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Alessio Pinzone, Senior Director Renewable Energy presso RINA Prime, ha detto a pv magazine Italia che “per evitare rischi, gli operatori dovrebbero scegliere un partner agricolo strutturato”.


Lunedì 2 alle ore 12 si sono conclusi i termini di presentazione delle domande per il decreto ministeriale Agrivoltaico. In tutto 643 richieste di partecipazione, circa 920 milioni di euro, una cifra inferiore alle risorse stanziate, che supera il miliardo. Secondo il regolamento operativo GSE, “resta inteso che l’aggiudicazione si estenderà fino al raggiungimento delle risorse finanziarie attribuite alla misura”.

Le aggiudicazioni avverranno nel limite delle risorse finanziare disponibili, facendo prevalere le richieste di iscrizione alle aste. Queste sono riservate a impianti di qualsiasi potenza realizzati da imprenditori agricoli e aggregazioni di cui faccia parte almeno un operatore agricolo.

Ha quindi senso chiedersi se ogni progetto ammissibile sarà considerato vincitore e, più in generale, cosa succederà a questi 643 progetti. pv magazine Italia ne ha parlato con l’ingegner Alessio Pinzone, Senior Director Renewable Energy presso RINA Prime.

pv magazine Italia: Lei ha accennato al fatto che le associazioni temporanee di imprese (ATI) potrebbero anche essere formate con la partecipazione di soggetti agricoli poco bancabili e non strutturati per lavorare con gli standard di una centrale elettrica fotovoltaica. Considerando che le ATI non si possono cambiare fino a termine costruzione, cosa succederà a questi soggetti?

Alessio Pinzone: È possibile che alcuni produttori di energia abbiano sottovalutato la possibilità di modificare il partner agricolo, soprattutto in una situazione di ATI costituenda.

Cosa comporta avere un partner poco bancabile?

Potrebbe rendere più complessa la fase del finanziamento del progetto o, ancora peggio, potrebbe portare al rischio di non finalizzare la formazione dell’ATI.

Lei ha spiegato in altri contesti che c’è il rischio che qualche società più “aggressiva” abbia partecipato con solo la VIA ottenuta. Nel caso di grandi impianti, saremo sicuri che riusciranno a rispettare la deadline di fine costruzione a giugno 2026?

Spero vivamente che non ci siano soggetti che hanno adottato tale strategia poiché, in quel caso, vedo molto complesso rispettare le scadenze imposte dal GSE. In realtà le penali per il non rispetto di tale scadenza sono limitate e, nel peggiore dei casi, il rischio, oltre alla perdita degli incentivi del bando, sarebbe limitata in quanto il bando non prevedeva alcun bond di garanzie da emettere.

Lei ha accennato al fatto che si parla a volte di centinaia di milioni di investimento per un’attività con un reddito estremamente limitato. Siamo sicuri che tutte le ATI costituende poi verranno finalizzate? 

A mio parere questo aspetto è stato molto sottovalutato nelle ATI costituende e durante la formalizzazione dell’ATI potrebbe spaventare molti agricoltori. Quelli che in una prima fase hanno accettato con leggerezza la creazione di un ATI costituenda facendo quindi saltare tutto il progetto. Il partner agricolo non può essere modificato prima dell’avvio operativo dell’impianto.

Oltre ai classici controlli imposti, come verrà monitorato il processo?

Sarà molto interessante da vedere. Per i primi cinque anni il controllo sarà principalmente interno e solo al sesto anno il GSE effettuerà dei controlli direttamente. Affrontare l’attività agricola senza avere un partner strutturato in grado di monitorare i dati e di adottare un protocollo chiaro è rischioso.

Quali potrebbero essere i rischi?

Quello di ritrovarsi un compagno di progetto che difficilmente sarà controllabile e, qualora la Produzione Lorda Vendibile (PLV) non venisse rispettata, sarebbe complesso rimediare in qualche modo.

Quale sarà la formula contrattuale tra l’agricoltore e la società energetica per la gestione dei terreni?

Questo è un tema molto complesso, soprattutto nel caso di diritto di superficie. L’azienda agricola infatti opera su un terreno che non è di proprietà né dell’azienda né del produttore di energia. Ci sono molte discussioni in atto e gli operatori stanno affrontando la questione con diversi approcci.

Il diritto di superficie non dà, se non esplicitato, la possibilità di coltivare, giusto? Siamo sicuri che tutti i progetti prevedono già tale opzione con i proprietari? In caso contrario cosa succederà?

Difficile dirlo ora. Onestamente lo spero vivamente, perché in caso contrario sarà complesso modificare o aggiornare l’accordo di diritto di superficie e temo che tali modifiche possano rappresentare un ulteriore onere per il produttore di energia.

Come verranno gestite le vendite del prodotto finale negli impianti più grandi, considerando che sarà un obbligo per raggiungere la PLV?

La vendita alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) non è molto dissimile da un PPA energetico. Ci vogliono competenze e persone che sappiano gestire il tutto. Presumo che gli istituti di credito chiederanno un accordo bilaterale per la vendita del prodotto. Questo accordo dovrebbe essere gestito direttamente dall’azienda agricola sperando e dando per scontato che sia strutturata per farlo.

Cosa succede se si bloccasse l’attività agricola o zootecnica? Quali rischi ci sarebbero per il produttore di energia?

Rischi enormi. Come definito in forma scritta anche dal Programma Regionale Energia Ambiente e Clima (PREAC) di Regione Lombardia, il mancato requisito “comporterà la revoca dell’autorizzazione, con conseguente ripristino dello stato dei luoghi e la messa in sicurezza dell’area”.  Avere un partner agricolo capace di gestire un’attività all’interno di un impianto di produzione elettrica continuativa e abbastanza strutturato da aiutare nella strutturazione di un finanziamento o gestire in maniera ingegneristica tutto il processo non è facile da trovare e credo che gli operatori saranno sempre più attenti nella selezione di tale soggetto.

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