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CORIGLIANO-ROSSANO – C’è sempre una soluzione che accontenti tutti, bisogna solo capire qual è. E per farlo bisogna sedersi attorno a un tavolo con l’intento di alzarsi con un risultato. Questa è la teoria, poi come sempre – nella pratica – il nostro territorio e i suoi rappresentanti questa abilità dimostrano da sempre di non averla. La storia nata attorno al Piano industriale proposto da Nuovo Pignone BH per il porto di Corigliano ripercorre, nelle trame, quella che fu la vertenza per la riconversione della centrale Enel di Rossano, circa un ventennio fa.

All’epoca, era il 2008, si diede un No pregiudiziale e ideologico alla riconversione a carbone della centrale di Sant’Irene. Ma oltre a questo, poi, non si ebbe la lungimiranza di andare oltre. Nessun amministratore della città ebbe la volontà e la lungimiranza di sedersi attorno a un tavolo e venirne fuori con un risultato che accontentasse tutti e soprattutto facesse in modo che quel polo industriale, attorno al quale per quasi 40 anni si sviluppò la crescita ed il benessere del territorio, continuasse a svolgere quella sua importantissima funzione sociale e produttiva. Si pensò, all’epoca, che, tirando la corda e rimanendo su posizioni rigide, si sarebbe indotta Enel a “cedere le armi” e ad appiattirsi su una proposta che se da un lato appagava i desiderata dell’allora Amministrazione comunale, dall’altro era del tutto svantaggiosa per la holding energetica che avrebbe dovuto fare l’investimento. Risultato di quella mancanza di visione ed assoluta assenza di lungimiranza fu il programma Futur-E che tutti sappiamo come andò a finire: Enel è andata via, lasciando i rottami di una vecchia industria a petrolio sul territorio, e tutto quel benessere prodotto dalla forza occupazionale di quel sito svanì nel giro di pochi anni, contribuendo fortemente a quella condizione critica, sia sul piano occupazionale, sia sociale che su quello della qualità della vita, che si vive oggi nella terza città della Calabria.

 

Muro contro muro e nessuna concertazione

Ora, la storia dovrebbe essere da monito per non commettere gli stessi errori del recente passato. A quanto pare, però, siamo recidivi e anche un po’ masochisti. Una cosa è certa: il muro contro muro non produce nulla. E purtroppo è quello che sta avvenendo in questi ultimi mesi proprio per la vicenda Nuovo Pignone BH nel porto di Corigliano. I fatti, sinteticamente, sono questi: La multinazionale italo-americana, leader nel settore metalmeccanico e nello sviluppo di nuove tecnologie industriali, ha chiesto l’utilizzo del porto di Corigliano (struttura rimasta improduttiva sin dalla sua nascita) per fare il suo business. Insomma, un privato che vuole uno spazio pubblico per trarne profitto. E quale occasione migliore di questa può esserci per mettere in campo tutte le contropartite adeguate al fine creare le condizioni per tramutare quel profitto privato in utilità pubblica?

In questi mesi, a parte il solito No (anche in questo caso carico di pregiudizio), a parte l’obiezione dei cavilli burocratici, a parte la proposta di trasferire il sito produttivo in un’altra area fuori dal porto (che è una non proposta dal momento che alla Nuova Pignone BH serve proprio un porto), non si è sentito parlare di altro. Perché, allora, se la società vuole “a tutti i costi” mettere i piedi nella darsena per un’attività che, comunque, produrrebbe quasi 200 posti di lavoro e creerebbe un indotto rilevante (come è successo in tutte le altre aree in cui l’azienda opera); perché non si parla di royalty (un contributo economico da versare annualmente nelle casse del Comune quale compensazione sociale); perché non si concerta, ad esempio, quale dovrà essere il bacino occupazionale della nuova industria; perché non si stabiliscono quali devono essere le opere compensative come, ad esempio, la riqualificazione del vicino quartiere popolare di Rivabella?

Ecco, perché, la discussione risulta essere quantomai assurda e incomprensibile da quanti, privi di ogni pregiudizio o interesse, la osservano dall’esterno. C’è un’opportunità unica per rilanciare le mire economiche e produttive di questo territorio e oggi l’unica cosa che si riesce a fare è quella di trincerarsi dietro i silenzi o al più dietro la carta bollata.

E anche la posizione integerrima del sindaco Stasi (ribadita nelle ultime ore) volta a ribadire che, di fatto, non ci può essere investimento industriale nel porto ancor più se nel porto non c’è ancora uno stumento urbanistico e di sviluppo che lo reogli, è giusta, sacrosanta, ma regge fino a un certo punto. Perché a parte sciabole e baionette fatte in questi ultimi mesi sulla stampa, non sembra ci sia stata una volontà concreta e reale a voler superare la questione squisitamente tecnica legata al Piano Regolatore portuale. Lo si è detto, a toni forti, ma nessuno ha incalzato veramente l’Autorità portuale affinché producesse quello strumento. C’è stato il ricorso al Presidente della Repubblica per impugnare l’autorizzazione ZES, ma dopo il ricorso, nulla!

Allora, anche in questo caso, prima o poi, la corda (che sia per parte dell’Amministrazione comunale o per la parte dell’investitore o ancora dell’Autorità portuale o della Regione) si spezzerà. E come accaduto per la vertenza Enel, Corigliano-Rossano e la Calabria del nord-est rischieranno di ritrovarsi nuovamente con il cerino in mano. Con tutte le conseguenze drammatiche che già – purtroppo – conosciamo.

Nuovo Pignone BH non può uscire dal porto, sembra un ricatto ma, mai come ora, può essere l’arma più forte che le istituzioni locali possono utilizzare per mettere in campo ogni utile soluzione volta a impugnare l’interesse dell’azienda e usarlo a favore dell’intera comunità.



 

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