Le pmi rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana e giocano un ruolo importantissimo sia in chiave economica sia in chiave sociale. Ma quante di loro sono «a prova di futuro»? È questo l’interrogativo posto alla base dello studio «Obiettivo Sparkling» realizzato da Sace in collaborazione con Teha Group che sarà presentato sabato 7 settembre in occasione del Forum The European House – Ambrosetti a Cernobbio e che Milano Finanza ha visionato in anteprima.
Le direttrici su cui gli imprenditori devono investire
Con l’acronimo Sparkling, Sace ha identificato le direttrici su cui manager e imprenditori devono investire per poter rafforzare la competitività delle proprie aziende e farle crescere in modo sostenibile in Italia e nel mondo: Smart, Proactive, Agile, Revolutionary, Kinetic, Leader, Innovative, New, Green.
Lo studio, che sarà illustrato dall’ad di Sace, Alessandra Ricci, con il senior partner e responsabile dell’Area Scenari e Intelligence e dello Sviluppo Internazionale di Teha Group, Lorenzo Tavazzi, approfondisce il ruolo strategico delle 200 mila pmi presenti nel tessuto economico e produttivo italiano e analizza le trasformazioni che spingeranno la competitività del Made in Italy nel mondo.
Otto filiere a rilevanza sistemica
Le filiere prese in esame della ricerca sono 28 e di queste otto possono definirsi «a rilevanza sistemica», ovvero a elevata rilevanza economica e relazionale (calcolate sulla base di indicatori come il numero di addetti, il fatturato, l’età e l’intensità di capitale, e il contributo all’attivazione del settore e del sistema economico).
Macchine industriali, edilizia, agro-alimentare, abbigliamento, mezzi di trasporto su gomma, energia, sanità, farmaceutica e cure: queste le otto filiere sistemiche che da sole rappresentano un valore aggiunto sulla produzione pari a 300 miliardi. Innovare i prodotti puntando sull’approccio 4.0 e investire nel capitale umano aiuta le imprese non solo a esportare in maniera consolidata ma anche a far diventare esportatrici quelle che non lo sono.
Chi esporta di più?
Le imprese italiane esportatrici sono 121 mila (2,6% sul totale delle imprese), di cui quasi la metà (45%) sono pmi. Dallo studio emerge che la propensione all’esportazione è direttamente legata alla dimensione di impresa: solo il 18% delle piccole imprese esporta più della metà del proprio fatturato, a fronte di quasi il 33% per le medie e quasi il 40% per le grandi. Maggiori percentuali di fatturato all’export contribuiscono a una più elevata redditività delle imprese.
Sace e Teha hanno individuato le due principali leve strategiche per aumentare la propensione all’export: da un lato la trasformazione tecnologica, anche in chiave sostenibile e dall’altro l’approccio multi-filiera. Non a caso l’evoluzione verso la filiera viene posto al centro dello studio. Un passaggio centrale per la competitività internazionale delle pmi, grazie all’interconnessione dei processi produttivi e alle economie di scala.
All’interno del rapporto, vengono infine individuate le tre filiere prioritarie del futuro: edilizia intelligente, agro-alimentare, energie rinnovabili e alternative. (riproduzione riservata)
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