Mi è stato chiesto di chiarire cosa significhi, almeno per me, una “più corretta allocazione delle risorse”. Le cause e gli effetti. Rispondo volentieri. E parliamo del superbonus.
Mi permetto di non essere tanto sicuro. E’ mancato uno studio sistematico degli impatti che una tale somma poteva avere sulla ricchezza prodotta se spesa in altri settori. Ma metto da parte queste mie perplessità. Confermiamo pure che l’operazione andava fatta sugli immobili.
Prima considerazione: perché sull’edilizia privata? In Italia abbiamo 800mila case popolari, unanimemente riconosciute fatiscenti quando non anche cadenti. Consideriamo un costo di 100.000 Euro per la completa ricostruzione di tali abitazioni: 80 miliardi si sarebbero potuti spendere per sanare questa piaga sociale. Con i restanti 90 e più miliardi se ne sarebbero potute costruire almeno altre 500.000. Non abbiamo il grave problema abitativo, anche per gli studenti fuori sede? E, magari, non si sarebbe potuto dare una risposta sulla questione carceri? Il social housing così impostato avrebbe contribuito a migliorare l’emergenza abitativa che colpisce, in particolare, le fasce sociali più deboli del nostro Paese corrispondenti, secondo il Censis, a 3,5 milioni di persone.
Ancora. Un conto della serva, ma di evidenza assoluta: con questa diversa “allocazione” la spesa sarebbe stata impiegata al miglioramento del patrimonio dello Stato, con impatti su occupazione, PIL e loro “derivati” assolutamente simili. Investimenti e non spese: sempre di edilizia si sarebbe trattato ma con destinazione diversa. E la stessa cosa può tranquillamente dirsi per il risparmio energetico e le emissioni: o qualcuno immagina che le attuali case popolari siano “a norma” e ecologiche?
Si è scelto invece di favorire i privati. Per una distribuzione di ricchezza? E a chi? Ecco i risultati.
L’importo del superbonus, nella stragrande maggioranza dei casi, è andato a beneficio di proprietari con buone disponibilità economiche e tali da poter farsi carico dei costi di efficientamento edilizio/energetico. E’ la Corte dei Conti a dirlo: le somme sono state erogate a favore del 5,6 per cento dei contribuenti con meno di 40mila euro di reddito contro il 37 per cento circa di quelli con oltre 150mila euro, per la fascia intermedia spesso su seconde case e su villette. La distribuzione di interventi tra le Regioni ha visto il Mezzogiorno penalizzato in maniera impressionante. I dati sono chiarissimi. Robin Hood al contrario, dunque, per le persone e per i territori. Si, perché poi il debito lo paghiamo tutti, poveri compresi. E paghiamo anche qualche “danno collaterale”: la fiammata di nuove piccole imprese, poi sparite; un’occupazione temporanea che non è detto si stabilizzi; una fiammata dei prezzi, la distorsione dei mercati soprattutto quelli relativi alle materie prime necessarie…..
Spero sia più chiaro cosa intendo quando parlo, cause ed effetti, di non corretta allocazione di risorse.
Una considerazione aggiuntiva, di tenore più politico. Il Superbonus, sin dall’inizio della sua applicazione, è stato fortemente legato agli altri bonus edilizi (ristrutturazione edilizia, rigenerazione energetica, sisma, mobili, etc.). La Cgia ricorda che questo “intreccio” ha contribuito a far esplodere la giungla burocratico – legislativa: in questi anni ha comportato oltre 280 modifiche normative e relativi chiarimenti in materia di bonus edilizi, che tuttavia non hanno evitato la proliferazione di truffe ai danni dello Stato. Questa ultime calcolate in circa 25 miliardi dei quali quasi 15 già accertati. (8,6 di sequestri preventivi da parte dell’autorità giudiziaria e 6,3 sospesi).
Dunque si poteva fare meglio. Ma io non me la sento di attribuire tutte le colpe al Conte dell’epoca. Manca da tempo ogni progetto, e persino l’attitudine a preparare progetti, di efficiente investimento pubblico: un lavoro che si prepara se non si fanno guerre tra clan opposti con relative tifoserie allo scontro. Un giudizio di convenienza sarebbe stato dunque molto difficile.
Il problema più grosso è però un altro. Se le attività edilizie anziché essere “affidate” all’iniziativa privata si fossero affidate a quella pubblica, non avrebbero avuto lo stesso comportamento sul piano dei tempi di realizzazione e dunque sui tempi di rilancio della crescita produttiva: e quei tempi erano un elemento prioritario perché l’intera operazione doveva controbilanciare gli scempi che provocava la crisi economica del covid. Burocrazia e rispetto formale di leggi e leggine, assieme a qualche timore per “l’abuso di ufficio”, avrebbero portato la realizzazione delle opere, e dunque l’effetto di rilancio dell’economia, “fuori tempo”. E questa situazione è ormai atavica.
Dunque ritardi ed assenze di progettualità: e non c’è, ancora oggi, nessuna volontà di confrontarsi tra schieramenti. Timidezza sulla riforma dalla burocrazia: grande serbatoio di voti, e perciò da non mettere in discussione. Le cause degli “errori” sono chiare ed il loro costo è questo. Valgono denaro, distorta allocazione delle risorse, minore investimenti dall’estero, vantaggi in meno per la società. Tutti zitti. E continuiamo a farci del male. Le bandierine non si toccano.
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