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Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, il presidente Livio Negro: “Siamo un motore sociale” #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


«Siamo un motore sociale, non un distributore automatico». Il neo presidente Livio Negro smonta in una frase l’immagine riduttiva della Fondazione CrAsti come salvadanaio a pioggia per singole iniziative e la proietta in una visione integrata.

Il pubblico è ingabbiato dal debito e i privati sono spesso troppo piccoli e vanno in ordine sparso per poter attivare leve significative. Le fondazioni sembrano essere gli unici soggetti in grado di realizzare i progetti. In che modo vengono selezionati? Perché alcuni sì e altri no?

«Da un’analisi degli ultimi anni la prima riflessione che ho portato all’attenzione dei consiglieri di indirizzo è stata focalizzata sulla ricaduta dei contributi di modesta entità che la Fondazione riversa sul territorio che, seppur utili a piccole realtà, vanno sicuramente rivisti ed indirizzati su progetti di più ampio respiro e strutturati. Di conseguenza sarà indispensabile e strategica la capacità delle Istituzioni e degli Enti del territorio di fare rete ed unirsi condividendo obiettivi e proposte progettuali su un arco temporale di medio-lungo termine. Quindi diventa prioritaria la ricerca di cofinanziamenti e di risorse di autofinanziamento con capacità di sostenibilità finanziaria per il prosieguo».

Ma poi c’è un controllo su come vengono spesi i soldi?

«È volontà della Fondazione porre maggiore attenzione ai risultati effettivamente conseguiti dalla realizzazione del progetto finanziato e delle ricadute socio-economiche sul territorio attraverso una valutazione d’impatto».

Chi verifica?
«Sarà oggetto di verifica da parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione».

C’è qualcosa che non condivide della precedente gestione Sacco?
«Direi di no, ogni Presidente con la sua governance determina l’indirizzo per il proprio operato».

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Diplomatico. Ma si aspettava la decisione dal suo predecessore Mario Sacco di lasciare la presidenza dei due poli culturali cittadini, Asti Musei e Astiss?

«Sinceramente no».

Poli a cui la Fondazione ha dato oltre venti milioni di euro negli ultimi 10 anni: al consorzio universitario Astiss 14 milioni e 7,3 ad Asti Musei. Di questi due enti cosa cambierebbe? O vanno bene così?

«I due enti sono cresciuti moltissimo in questi ultimi 10 anni grazie alla capacità di fare rete, in particolare Fondazione Asti Musei con il Comune di Asti e il Polo Universitario con gli Atenei piemontesi. La strada intrapresa con l’organizzazione di mostre di rilievo nazionale nel periodo autunno-inverno ha dimostrato di essere “leva” fondamentale per l’incremento del turismo che ha portato ad un notevole aumento degli accessi nei siti che fanno parte della rete, attraverso un unico biglietto acquistabile sia presso Palazzo Mazzetti che attraverso app dedicata (Smarticket). Il futuro della Fondazione Asti Musei sarà nella capacità di ampliare la rete museale attraverso l’inserimento di ulteriori siti astigiani, con il coinvolgimento di realtà culturali della provincia per espandersi a livello nazionale ed internazionale; tutto ciò comporterà inevitabilmente investimenti strutturali sugli immobili, se si vogliono ospitare esposizioni internazionali».

Anche il polo universitario sembra aver bisogno di lavori. L’ex casermone adiacente cade a pezzi.

«Infatti sono in fase di valutazione gli interventi di riqualificazione degli immobili che fanno parte del complesso dell’ex Caserma Colli di Felizzano dove la Fondazione Cassa non potrà, certamente, esimersi dal rivestire un ruolo predominante considerato che detiene il 70,42% delle quote del polo universitario».

Ampliando la prospettiva, il ruolo della Fondazione all’interno dei due enti resterà lo stesso?

«Obiettivo ambizioso ma di possibile raggiungimento sarà la capacità delle due enti di acquisire maggiore autonomia finanziaria».

