefficiente di riserva obbligatorio così da trasformare la liquidità in eccesso in liquidità obbligatoria non remunerata. La disomogeneità si misura rispetto alla capital key, cioè alla quota di partecipazione delle banche centrali nazionali al capitale della Bce. Su questo parametro, l’eccesso di liquidità è per esempio più ampio in Germania e più esiguo in Italia. Per ottemperare a un più elevato obbligo di riserva, le banche italiane potrebbero così trovarsi a dover prendere a prestito riserve dalle banche d’oltralpe o dalla Bce a tassi assai onerosi. Angelo Baglioni, sempre su lavvoce.info, ha poi sviluppato un secondo problema, che già evocavo, ovvero il fatto che vengono condivise secondo capital key le spese per interessi che ciascuna banca centrale nazionale sostiene per remunerare le riserve in eccesso della propria giurisdizione. Anche in questo caso, il fatto che le riserve in eccesso non si ripartiscono secondo capital key ha conseguenze notevoli: nelle giurisdizioni dove la liquidità è relativamente più abbondante (come in Germania), le erogazioni alle banche commerciali locali saranno relativamente più ampie, ma le rispettive banche centrali (come la Bundesbank) potranno condividere tali costi con quelle delle giurisdizioni dove la liquidità è più scarsa (come la Banca d’Italia). Il risultato è che la Banca d’Italia, di fatto il contribuente italiano, sussidia le banche commerciali tedesche.

Cos’è il reddito monetario dell’Eurosistema

Il risultato va però controllato esaminando l’insieme delle regole relative all’accentramento e redistribuzione di un complesso di spese e profitti che le banche centrali nazionali mettono in comune attraverso il reddito monetario dell’Eurosistema, un istituto sinora poco noto (o male approfondito) della governance monetaria europea. Una trattazione più esauriente è ora disponibile qui.

Per sommi capi, le banche centrali nazionali convogliano nel reddito monetario dell’Eurosistema i rispettivi ricavi e costi relativi alle operazioni di politica monetaria e al funzionamento del sistema dei pagamenti, una specie di dichiarazione dei redditi di fine anno, se la metafora può aiutare. Fungendo da mero amministratore, la Bce redistribuisce successivamente il reddito monetario secondo capital key. La logica sembra essere di ripartire proporzionalmente costi e ricavi di operazioni e funzioni intraprese sulla base di decisioni comuni (per memoria, l’Eurosistema funziona decentrando molte funzioni operative presso le banche centrali nazionali).

Fra le operazioni di politica monetaria che generano costi e profitti troviamo: le “operazioni di rifinanziamento” con cui le banche centrali nazionali creano liquidità e che sono normalmente fruttifere di interessi (invero, le famose operazioni di rifinanziamento a lungo termine Tltro sono state condotte sino a metà 2022 a tassi negativi comportando costi); il rendimento dei titoli acquistati con le politiche di Qe; la remunerazione dei conti di deposito presso le banche centrali nazionali dove le banche commerciali detengono le riserve. I tassi su questi depositi erano negativi sino a metà 2022 (comportando in quel caso ricavi per le banche centrali nazionali), ma sono ora positivi, con gli esorbitanti costi.

Il reddito monetario genera una redistribuzione se, per motivi indipendenti dalla propria volontà, una banca centrale nazionale nell’eseguire decisioni comuni effettua una certa operazione in una proporzione diversa dalla propria capital key, oppure a un tasso differente. Per esempio, quando le banche commerciali italiane ricorrevano alle Tltro a tassi negativi in proporzione maggiore di quelle tedesche, la Bundesbank si sobbarcava parte dei costi della Banca d’Italia.

La prima riga della tavola 1 tratta dal Bilancio annuale 2023 della Banca d’Italia mostra come, invece, nel 2023, con tassi pienamente positivi, Bankitalia abbia accentrato nel reddito monetario 7.831 milioni di euro di ricavi relativamente a queste operazioni (una sottrazione dai ricavi del proprio conto profitti e perdite – P&P), ricevendone indietro solo 4.525milioni, avendo così ridotto i ricavi dal proprio conto P&P per 3.306 milioni. Guardando ai conti di riserva, Baglioni documenta come la Bundesbank abbia avuto in media nel 2023 una quota dell’eccesso di riserve complessivo dell’Eurosistema superiore alla sua capital key (31,7 per cento contro 26,6 per cento), e all’opposto la Banca d’Italia (5,7 per cento contro 16 per cento). Ciò comporta che via Nazionale si è caricata una parte dei costi sostenuti da Francoforte. La sesta riga di tavola 1 mostra, infatti, che Bankitalia accentra perdite per interessi sulle riserve in eccesso per 7.850 milioni, vedendosene però attribuite per 21.973 milioni, con una perdita aggiuntiva iscritta nel proprio conto P&P di -14.123 milioni di euro (all’inizio aveva provvisoriamente iscritto perdite per 7,8 miliardi che diventano quasi 22 miliardi a seguito della redistribuzione).

