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ANCONA L’energia nucleare non come alternativa alle rinnovabili, ma come complemento. Per centrare i target di decarbonizzazione, stabilizzare i costi, azzerare le differenze con gli altri paesi europei e abbassare le bollette delle imprese e dei cittadini, c’è una rivoluzione in corso che trova un partner in Confindustria Marche. Già ne discuteva a giugno scorso all’assemblea del Consorzio Confindustria Energia Adriatica dando così il suo avallo al Piano nazionale integrato energia e clima del Governo.

Il documento

Il Pniec che punta, dopo il 2030, sui piccoli reattori modulari a fissione (Smr) e, a medio termine, sull’energia da fusione. «Se pur stabilizzato dal 2022 – interviene Alessandra Baronciani, presidente di Confindustria Pesaro e Urbino – il costo dell’energia e delle fonti energetiche è un problema». Cita, ad esempio, il crollo del prezzo del metano da 38 a 32 €/MW provocato dalla notizia, poi sconfessata, di un accordo fra Ucraina e Azerbaijan per il transito di gas verso l’Unione. Evidenzia «la fragilità dell’Italia sbilanciata sul gas metano. Inoltre – incalza – non possiamo pagare l’energia fino al 50% in più rispetto alle aziende tedesche, spagnole o francesi, come non possiamo continuare a non poter fare delle corrette previsioni. Nelle Marche, ogni euro a megawattora in più che paghiamo di energia elettrica e gas metano costa ogni anno in bolletta oltre 20 milioni di euro da dividere tra pubblico e tutti i settori del privato».

Come è complicato fare delle previsioni sulla crescita dell’energia da fonti rinnovabili. Entro il 2030, le Marche dovranno garantire una potenza aggiuntiva di 2.313 MW. Certo c’è il bando regionale di prossima pubblicazione (30% a fondo perduto e finanziamento agevolato) «che stimolerà le nostre aziende – commenta il presidente di Confindustria Marche, Roberto Cardinali – ad investire nel fotovoltaico ma – avverte – impone a chi gestisce le infrastrutture di potenziare la rete. Troppi i segnali di criticità per colpa del sovraccarico o per problemi di manutenzioni». Perché la vera incognita sono i maxiprogetti. Per le comunità locali deturpano e distruggono i paesaggi. Sono in attesa di Via, al Ministero dell’ambiente 44 aerogeneratori per una potenza complessiva di 137,6 MW che mirano a imbrigliare il vento sui crinali che corrono dell’alto Anconetano all’alto Maceratese.

Il salto di qualità

Consentirebbero di far fare un salto energetico considerevole per le Marche che, finora, attraverso 50 impianti eolici, ha 19,5 MW installati che hanno, nel 2022, generato 37,8 GW (il 0,2% della produzione nazionale). In realtà chi produce sono le 5 turbine sul Monte dei Sospiri ad Apecchio con 22 MW annui. Pari al consumo ad uso civile di 17 mila abitanti. Sull’Adriatico invece, 30 km al largo di Fano, prenderebbe corpo l’ipotesi di un parco eolico off-shore. Uno dei cinque siti della società ravennate Agnes tra le coste venete e abruzzesi. Il parco grande 84 turbine completo di pannelli fotovoltaici, avrebbe una potenza complessiva di 1050 MW.

La posizione

«Condivido il parere del presidente Confindustria Orsini sull’incognita dei prezzi e degli obiettivi del piano nazionale fa che condivido, – dichiara il marchigiano Cardinali – L’Italia deve fare delle scelte coraggiose come un ritorno all’energia nucleare di nuova generazione. Unica vera alternativa da abbinare alle rinnovabili per sostituire il gas metano e diversificare le fonti. Perché l’indipendenza energetica è una questione di sicurezza nazionale e perché ridà competitività alle nostre aziende». E aggiunge: «I costi energetici hanno incrementato i costi delle materie prime, dei beni, ridotto la liquidità, eroso i margini di profitto, messo a rischio la sopravvivenza delle nostre aziende e i posti di lavoro». L’inizio di un “Rinascimento nucleare”?



 

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