La risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 169, pubblicata ieri, ha ad oggetto il caso di una srl partecipata da tre fratelli, uno dei quali intende uscire dalla compagine sociale a causa di dissidi con gli altri due.
I due acquirenti, allo scopo di liquidarlo, intendono costituire ciascuno una holding unipersonale mediante conferimento della partecipazione già detenuta e ottenere un finanziamento bancario con il quale acquistare la partecipazione, rivalutata dal terzo fratello ex art. 5 della L. 448/2001. Le successive distribuzioni di dividendi dovrebbero poi permettere abbastanza agevolmente di rimborsare il prestito ricevuto.
Il timore che l’operazione possa essere censurata sotto il profilo dell’abuso del diritto (art. 10-bis della L. 212/2000), probabilmente sorto per via di una certa similitudine con dei precedenti della prassi dell’Agenzia delle Entrate, ha indotto la società a presentare istanza di interpello ex art. 11 comma 3 della L. 212/2000. In risposta, l’Agenzia ha fornito chiarimenti interessanti e favorevoli agli istanti, rilevando l’assenza di qualsivoglia vantaggio fiscale indebito (il che ha reso superfluo indagare sulla presenza degli altri presupposti dell’abuso del diritto: l’assenza di sostanza economica, l’essenzialità del vantaggio fiscale, l’assenza di valide ragioni extrafiscali a sostegno dell’operazione messa in atto).
L’operazione prospettata inizia con un doppio conferimento in regime di realizzo controllato ex art. 177 comma 2-bis del TUIR (quindi senza emersione di plusvalenza fiscale, se il patrimonio netto della conferitaria non eccede il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione conferita), reso indispensabile dalla circostanza che gli istituti bancari non avrebbero concesso il prestito necessario all’acquisto direttamente ai soci persone fisiche. Il passaggio più importante, però, è quello successivo, nel quale la partecipazione del socio uscente è rivalutata e poi ceduta, cosicché al regime fiscale ordinario (26% sulla plusvalenza o eventualmente sul recesso) si sostituisce il pagamento di un’imposta sostitutiva di importo inferiore (pari attualmente al 16% sull’intero importo rivalutato).
Affinché non vi sia contestazione, è necessario che questo passaggio sia effettivamente da qualificare come una cessione di partecipazione (che realizza di fatto un recesso atipico del socio) e non possa essere invece riqualificato in recesso tipico (mediante rimborso della partecipazione da parte della società), in relazione al quale la rivalutazione della partecipazione non avrebbe efficacia (circ. Agenzia delle Entrate n. 16/2005).
La riqualificazione in chiave antiabuso in recesso tipico è stata fatta dall’Agenzia delle Entrate in passato (risposta a interpello n. 341/2019), ma in questo caso non se ne vedono in presupposti, probabilmente anche perché, a differenza del caso oggetto della risposta n. 341/2019, il pagamento al socio uscente è effettuato dagli acquirenti (le due holding neocostituite) con mezzi propri (ovvero con liquidità presa a prestito, ma comunque appartenente alle società) e non con i mezzi della società la cui partecipazione è ceduta (come sarebbe avvenuto, invece, se il venditore avesse concesso una dilazione e l’incasso fosse andato di pari passo con la distribuzione di dividendi da parte della società alle holding neocostituite).
Poco rileva, come osserva condivisibilmente l’Amministrazione, che le risorse per ripagare il finanziamento provengano di fatto dalla società ceduta: questa circostanza riguarda i rapporti tra la holding e la partecipata, restandone il socio cedente completamente estraneo.
Un altro elemento chiave è la fuoriuscita a titolo definitivo del socio uscente, il quale non è destinato a ricoprire più neppure incarichi nel consiglio di amministrazione. Viene a tale proposito richiamato nell’istanza il principio di diritto dell’Agenzia delle Entrate n. 20/2019, nel quale si indicano come elusive le operazioni nelle quali il cedente monetizza il valore della partecipazione vendendola dopo averla rivalutata, ma nello stesso tempo – di solito facendo leva sui rapporti di parentela con i soci acquirenti – conserva intatto il suo interesse nella società, di cui resta dominus o coamministratore, a dimostrazione che il vantaggio fiscale conseguito con la rivalutazione non è collegato, come dovrebbe essere, ad una vera cessione a terzi (si veda anche la risposta a interpello n. 242/2020, nella quale l’Agenzia ha rilevato un abuso del diritto limitatamente alle posizioni dei soci che avevano ceduto solo in parte le proprie partecipazioni nell’ambito di una riorganizzazione della compagine sociale).
Infine, l’Agenzia delle Entrate afferma che non vi sarebbe alcun vantaggio fiscale indebito nella deduzione ai fini IRES e IRAP degli interessi passivi derivanti dal finanziamento bancario, rilevando che essi sarebbero portati in deduzione ma nello stesso tempo costituirebbero materia imponibile presso le banche che li ricevono, cosicché si riscontrerebbe simmetria nel trattamento fiscale.
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