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Sa Perda Pintà – conosciuta anche con il nome di Stele di Boeli dal nome della località in cui venne ritrovata e inizialmente classificata come menhir – è venuta alla luce nel 1996 in un terreno alla periferia di Mamoiada. La presenza, nell’area circostante il luogo di rinvenimento, di frammenti ceramici con la decorazione tipica della cultura di Ozieri (3200-1800 a.C.), ha consentito di datarla a questo stesso periodo. Alta 2,67 m, con larghezza variabile da 2,10 a 1,30 m e spessore di 0,57 m, essa presenta una sezione piano-convessa e una sommità arcuata.

Foto Denise Diana

Delle due superfici maggiori, entrambe ben rifinite e ben conservate grazie al lungo periodo di interramento, quella anteriore risulta riccamente ornata: i motivi decorativi consistono in una serie di cerchi concentrici (da un minimo di due ad un massimo di sette) ottenuti con incisioni a sezione concavo-convessa e piano-convessa, che si sviluppano attorno ad una coppella centrale (dal diametro di 4/5 cm e profondità di 0,8 cm). Da quest’ultima ha origine un’ulteriore incisione rettilinea che taglia tutti i cerchi prima di terminare in un’appendice a uncino. A queste decorazioni vanno aggiunte ventitré coppelle di diverse dimensioni, più fitte nella parte superiore e nel settore inferiore sinistro della lastra: proprio in quest’ultima parte ne sono state scavate sette, disposte a semicerchio regolare intorno a uno dei motivi a cerchi concentrici intersecati da incisione rettilinea.

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Foto Sara Muggittu

Sa Perda Pintà è stata ritenuta unica nel suo genere finché i lavori di ricerca sul campo hanno portato al rinvenimento di altre quattro lastre nelle località Garaunele, S’Ena Manna e Su Rosariu: di pari interesse scientifico e assimilabili alla stessa espressione culturale per le innegabili analogie esistenti, esse si distinguono tuttavia per la minore integrità e per alcune differenze di tipo tecnico, formale e iconografico. Il monolite, esso stesso oggetto di venerazione, era dunque ritenuto sacro, come gli altri esemplari e alla pari dei rispettivi luoghi di collocazione, come risulta anche dalla vicina presenza di menhir, domus de janas e dolmen e dalla prossimità di villaggi popolosi. Esso era presumibilmente più legato al mondo dei vivi che a quello dei morti, dunque non dedicato a culti magici e misteriosi: i segni che lo ricoprono, ispirati con tutta evidenza ai contenuti dell’antica religione che lo ha espresso, si riconnettono in particolare ai frequenti e diversi riti della fertilità in onore della Dea Madre, tipici delle culture di epoca neolitica, come anche a un culto delle acque, risorsa preziosa evocata in modo tanto stilizzato quanto dinamico dalla forma delle incisioni, che ricordano proprio le onde che si formano sulla superficie per la caduta di un sasso o il tocco di un bastone.

Foto I Custodi della Memoria, gruppo FB

I confronti della stele con altre occorrenze extrainsulari hanno permesso di rilevare analogie con vicende storiche e culturali di area europea e atlantica, caratterizzate dalla presenza di pietre megalitiche istoriate, quali la Scozia, l’Irlanda, la Britannia, la Svizzera, la Spagna, il Portogallo.

Testo a cura della dott.ssa Cecilia Mariani

 

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