Savona – Per il momento non andrà più in carcere. Questa per suor Cesarina Lavagna non è una buona notizia. Ma Madre Cristina, ha deciso così. Superiora delle suore di Maria Vergine Immacolata, un’istituzione nella città di Savona. Le chiamano ancora «le suore della notte», perché calata la sera uscivano dal loro convento, a lato della chiesa di Sant’Andrea in piazza Consoli.
Uscivano ed escono anche oggi, per dare assistenza ai senzatetto, a chi non ha una casa, dorme sui marciapiedi, per strada. La storia delle «suore della notte» qui la conoscono tutti, come tutti conoscono quello che ha fatto per le famiglie savonesi suor Cesarina. Conoscono anche l’ultimo passaggio della sua storia. L’ultimo capitolo della suora della prigioni l’hanno scritto così: due giorni fa è stata denunciata a piede libero per «introduzione illecita di telefonino in carcere». Un micro-smartphone che era stato nascosto all’interno di un peluche. Lei all’ingresso del carcere genovese di Marassi è passata sotto il metal detector e il dispositivo ha iniziato a suonare. Denunciata a piede libero, articolo 391 ter, appena introdotto nel codice penale.
Se ci sarà un processo si vedrà, il rischio è un’eventuale condanna che può variare da uno a quattro anni. Intanto suor Cesarina non andrà più in carcere a Genova e neppure a Sanremo o Pontedecimo, penitenziari che raggiungeva in treno per ascoltare e confortare i detenuti della sua città, Savona. Così ha deciso la congregazione.
E la notizia in città ha lasciato il segno, ha diviso, creato imbarazzo nella Curia, anche se le «suore della notte» hanno una loro gerarchia, non dipendono direttamente dal vescovo Gero Marino. Tutti, ieri, preferivano il silenzio. «E questo è un male, la cosa più grave, che non ci sia stato subito qualcuno che abbia ricordato quando bene ha fatto, fa e farà Cesarina. Non uno, un direttore del carcere, una consorella, un rappresentante del clero o delle istituzioni. Bene, allora lo faccio io: suor Cesarina merita tutto il rispetto delle terra e del cielo».
Lui parla, è don Giovanni Lupino, cappellano del carcere savonese di Sant’Agostino dal 1987 al 1995 e poi dal 2010 fino alla chiusura di otto anni fa. «Cesarina era sempre al nostro fianco, mio e dei volontari, che non sempre sono ben visti dagli agenti, come mi sembra confermi una buona parte dei comunicati arrivati dopo l’episodio di Marassi. Amo come fratelli gli agenti, ma non capisco la diffidenza nei confronti dei volontari e condannerò sempre chi usa ancora metodi repressivi e brutali: fidatevi, accade. E non capisco perché la sorella di quel povero tossico, la savonese che ha consegnato a Cesarina il peluche non dica la verità: che la suora non ne sapeva niente e che il telefonino lo aveva messo lei».
È un fiume in piena Don Lupino, che oggi anima il centro studi nella parrocchia savonese del Sacro Cuore. Ricorda: «Ho capito il Vangelo molto più in carcere che nelle parrocchie. La situazione carceraria è disperata e il candidato alle regionali Orlando, che è stato ministro di Giustizia, farebbe bene a portare avanti il progetto per un istituto moderno in ogni città. Chi è detenuto può fare un vero percorso di recupero solo se non perde la vicinanza con gli affetti più cari. Così era nel vecchio e decrepito carcere di Savona. Era uno schifo, ma eravamo una famiglia. E Cesarina era e resterà una forza, con la sua generosità, a tratti anche troppo ingenua. Non l’ho ancora sentita: ma non uscirà di scena così, lo farà con una grande festa, dove tutti le diremo grazie».
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