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Tatiana Țîbuleac, nata nel 1978 a Chișinău in Moldova, è giornalista e scrittrice e vive a Parigi. I suoi libri hanno vinto premi in Romania e Spagna.  Nel 2019 ha vinto il Premio letterario dell’Unione europea 2019, con Grădina de sticlă (in italiano, Il giardino di vetro).  Voxeurop ha pubblicato un suo contributo alla serie Archipelago Urss

Voxeurop: Il tuo libro, L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi (Keller editore), primo romanzo in traduzione italiana, parla di una storia europea, una famiglia di migranti polacchi stabilitisi in Francia. Perché non hai scelto di parlare dei tuoi connazionali? 

Tatiana Țîbuleac: Forse perché ho scritto questo libro a Parigi, poco tempo dopo che io stessa mi ci ero trasferita. Ero anche io migrante e tutto mi pareva molto cosmopolita. Nei primi anni all’estero desideri essere una persona che viene da un po’ ovunque, più che da un luogo in particolare. Il romanzo è scaturito dall’allontanamento, anche geografico, dalla Moldova e da Chișinău, lo spazio in cui sono nata e mi sono formata come scrittrice.

Sono temi su cui torno spesso, anche nel mio secondo romanzo, Il giardino di vetro. L’estate è un libro che sento molto vicino, anche dopo Il giardino di vetro, il romanzo con cui vengo identificata più spesso. Tengo molto a quell’universo perché è una storia che poteva accadere ovunque, a chiunque. Non so se è una storia europea, è una storia senza luogo. Ho voluto creare personaggi che non fossero né poveri, né del tutto infelici né con problemi evidenti, a cui  capitano tutte le disgrazie una dopo l’altra e non tutte insieme.

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Secondo l’ultimo censimento (2024) in Moldova la popolazione non raggiunge i 2,5 milioni di abitanti, quasi un milione in meno rispetto a vent’anni fa. Perché i moldavi emigrano? 

I moldavi emigrano da almeno trent’anni. È molto importante parlare delle differenze tra le prime ondate di migranti e le successive. Emigrano in gran parte per la povertà, ma non quella degli anni Novanta, quando gli stipendi non venivano pagati e nei villaggi le donne andavano via per poter garantire ai figli cibo, vestiti, accessori per la scuola. 

Da sempre le persone cercano una vita migliore, è loro diritto. Chi emigra oggi lo fa “con le carte in regola”, perché può permettersi di studiare all’estero, perché sa di trovare un lavoro e un sistema sanitario adeguato. Si tratta di un’altra migrazione, simile a quella di altri paesi europei più poveri, Spagna, Italia, Grecia. 

La prima ondata di migranti era del tutto diversa, si andava via illegalmente e questo, nella metà dei casi, voleva dire essere schiavizzati o diventare vittime del traffico di esseri umani. Le donne finivano a fare le prostitute o venivano vendute come tali, vittime della tratta. Questa migrazione ha lasciato ferite profonde in Moldova. Ma una tra le più dolorose, e non ancora studiata a fondo, è la migrazione che ha lasciato dietro di sé molti bambini senza genitori.

Quella generazione, cresciuta senza madre né padre, lasciata alla sola cura di nonni, fratelli o bambini più grandi, oggi è adulta e comincia a raccontare la sua storia. C’è una tristezza e una sofferenza profonda. Certo, sarebbe meglio che nessuno fosse costretto a emigrare e che tutti potessero vivere nel benessere accanto a genitori e parenti. Ma non arriverei a demonizzare la migrazione odierna, che va considerata come un diritto umano. Sono una migrante, ma non posso dire di essere fuggita dal mio paese. Quando e se la Moldova entrerà nell’Unione europea, le cose acquisiranno qualche sfumatura in più. 

I bambini rimasti in Moldova che ruolo hanno ora nella società, sono andati via anche loro? 

Alcuni hanno lasciato il paese, altri sono rimasti e non vedono la madre, o entrambi i genitori, dall’età di 7-8 anni. Ti puoi immaginare un bambino abbandonato a quell’età che cresce ricevendo dalla madre solo denaro, arance, cellulari, gomme da masticare. Che adulto diventa? Noi scrittori possiamo speculare, ma sono storie importanti che vanno raccontate. La società non trae giovamento da questa situazione, questi adulti avranno sempre un trauma ricorrente che dobbiamo ancora capire come affrontare. Nell’Europa orientale non siamo molto bravi a fare i conti con i nostri traumi, è successo con episodi gravi come la violenza, la carestia, le deportazioni.