Un discorso speciale va fatto per i titoli pubblici acquistati col Qe fra il 2015 e il 2022. Ciascuna banca centrale nazionale acquistava (a parte scostamenti temporanei) titoli nazionali secondo capital key assumendosene il rischio relativo (niente risk-sharing). Ai fini del calcolo del reddito monetario le procedure prevedono che ciascuna banca centrale nazionale conferisca un ammontare di interessi calcolati al tasso di interesse convenzionale, pari a quello sulle operazioni di rifinanziamento principali (attualmente 4,25 per cento). Si dimostra facilmente che, nei fatti, ciascuna banca centrale si vede poi restituire quanto versato; quindi, in questo caso, non si condivide nulla (in termini intuitivi, poiché si accentra e condivide ai medesimi tassi e secondo capital key la redistribuzione netta è zero). La terza riga della tavola mostra che questo è grosso modo vero, ma c’è un residuo (-2.438 milioni di euro) dovuto, sembra, al fatto che la Banca d’Italia ha acquistato qualcosa in più della capital key e dunque ne deve condividere gli interessi con le altre banche centrali nazionali.

Tabella 1

Fonte: Banca d’Italia

Quanto costa l’emissione di banconote

Entrano nel reddito monetario, ma con risultati sorprendenti, anche costi e ricavi relativi al funzionamento del sistema dei pagamenti, dunque relativi alla piattaforma Target2 e all’emissione di banconote.

L’analisi del reddito monetario rivela come, de facto, sugli enormi saldi Target2 (T2), positivi in particolare per la Germania (per oltre 1 trilione di euro) e simmetricamente negativi per Italia e Spagna (ciascuna per oltre 400 miliardi di euro) non si paghino interessi, un tema su cui c’è stata sinora estrema confusione.

È vero che durante l’anno le banche centrali nazionali con saldi T2 negativi pagano interessi (al tasso convenzionale) che, via Bce, sono incassati da quelle con saldi positivi. A fine anno, però, perdite e profitti sono tutti conferiti al reddito monetario condiviso, sicché scompaiono dal conto P&P delle rispettive banche centrali nazionali. L’Eurosistema dal suo canto non ha nulla da condividere, dato che i profitti apportati da alcune banche centrali nazionali sono esattamente compensati dalle perdite arrecate dalle altre. Dalla riga 7 della tavola si vede che Banca d’Italia apporta perdite (sottraendole dal proprio conto P&P) per 22.769 milioni. Il fatto che riceva qualcosa in sede di condivisione (2.388 milioni) non ha a che fare con i saldi negativi T2 di Bankitalia, ma con la redistribuzione effettuata dalla Bce degli interessi che essa ha guadagnato sui titoli di sua pertinenza acquistati nell’ambito del Qe.

Qualcosa di simile accade per l’allocazione delle banconote. Le banche centrali nazionali che hanno emesso banconote più (meno) della capital key sono “punite” (“premiate”) pagando (ricevendo) interessi nel corso dell’anno, ma poi apportano le rispettive perdite (o profitti) al reddito monetario e tutto si annulla. La riga 5 mostra come Bankitalia, inizialmente premiata per una emissione sotto la propria quota, perda questi profitti accentrando 1877 milioni, e per giunta riceva indietro una penalità di -812 milioni di euro, relativa però al ruolo della Bce nell’emissione di banconote (sembra di poter dire in quanto le banche centrali nazionali emettono banconote per conto della Bce, a cui spetta una quota dell’8 per cento dell’emissione complessiva, ma devono poi conferirle il relativo signoraggio).

Come si vede, l’analisi del reddito monetario dell’Eurozona è alquanto complessa: abbiamo per esempio tralasciato l’ultima riga della tavola 1, il “gap”, che gioca un ruolo non trascurabile nel caso di Bankitalia, mentre nel paper abbiamo inserito molti esempi esplicativi. Si evince che il processo di condivisione e riallocazione di costi e ricavi fra le banche centrali nazionali ha significativi e talvolta sorprendenti effetti. Si conferma in particolare che, al netto delle varie poste condivise, Bankitalia si sobbarca oggi parte dei cospicui interessi che le banche tedesche ricevono dalla Bundebank. Questo porterebbe i profitti di via Nazionale in territorio negativo, se non fosse per il ricorso agli accantonamenti prudentemente effettuati gli scorsi anni. Nel nostro lavoro dimostriamo anche che, almeno in prima approssimazione, l’esorbitante remunerazione delle riserve bancarie non trova giustificazione nei tassi negativi a cui erano soggette negli scorsi anni. Infine, mentre è molto apprezzabile lo sforzo compiuto dalla Banca d’Italia di fornire quest’anno informazione aggiuntiva sul reddito monetario, sarebbero auspicabili ulteriori approfondimenti da parte delle altre banche centrali nazionali e della Bce.

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Sergio Cesaratto

paliotta

Sergio Cesaratto è professore ordinario di Politica monetaria e fiscale dell’UME, Economia internazionale, e Growth and development presso il dipartimento di Economia politica e statistica dell’Università di Siena. Si è formato con Pierangelo Garegnani, ha conseguito il dottorato presso la Sapienza, e svolto periodi di studio e ricerca presso le università di Manchester e Cambridge. Si è occupato di analisi dell’innovazione, teoria della crescita, sistemi pensionistici e, negli anni più recenti, di teoria della politica monetaria e crisi dell’eurozona.I suoi interessi correnti includono l’analisi delle economia precapitalistiche alla luce dell’impostazione classica del sovrappiù e degli studi antropologici e archeologici. Ha pubblicato sulle migliori riviste eterodosse internazionali, e pubblicato in italiano Sei lezioni di economia (2019) e Sei lezioni sulla moneta (2022) per Diarkos. Il primo è stato tradotto in inglese per Springer, e in Spagna per El Viejo Topo.

 

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