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Complessità e incertezze hanno caratterizzato la procedura per la concessione del credito d’imposta Zes, tanto da richiedere cambiamenti in corsa. Il ripensamento ha però fatto emergere indicazioni utili su come rendere più efficace l’agevolazione.

Una procedura complessa

Il nuovo credito di imposta per la Zes Unica si caratterizza, rispetto al passato, per il suo carattere non automatico, così da evitare che l’ammontare dei crediti richiesti ecceda il limite di spesa fissato dalla norma.

Il decreto attuativo della misura prevedeva dunque alcune disposizioni:

  1. le imprese dovevano comunicare all’Agenzia delle entrate, entro lo scorso 12 luglio, l’ammontare degli investimenti già sostenuti o che prevedevano di sostenere entro il 15 novembre 2024;
  2. l’Agenzia provvedeva così a calcolare il rapporto percentuale tra il limite di spesa e il valore complessivo dei crediti d’imposta richiesti;
  3. il credito d’imposta fruibile da ciascuna impresa sarebbe stato pari al credito richiesto moltiplicato per la percentuale del punto 2).

Il 22 luglio l’Agenzia delle entrate ha comunicato che i crediti richiesti ammontavano a 9,45 miliardi di euro, rispetto a un limite di spesa di 1,67 miliardi: la percentuale del punto 2) risultava perciò pari al 17,6 per cento.

Di fronte a questa sensibile e, presumibilmente inattesa, discrasia, il governo è intervenuto d’urgenza con il decreto legge n. 113 del 9 agosto 2024, stanziando altri 1,6 miliardi e ribadendo che la percentuale definitiva per la quale moltiplicare il credito d’imposta richiesto deriverà dal rapporto tra i nuovi limiti di spesa previsti dal decreto e le domande relative ai soli investimenti realizzati.

L’esplosione delle richieste

Secondo quanto comunicato dal ministro Fitto, le richieste di credito di imposta per l’anno 2023 si sono attestate a 1,3 miliardi di euro. Cosa può aver determinato, nel 2024, un incremento superiore al 700 per cento? Vi hanno contribuito due circostanze oggettive.

La prima riguarda gli incrementi, rispetto al 2023, delle aliquote del credito di imposta, a seguito dell’adozione dei massimali previsti dal nuovo regime europeo sugli aiuti a finalità regionale. Gli aumenti variano, a seconda delle regioni e delle tipologie di imprese, tra il 33 e il 60 per cento.

Questi incrementi dovrebbero incidere sulle maggiori richieste anche in virtù della loro potenziale capacità di consentire investimenti che altrimenti non sarebbero stati effettuati.

La seconda circostanza consiste nell’aumento a 100 milioni di euro del massimale di credito usufruibile. Sino al 2023, era fissato in 3, 10 e 15 milioni rispettivamente, per piccole, medie e grandi imprese. Si tratta pertanto di un’estensione da cui possono derivare sensibili aumenti degli importi di credito richiesti, soprattutto considerando che l’ampliamento è stato accompagnato dalla possibilità di includere anche i terreni e i fabbricati tra gli investimenti eleggibili.

Al di là di queste circostanze, l’incremento degli importi richiesti può dipendere anche dalla nuova procedura introdotta dal decreto Zes, che ha consentito alle imprese la “prenotazione” del credito non solo per gli investimenti sostenuti, ma anche per quelli che intendevano realizzare entro il 15 novembre. 

Tuttavia, come riferito dal ministro Fitto, dei 9,45 miliardi di crediti richiesti al 12 luglio, solo 200 milioni sono riferibili a investimenti già completati. La realizzazione di investimenti in grado di generare crediti d’imposta per 9,25 miliardi dovrebbe quindi avvenire in soli quattro mesi. Il che rende plausibile che molte imprese abbiano richiesto crediti superiori rispetto agli investimenti che intendono effettivamente sostenere.

Si tratta di comportamenti opportunistici, facilitati dall’assenza di sanzioni in caso di mancato adempimento di quanto dichiarato nella domanda e motivati dall’aspettativa di una proroga del termine per la conclusione degli investimenti o dalla tendenza a “prenotare” comunque risorse pubbliche.

Dietro queste richieste sovradimensionate potrebbero celarsi anche strategie più distorsive, tese a “mettere pressione” per ottenere aumenti degli stanziamenti (cosa poi avvenuta) o a ridurre l’aliquota attesa del credito, per scoraggiare artatamente gli investimenti da parte di altre imprese.

L’incertezza sull’intensità dell’agevolazione

Se le imprese meridionali tenessero conto unicamente delle informazioni oggettive, dovrebbero prendere le loro decisioni di investimento sulla base di un valore atteso dell’aliquota pari al credito richiesto moltiplicato per 0,344 – percentuale che corrisponde al rapporto tra i nuovi limiti di spesa (3,27 miliardi) e il valore complessivo delle domande presentate sino al 12 luglio (9,45 miliardi).

Si tratterebbe di un valore atteso dell’aliquota sensibilmente inferiore a quanto indicato nella legge. In Campania, il valore si attesterebbe, per una piccola impresa, al 20,6 per cento, ben al di sotto sia del 60 per cento previsto per il 2024, sia del 45 per cento ottenuto in passato.

Dovremmo pertanto attenderci un volume di investimenti inferiore rispetto agli anni precedenti. In caso contrario, emergerebbe un’evidenza che le imprese meridionali siano state, in passato, fin troppo sussidiate.

È tuttavia possibile che il valore atteso dell’aliquota sia influenzato anche dalla quantità e qualità delle informazioni di cui ciascuna impresa dispone sulla dimensione delle domande sovradimensionate presentate. Informazioni che dipenderebbero dal diverso grado di integrazione e conoscenza degli schemi comportamentali adottati nei contesti e nei network in cui si opera.

Le imprese esterne o meno integrate sconterebbero perciò un più incerto valore atteso dell’aliquota e un conseguente svantaggio competitivo.

In conclusione, i dati dell’Agenzia delle entrate sugli investimenti effettivamente sussidiati saranno importanti per fissare, in futuro, uno stanziamento congruo rispetto alle nuove aliquote e ai nuovi massimali. Se lo stanziamento non dovesse risultare sostenibile, sarebbe più semplice ed efficace una loro riduzione invece di sottoporre le imprese alle distorsioni dell’attuale procedura.

Il processo attuale sembra difatti favorire comportamenti come le richieste sovradimensionate, che non sono in linea con sistemi valoriali basati sulla cultura della responsabilità e della leale concorrenza. A loro volta, questi comportamenti producono incertezze e inefficienze sulle decisioni di investimento. Pur con vari limiti, un’altra possibile alternativa per ridurre le distorsioni è quella di adottare un meccanismo a “rubinetto”, in cui venga assicurato il beneficio dell’aliquota di legge sino a quando le richieste (relative ai soli investimenti già realizzati) non eccedano i limiti di spesa.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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