Non ne parliamo mai, abbiamo preferito andare oltre e nasconderli, alcuni per sopravvivere, altri per disinteresse. Ma in entrambi i casi siamo di fronte a una generazione che non sa nulla di tutto questo. È grave che una nazione dimentichi il proprio passato. 

Abiti in Francia da molti anni. Che rapporto hai con questo paese? 

È una domanda che mi fanno spesso e a cui rispondo in modo diverso a seconda del periodo. Quando i miei figli erano piccoli ho avuto molto a che fare con il sistema sociale, che in Francia forse funziona meglio che altrove. Ora sono più grandi e la mia esperienza è cambiata, mi interessano di più altri aspetti come la stabilità politica, non dico già la pensione perché ne sono ancora lontana, ma la Francia è un luogo dove, culturalmente, mi sento bene. È un hub culturale enorme dove soddisfare interessi e passioni presenti e futuri. Tuttavia non è il paese in cui mi vedo invecchiare, non perché in Francia gli anziani non stiano bene. A Parigi sto bene perché c’è la mia famiglia e non devo preoccuparmi che i miei figli siano rimasti in un altro paese. È un paese che mi ha accolto dignitosamente. Ma in futuro mi proietto in un villaggio appartato, non in Francia e non in Moldova.

Cosa vuol dire essere un’autrice di lingua romena in Francia e che rappresenta un terzo paese? Ti capita di doverlo spiegare? 

Sì, mi capita ma penso che la spiegazione migliore sia nei miei libri. Se chi li legge si ritrova in quella storia o apprezza il mio stile, tra noi si crea un rapporto di amicizia. Non credo che abbia bisogno che gli spieghi perché ho scritto ciò che ho scritto. La Francia è un paese in cui la lettura è un’attività intima, la gente legge più che altro a casa propria e non tiene conto solo delle raccomandazioni di giornali e riviste letterarie.

Non ho visto grandi comunità crearsi intorno alle librerie, agli scrittori o agli eventi. Questi ultimi mi paiono molto più freddi e distanti rispetto a quanto visto, ad esempio, in Spagna, dove queste comunità sono molto presenti. Con gli autori francesi non posso dire di comunicare molto, non credo che in Francia i miei libri vendano meglio o siano più amati. Non è il luogo in cui mi sono fatta maggiore pubblicità, non ci ho nemmeno provato tanto. Forse la mia scrittura attecchisce di più in altri paesi. 


Tra russi, romeni e gagauzi non ci sono più quelle divisioni che alcuni partiti filorussi continuano a fomentare, poiché si è compreso che le bombe non fanno distinzioni


Che rapporto hai con l’Italia?

L’Italia ha un posto speciale nel mio cuore, l’italiano mi sembra la lingua più bella del mondo. Sono cresciuta con la passione per i film italiani. Per me l’italiano sarà sempre la mia prima lingua “latina”, a caratteri latini. Ho cominciato ad impararla prima del romeno, quando scrivevo ancora con i caratteri cirillici e la nostra lingua si chiamava “moldavo”. Ora vengo spesso in Italia, amo la gente, mi piace questo miscuglio di leggerezza, colori e gioia di vivere. È un luogo dove mi sento molto bene, sono lieta che anche il libro cominci ad essere letto e riconoscente al mio editore e alla traduttrice. 

Il 21 maggio 2023 hai partecipato a una grande manifestazione pro-europea a Chișinău con cui la Moldova ha affermato di appartenere all’Europa. È così? 

Penso di sì. Io credo nell’Europa, che il posto della Moldova sia in Europa e che i moldavi possono essere, e sono, europei. Non solo: per me la possibilità di ritornare sotto l’influenza della  Russia sarebbe un dramma. Anche se non abito più nel mio paese e non dovessi farvi più ritorno, non vorrei vederlo ricadere sotto il giogo di Mosca. Quanto accade in Ucraina è chiaramente uno scenario che poteva verificarsi già l’anno scorso in Moldova, se i nostri vicini non avessero resistito. Sono europea e vorrei che anche i miei amici possano entrare nell’Ue, senza essere costretti a lasciare la loro vita in Moldova.

