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nei bunker sotto i bombardamenti La Nuova Sardegna #finsubito richiedi mutuo fino 100%


Sassari Le ultime ore le hanno vissute nei bunker, al riparo. I bombardamenti israeliani nel Libano del sud hanno fatto scattare il “livello di allerta 3” nelle basi dell’Unifil, gli avamposti delle Nazioni Unite che ospitano i soldati impiegati nella missione di “peacekeeping”, letteralmente “mantenimento della pace”, comandata dai militari della Brigata Sassari (circa 500 attualmente in Libano su un totale di 1076 militari italiani) che da diversi mesi guidano i caschi blu in Libano e che sembrano destinati a restare in azione, nonostante tutto. «Il livello di allerta 3, il massimo, per i caschi blu italiani di Unifil, non è una novità dall’inizio della guerra in Medio Oriente – spiega Andrea Tenenti, portavoce della missione delle Nazioni Unite in Libano –. L’allerta 3 c’è sempre stata, sin dall’ottobre dello scorso anno. Ogni volta che ci sono dei bombardamenti si va nei bunker e si alza a 3 il livello di allerta. Non è la prima volta. L’allerta 3, essendo quella di massimo livello, copre un ampio ventaglio di situazioni». Ieri, però, Al Jazeera aveva segnalato la presenza di circa quaranta mezzi blindati israeliani concentrati nei pressi del quartier generale della missione, nella zona di Maroun al-Ras. Per quanto poi l’accerchiamento non abbia portato a nulla, Hezbollah aveva comunque accusato Israele di utilizzare le basi Unifil “come scudi umani” raccomandando ai combattenti “di non agire per preservare la vita dei peacekeeper”. La cronaca, poi, racconta altri aspetti di una vicenda quanto mai complessa e complicata da verificareperché dal Libano arriva anche il racconto delle truppe israeliane lanciate all’inseguito le forze irlandesi dell’Unifil impegnate lungo il confine libanese-israeliano. E l’Asse della Resistenza libanese ha descritto uno scontro diretto con le “forze israeliane infiltrata dietro una postazione Unifil”.

La posizione italiana Dopo le notizie poco rassicuranti arrivate dal Libano tramite Al Jazeera, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto di aver contattato il suo omologo israeliano, Israel Katz, e di aver condiviso “una richiesta di assicurare massima tutela al contingente Unifil”. Katz ha garantito la sicurezza del contingente Unifil. Anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha cercato di aprire un canale di mediazione chiedendo “che sia garantita la sicurezza dei caschi blu dell’Onu in Libano” per poi aggiungere, e sottolineare, “il rischio di una guerra totale in Libano”, per quanto poi, sempre secondo Guterres, “c’è ancora tempo per fermarsi”. Affermazioni, quelle del ministro israeliano e del segretario dell’Onu, che potrebbero non aver ottenuto i riscontri sperati. Ormai da giorni – come aveva riferito Il Messaggero – si parla di un piano di sgombero dell’intero contingente Onu in Libano. Il quotidiano romano ha indicato i nomi delle due navi militari anfibie, la San Marco e la San Giusto, ormai non lontane dalle acque libanesi, che sarebbero pronte ad organizzare l’evacuazione utilizzando il piccolo porto di Naqura, poco più di un molo a pochi chilometri dal confine tra il Libano e Israele, dunque in una zona piuttosto complicata, perlomeno secondo quanto riportano i bollettini di guerra che arrivano proprio dalle aree meridionali del Libano. Entrambe la navi citate dal Messaggero erano già state in Libano appena quattro anni fa, poco dopo la gigantesca esplosione che aveva sventrato il porto di Beirut. A livello istituzionale, tuttavia, nessuno parla di evacuazione: «No, non andiamo via. Abbiamo valutato le possibilità ma non c’è alcuna decisione del governo di ritirare il contingente italiano dall’Unifil, anzi, durante la riunione del tavolo permanente abbiamo chiesto di allargare le competenze», ha detto il ministro Tajani. 



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