La vendita di un immobile ristrutturato con il bonus 110% può comportare rischi fiscali, tra cui la possibilità di recupero di Iva e Irap non versate. In alcuni casi, può anche essere contestata la legittimità stessa dell’agevolazione fiscale.
Chi vende un immobile dopo aver beneficiato del Superbonus deve quindi prestare attenzione a questi aspetti, per evitare contestazioni da parte dell’Agenzia delle entrate, che potrebbe chiedere la restituzione delle somme o applicare sanzioni. Approfondiamo questi aspetti:
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Casa ristrutturata con il bonus 110%, quali sono i rischi fiscali -
E c’è anche la questione della sovrattassa da pagare
Casa ristrutturata con il bonus 110%, quali sono i rischi fiscali
Vendere un immobile ristrutturato con il bonus 110% può esporre a rischi fiscali poiché l’Agenzia delle entrate potrebbe considerare questa attività come imprenditoriale. Se il fisco interpreta la vendita come parte di un’attività imprenditoriale, il venditore potrebbe essere soggetto a Iva e Irap e potrebbe perdere l’agevolazione Superbonus, dovendo restituire le detrazioni già usufruite.
La giurisprudenza, compresa una sentenza della Corte di Cassazione del 2022, conferma che anche un singolo affare di rilievo economico può configurare attività d’impresa. In particolare, l’articolo 55 del Tuir considera imprenditoriale qualsiasi attività che richieda una serie di operazioni economiche rilevanti, come quelle necessarie per usufruire del Superbonus.
La legge 213 del 2023 ha introdotto altre complicazioni, imponendo la tassazione delle plusvalenze realizzate dalla vendita di immobili ristrutturati con il bonus 110% se venduti entro 10 anni dalla fine dei lavori. Significa che, se l’Agenzia delle entrate interpreta l’operazione come speculativa, il venditore si troverebbe non solo a dover pagare l’Iva e l’Irap, ma anche a restituire il beneficio fiscale.
Il quadro normativo e giurisprudenziale richiede massima attenzione da parte di chi intende vendere un immobile ristrutturato con Superbonus, per evitare di incorrere in pesanti sanzioni e nel recupero delle agevolazioni fiscali già ottenute.
E c’è anche la questione della sovrattassa da pagare
Il governo ha introdotto diverse misure per prevenire l’uso speculativo del bonus 110%, soprattutto nella sua versione al 110%. Dal primo gennaio 2024, è in vigore una sovrattassa del 26% sulla plusvalenza realizzata dalla vendita di immobili ristrutturati con il Superbonus e venduti entro 10 anni dalla fine dei lavori.
Questa tassa non si applica alla vendita della prima casa e prevede esenzioni per gli immobili acquisiti tramite donazione o successione. I costi di ristrutturazione sostenuti nei 10 anni precedenti la vendita diventano indeducibili, a meno che non siano stati finanziati con versioni ridotte del Superbonus o dichiarati nella dichiarazione dei redditi.
Secondo una circolare dell’Agenzia delle entrate, l’indeducibilità riguarda solo le opzioni di cessione del credito e sconto in fattura, escludendo chi ha usato il Superbonus nella dichiarazione dei redditi. Queste misure mirano a garantire che il bonus 110% venga utilizzato per il miglioramento delle abitazioni e non per scopi speculativi.
In pratica, l’extra tassa si applica alle plusvalenze generate dalla vendita di seconde case ristrutturate con il Superbonus. La tassa non riguarda le prime case, che sono esenti dal prelievo se l’immobile è stato utilizzato come residenza principale per la maggior parte dei dieci anni precedenti alla vendita. Per le seconde case, l’aliquota del 26% si applica alla plusvalenza calcolata come la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto, senza poter dedurre le spese sostenute per i lavori coperti dal Superbonus.
Sono esentati dall’extra tassa gli immobili acquisiti per successione o donazione. Gli interventi agevolati con aliquote inferiori, come il Superbonus al 90% o al 70%, non rientrano nel calcolo della tassazione. Questo implica che l’imposta aggiuntiva si applica solo agli immobili ristrutturati utilizzando l’aliquota del 110%.
La finalità principale di questa tassa è quella di disincentivare la speculazione immobiliare che sfrutta le agevolazioni fiscali del Superbonus, evitando che i proprietari traggano ingenti profitti senza contribuire al gettito fiscale.
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