Il percorso europeo della Moldova è cominciato ufficialmente il 25 giugno scorso con l’avvio ufficiale dei negoziati di adesione. È un passo importante?

Importante e difficile, è evidente. Non possiamo dire che il 100 per cento dei moldavi voglia entrare in Europa, ci sono quelli che votano i partiti filorussi e non condannano la guerra in Ucraina. Ma costoro hanno passaporti europei o documenti romeni e beneficiano di tutto quello che l’Europa offre. Non posso che deplorare questo atteggiamento ipocrita, di chi manda i figli a studiare in Europa, ha un’assicurazione sanitaria o possiede proprietà nei paesi europei, ma condanna chi non ha queste possibilità ed è costretto a vivere ciò che avviene in Ucraina.

Questa guerra scellerata ha tuttavia provocato un fenomeno molto positivo in Moldova. Tra russi, romeni e gagauzi non ci sono più quelle divisioni che alcuni partiti filorussi continuano a fomentare, poiché si è compreso che le bombe non fanno distinzioni. Alcune persone vorrebbero tornare sotto la Russia, è loro diritto. Ma forse è corretto dire che nemmeno la Russia è quella di un tempo, perché nemmeno i russi sono tutti come Putin. Nel mio caso, non ho la minima nostalgia per il passato. Desidero che la Moldova faccia parte dell’Unione europea. 

La Moldova ha accolto nei primi mesi dell’invasione russa in Ucraina circa 100mila cittadini ucraini. Cosa lega i moldavi a questo paese? 

I moldavi sono legati all’Ucraina sotto molti aspetti. Le prime vacanze dei moldavi erano sempre in Ucraina. Per me Odessa è una città del cuore, con la mia famiglia non andavo al mare in Romania, ma in Ucraina. Ci legano amicizie, imprese, famiglie miste, ricordi, film, il senso dell’umorismo. Questo paese è stato sempre a noi molto vicino. Per questo provo dispiacere nel vedere romeni o altri popoli europei dire “be’, in fondo la verità sta nel mezzo”, oppure “in questa guerra entrambe le parti sono colpevoli”, o ancora “in fondo gli ucraini sono russi”.

No, non è così, la verità non sta nel mezzo, è invece molto evidente e dolorosa. La verità è che la Russia sta sterminando l’Ucraina, questo sta succedendo. Sarà forse arrogante dire di essere orgogliosi che il proprio paese abbia fatto qualcosa per altri, ma per me l’esempio moldavo è straordinario. L’unione delle forze davanti al pericolo e il modo in cui la gente si è mobilitata accogliendo gli ucraini mi rende orgogliosa del mio paese.  

Il 20 ottobre si terranno le elezioni presidenziali, ma anche il referendum sull’adesione all’Ue. La rielezione di Maia Sandu non è scontata, per via delle ingerenze e della disinformazione russa.
I giovani moldavi possono fare la differenza? 

Certo, ma tutti possono fare la differenza. Come dici, c’è la manipolazione, ci sono evidenti interessi finanziari, c’è chi vuole a tutti i costi aggrapparsi al passato. Si tratta più che altro di nostalgia, molti in Moldova vengono pagati per alimentarla e disinformare. Mi addolora e mi preoccupa quando sono gli intellettuali a scegliere di farlo, perché era ciò che accadeva in Russia. Quando gli intellettuali divennero parte della macchina propagandistica, tutto andò in malora. Nessuno mette in dubbio il talento, ma cosa fare del proprio talento è una domanda che deve porsi chiunque si occupi di creazione. Sono fiduciosa che la Moldova farà la scelta giusta.


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Come viene vista la Moldova in Europa? Ce ne preoccupiamo abbastanza? 

