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ROMA. I soldi da Bruxelles arrivano, ma non sappiamo spenderli. È la sintesi della storia italiana con il Pnrr. In particolare, per cinque delle sette “missioni” del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Infrastrutture, istruzione e ricerca, inclusione, salute e il cosiddetto “RePowerEu” (nuovo programma europeo per ridurre la dipendenza energetica dalle fonti di approvvigionamento estere) sembrano procedere alla moviola. Insieme, hanno una dote di 97,57 miliardi di euro: in pratica, la metà dei 194,4 miliardi complessivi. Ma, al primo semestre di quest’anno, ne hanno effettivamente spesi appena 16,55.

Stando alla relazione sull’attuazione del Pnrr dell’Ufficio parlamentare di bilancio, ad accusare i ritardi più significativi è la salute. Tanto più se si considera la fragilità del sistema attuale (si pensi solo al personale medico e paramedico che manca all’appello nella sanità pubblica). Ebbene, al 30 giugno 2024, su una dotazione complessiva di 15,63 miliardi di euro ne risultano utilizzati 1,82 (pari al 12%). Eppure, per questo capitolo, sono previsti progetti importanti: il rafforzamento della prevenzione, dell’assistenza territoriale, la garanzia di accesso alle cure, l’ammodernamento della dotazione strutturale del sistema sanitario nazionale, l’investimento in ricerca scientifica biomedica e sanitaria. Attuati? Nell’ultima relazione sullo stato di attuazione del Pnrr presentata a luglio scorso dal ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, compare il finanziamento di 650 farmacie rurali in comuni con meno di 5 mila abitanti e la realizzazione di progetti di telemedicina in tutte le regioni e province autonome.

Non va meglio per istruzione e ricerca. Il budget totale stanziato è di quasi 31 miliardi di euro (il più cospicuo delle missioni qui prese in esame), ma finora ne sono stati usati appena 6,73. In questo caso, gli investimenti servono a promuovere l’innovazione e la diffusione di tecnologie, a rafforzare le competenze, ad aumentare il “ponte” fra università, centri di ricerca e imprese. Ma, stando al monitoraggio, finora ci si è limitati al completamento delle riforme dell’istruzione primaria, secondaria e terziaria, all’assegnazione di 55 mila borse di studio per l’accesso all’università e all’avvio per il finanziamento di 3.753 progetti di ricerca di interesse nazionale.

Per quanto riguarda i trasporti e le infrastrutture, gran parte delle risorse copre ammodernamento e potenziamento della rete ferroviaria (merci e passeggeri) nell’ottica della mobilità sostenibile. Il piano prevede il completamento dei principali assi ad alta velocità e capacità. Come, per esempio, i collegamenti alta velocità sulle linee Brescia-Verona, Verona-Bivio-Vicenza, Orte-Falconara, Taranto-Metaponto-Potenza, Battipaglia-Romagnano (alternativa all’ormai famigerata tratta stradale Salerno-Reggio Calabria). E ancora, il terzo valico ferroviario dei Giovi in Liguria e il doppio binario Palermo-Catania. Vi sono poi interventi per lo sviluppo del sistema portuale, interporti, viadotti e digitalizzazione dei sistemi logistici. In questo caso, sono stati spesi 6,61 miliardi di euro dei circa 24 miliardi totali (ma parte degli appalti ferroviari erano stati avviati in precedenza).

Fanalino di coda anche un’altra missione decisiva come “inclusione e coesione”. Quasi 17 miliardi per l’occupazione femminile e giovanile, l’imprenditorialità delle donne, la formazione e la riqualificazione dei lavoratori. Ma anche per ridurre uno dei problemi atavici del mercato del lavoro italiano: quel mismatch delle competenze alla base della scarsa “occupabilità” di molti lavoratori, anche laureati. Spesa al primo semestre 2024? Poco più di un miliardo di euro. Fra i motivi della lentezza della spesa, ci sarebbe la carenza di specializzati per i progetti europei e gli appalti. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, nel 2022 sono stati assunti 2.500 tecnici a fronte dei 15 mila attesi. «In particolare nel Mezzogiorno – sottolineano i magistrati contabili -, molte amministrazioni non hanno competenze adeguate per seguire procedure così complesse come quelle del Pnrr».

C’è chi punta il dito sulle confusioni dei ministeri competenti. Un caso emblematico riguarda il progetto chiave di 265 mila nuovi posti negli asili nido. Nel 2022, il ministero dell’Istruzione aveva scritto un maxi-bando da 3 miliardi di euro ma l’Ufficio parlamentare di bilancio lo ha bocciato per “criteri discrezionali” e senza apparente fondamento. Tutto da rifare. Altre volte, ci sono ritardi nella pubblicazione delle graduatorie dei progetti da finanziare. Fra le cause, pare, anche la tardiva attivazione della piattaforma ReGis, il sistema di monitoraggio e rendicontazione della Ragioneria di Stato, andato a regime solo nell’estate del 2022 invece del 2021.

Come noto, la struttura di missione del Pnrr istituita dalla premier Giorgia Meloni è stata affidata a Fitto. La “regia”, spostata a Palazzo Chigi, ha lasciato a carico del Mef la rendicontazione a Bruxelles. Ma, sussurra qualcuno, questo cruscotto che trasferisce i dati da Roma oggi non “dialoga” con la struttura centrale.

 

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