I giganti del web e le multinazionali pagano molto di meno, in termini di tasse, rispetto alle piccole e medie imprese. Il classico segreto che tutti sanno e che ora trova conferme nei numeri elaborati dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Numeri che dicono, ad esempio, che nel Lazio le pmi pagano 56,7 volte di più (11,67 miliardi di euro) rispetto alle 25 principali websoft.
È come Davide contro Golia, quindi. I giganti del web, a differenza delle pmi italiane, continuano a fare ricavi da capogiro, senza versare al fisco quanto dovuto. Sino alla fine dell’anno scorso, infatti, hanno continuato a trasferire buona parte degli utili ante imposte realizzati in Italia nei Paesi a fiscalità di vantaggio. Risultato? Grazie a queste operazioni elusive, l’erario italiano ha incassato da queste WebSoft solo le briciole.
Se le piccole imprese italiane pagano ogni anno 24,6 miliardi di tasse, le 25 multinazionali del web presenti in Italia, invece, ne versano molte meno: secondo l’Area Studi di Mediobanca solo 206 milioni di euro. Certo, le dimensioni economiche di queste due realtà sono molto diverse, ma, dal punto di vista degli artigiani mestrini, il risultato che emerge è sconsolante. Se le aziende italiane prese in esame producono un fatturato annuo 90 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, in termini di imposte, invece, le prime ne pagano ben 120 volte più delle seconde. Insomma, possiamo affermare con buona approssimazione che la distanza in termini di fatturato non giustificano quella relativa al gettito, così svantaggiosa per le Pmi. Certo, quella appena richiamata è una comparazione che presenta una serie di limiti metodologici e non ha alcun rigore scientifico. Tuttavia, il ricorso sistematico all’elusione praticato negli anni ha aumentato questa disparità di trattamento, mettendo in evidenzia in misura inequivocabile che, in Italia, alle grandi multinazionali, in questo caso tecnologiche, continua a essere riservato un prelievo fiscale ingiustificatamente modesto.
La Global minimum tax
Evidentemente, in Italia c’è un trattamento fiscale che “penalizza” i piccoli e “favorisce” i giganti. Infatti, se sui nostri imprenditori grava un tax rate effettivo che sfiora il 50%, sulle big tech, invece, si attesta, secondo l’Area Studi di Mediobanca, al 36%. E sebbene da quest’anno entri in vigore la Global minimum tax (Gmt), secondo il dossier curato dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15% sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i 432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro. Nel 2024 la Gmt interesserà 19 paesi Ue: Spagna e Polonia, invece, si adegueranno a partire dall’anno prossimo, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga sino al 2030. Cipro e Portogallo, infine, sono chiamate a rispondere alla sollecitazione giunta da Bruxelles che ha recapitato loro una lettera di messa in mora. Appare evidente che per le grandi holding presenti nei in UE rimane ancora la possibilità, almeno per i prossimi 5/6 anni, di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua essere molto favorevole.
Stop alla fuga degli utili
Ora, con una manovra per il 2025 ancora tutta da scrivere, visto che recuperare una decina di miliardi di euro di coperture non sarà un’operazione per nulla facile, bisognerebbe chiedere qualche sacrificio aggiuntivo in particolare a chi, in questi ultimi anni, ha registrato profitti straordinariamente elevati, ma ha versato poche tasse, perché ha fatto ricorso a strumenti che hanno consentito di spostare una parte degli utili ante imposte realizzati in Italia nei Paesi a fiscalità di vantaggio. Sappiamo che le regole della Gmt sono molto articolate ed è verosimile ritenere che ogni norma di carattere nazionale potrebbe non essere sufficiente a rendere il prelievo fiscale più equo.
Nelle regioni
Ancorché il risultato della comparazione risenta di alcune fragilità presenti nella metodologia di calcolo adottata, l’Ufficio studi della Cgia ipotizza che solo le imprese presenti in Molise e in Valle d’Aosta pagano in termini assoluti meno tasse delle principali big tech ubicate nel in Italia. Un banalissimo caso di scuola riesce a dimostrare come il carico fiscale su questi giganti sia molto inferiore a quello in capo alle imprese italiane che, per oltre il 98% del totale, hanno meno di 20 addetti. Pertanto, se nella regione più piccola del Mezzogiorno il gettito delle principali imposte pagate dalle aziende residenti in questo territorio è pari a 175 milioni di euro e in Valle d’Aosta a 1.907, nel 2022 i giganti del WebSoft hanno prodotto 9,3 miliardi di fatturato e versato al fisco italiano complessivamente 206 milioni di euro. Nulla a che vedere con quanto “contribuiscono” le imprese lombarde che, invece, pagano all’erario 125 volte in più di quanto versano questi 25 colossi digitali, quelle laziali 56,7 in più, quelle emiliano-romagnole 38 e quelle venete 36,8.
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