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La Fondazione CrAsti in 32 anni di vita ha erogato 144 milioni di euro di cui 44 milioni solo negli ultimi dieci anni. Lei ha dichiaro che però “il mondo nel frattempo è cambiato e dovremo farlo anche noi”. Che significa?

«Mi riferisco sostanzialmente a due aspetti. Il primo riguarda il metodo che le Fondazioni intendono adottare per poter operare nei confronti del territorio e delle singole realtà istituzionali e non, quindi sindaci, associazioni, volontariato ed enti ecclesiastici. Il secondo è rappresentato dalla resistenza al cambiamento che un territorio può incontrare e quindi la capacità di mettere in campo una serie di azioni di cui il singolo individuo sia partecipe e attore».

Lei è entrato pochi giorni fa nel Consiglio di Acri (Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio) Che peso ha questo incarico? L’ultimo bilancio dell’associazione parla di un miliardo di erogazioni, il miglior risultato degli ultimi 12 anni.

«Acri rappresenta 108 soci tra cui 84 Fondazioni di origine bancaria, 11 società bancarie. Essere parte del Consiglio significa poter operare in un contesto nazionale con i partner più prestigiosi del panorama nazionale e soprattutto poter condividere ed accedere a progetti con una rilevanza ed una ricaduta per il nostro territorio unica».

Ripete spesso che è necessario fare rete. In concreto che vuol dire e come pensa di riuscire a farlo? Si scelgono sempre i mezzi insieme ai fini.

«Nell’attuale società, dove il rischio di dissolvenza delle varie componenti della società è pari a quello di una semplice connessione, quindi molto elevato, fare rete ha un significato non solo immediato, operativo all’adesione di un progetto. Fare rete vuol dire soprattutto adottare un modello culturale per un cambio che avviene nel corso di generazioni, può essere più o meno veloce o latente a seconda degli stimoli che si possono creare e verificare».

Quanto incide il peso della banca sulle attività della Fondazione?

«La Fondazione CrAsti detiene il 31,80% della banca».

E questo è noto. Quindi la vostra è un’autonomia limitata

«No. I due enti sono autonomi e distinti con finalità e obiettivi differenti. Inevitabilmente le risorse che le Fondazioni di origine bancaria riversano sul territorio derivano dai dividendi e dai proventi che vengono generati dagli investimenti bancari. Dunque non posso che augurarmi che il gruppo bancario continui a crescere».

Le fondazioni bancarie, come le ha definite il presidente Mattarella, sono “corpi intermedi tra cittadini e istituzioni, attenti al patrimonio di valori delle comunità locali”. Quali sono secondo lei i valori della comunità Astigiana? Me ne dica tre.

«Mi conceda una breve premessa. È soprattutto in questa società liquida postmoderna che la funzione dei corpi intermedi rischia di indebolirsi e dissolversi, mancando alla loro missione storica di essere luoghi di sviluppo, di tutela del legittimo interesse delle varie componenti della società e, infine, di essere generatori del benessere collettivo. Asti dal nobile passato di capitale del commercio dei tessuti nell’alto Medioevo deve recuperare i valori che la fecero grande».

Quali lezioni abbiamo dimenticato?

«Innanzitutto l’importanza dell’industriosità di primo livello dei laboratori, della produzione artigianale, delle botteghe manifatturiere, dell’innovazione nell’agricoltura. Tutte attività del tutto compatibili oggi con il successo del commercio e del turismo. Il secondo valore è quello del volontariato che, soprattutto ad Asti, si riscopre nella tradizione della solidarietà, ma che in generale arricchisce di azioni volontarie tutta la vita sociale, soprattutto nel settore dei servizi. Un terzo valore è legato al territorio, nel senso della terra, del suolo, del sottosuolo. Sono i giacimenti fossili, unici nel loro genere, che gli astigiani stanno scoprendo come risorse scientifiche, culturali e anche turistiche, pur essendo consapevoli che questo patrimonio richiede costanza, intelligenza e creatività». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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