Diciamoci la verità: gli europei non conoscono granché sulla Moldova. Molti hanno appena scoperto dove si trova sulla carta geografica, lo stesso vale per l’Ucraina. Dei moldavi si è parlato per anni nella cronaca per i furti, il traffico di esseri umani, la prostituzione. Tutto questo non infonde una gran fiducia e gli europei non saranno subito affascinati da questa nuova aggiunta all’Unione europea. Ma è accaduto con tutti i paesi appartenenti a un altro spazio culturale, con il tempo le cose si sono più o meno risolte. Ritengo che i moldavi possano vivere degnamente nell’Ue, rispettarne le regole e portare il proprio contributo particolare. 

La Moldova nell’Ue: un ticket per la riunificazione con la Romania? 

Non so, non sono una politica. Nelle condizioni attuali, è una formula che mi pare complicata, anche se lo è sempre stata. Mi sarebbe piaciuto che avvenisse, abbiamo perso tante occasioni. Avrei voluto che Romania e Moldova fossero riunite, ma le probabilità che accada adesso sono ancora più scarse di prima. Chissà, magari i politici troveranno altri espedienti e succederà. 

Cosa ti lega alla Romania? Ti senti una scrittrice moldava o una scrittrice romena? 

Mi sono sempre presentata come scrittrice romena. Per ma la letteratura romena è una sola. Anche se spesso vengo citata come autrice moldava, non ho mai rinunciato al sintagma “scrittrice romena della Moldova”. Anche se ometto “moldava”, resta comunque “scrittrice romena”.  Se la Moldova diventerà stato membro dell’Ue, non credo che ci sarà mai questo passaggio immediato e arriverò a definirmi “moldava”. Ha a che fare con un sentimento di tenerezza che mi lega alla cultura romena. Noi bessarabi abbiamo un’indole sensibile. Mi piace essere una scrittrice romena. 

Ti senti una scrittrice europea? 

No, perché non penso che esista un’identità europea. Per me l’Europa vuol dire poter scrivere nella propria lingua ed essere compreso da coloro che scrivono nella loro lingua. Conosco autori a Parigi che scrivono in italiano, ungherese, bulgaro e che si considerano europei. Nel mio caso è diverso. Non so se vivere in Europa mi rende una scrittrice europea. Penso di essere una scrittrice romena. 

Che rapporto hai con la lingua russa?

Un rapporto che cambia a seconda di quanto avviene in nome di questa lingua. Allo stesso tempo fa parte di me. Non posso dire ora di non averla imparata, di non esserci cresciuta insieme, che non mi piace o non ha significato molto. La lingua russa è stata tutte queste cose. Sono stata molto influenzata dagli scrittori russi e ci sono ancora oggi film in russo che amo. Ho degli amici russi. È molto importante operare questa distinzione tra il regime putiniano e la lingua russa.

Tuttavia, ammetto che da tanto tempo ormai non leggo in russo, non perché voglia bruciare i libri. Non accadrà mai, sono i libri della mia infanzia. Conservo anche i libri romeni scritti in cirillico, sono parte della mia vita. Proprio perché il russo è stato così importante per me, vivo un periodo complicato e di disorientamento. Sono domande molto soggettive a cui non tutti possono rispondere allo stesso modo. Conosco scrittori in Moldova che hanno rinunciato del tutto alla lingua russa, almeno così dicono. Non credo che sarà il mio caso. 

Ti senti meglio a Parigi o a Chișinău?

Ormai ho abitato a Parigi quasi lo stesso numero di anni che a Chișinău. Ciò non vuol dire che Parigi sostituirà mai quello che ho vissuto lì. Sono due dimensioni, due stanze completamente diverse, entro ora nell’una ora nell’altra. Si incontrano solo nella scrittura, non altrimenti. Non torno spesso in Moldova, è mia madre a venire a trovarmi. Ma la lingua romena per me vuol dire in primo luogo Chișinău, è lì che presento i miei libri quando escono e vedo per la prima volta coloro che li leggono in originale. E’ un legame molto importante e che non ha eguali. Quello di Chișinău è un piccolo mercato editoriale, ma per me è il più grande, perché le persone leggono le mie parole esattamente come le ho scritte. 

In futuro non mi vedo vivere in Francia, ma neppure in Moldova. Chi ha lasciato un luogo ha diritto di continuare ad amarlo come lo ha sempre amato. È il luogo della mia infanzia e buona parte della mia giovinezza. Sì, Chișinău resta per me una città importante. 

 

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