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condanne confermate in appello  – Giornale di Calabria #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


CATANZARO. La Corte d’assise d’appello di Catanzaro ha confermato le condanne già sentenziate in primo grado per l’omicidio aggravato di Federico Gualtieri, ucciso il 27 marzo del 2007 in un agguato mafioso, a Lamezia Terme. In particolare, 30 anni di reclusione ciascuno per Pasquale Giampà, detto “Mille lire”; Aldo Notarianni, detto “Alduzzu”; e Vincenzo Bonaddio, detto “Lucky”, ritenuti tra i componenti della cupola del clan Giampà, e mandanti del delitto, per i quali è stata dunque respinta la richiesta di ergastolo avanzata dalla pubblica accusa all’udienza del 16 marzo. E inoltre 6 anni di reclusione ciascuno per i due collaboratori di giustizia Giuseppe Giampà, ritenuto anch’egli fra i mandanti dell’omicidio, ex capo dell’omonimo clan, e per Vincenzo Ventura, divenuto collaboratore di giustizia mentre era in corso il processo. La sentenza di primo grado risale al 3 marzo del 2014, e giunse dal giudice distrettuale dell’udienza preliminare di Catanzaro, Domenico Commodaro, al termine dei giudizi abbreviati che valsero agli imputati lo sconto di pena di un terzo evitando a 3 di loro l’ergastolo già richiesto in quella sede dal pubblico ministero. Il 35enne Federico Gualtieri fu freddato con 8 colpi di pistola il mattino del 23 marzo del 2007 mentre stava sistemando la sua bancarella della frutta insieme alla moglie e al suocero in via Mario Ferlaino. Secondo gli investigatori il delitto maturò nell’ambito della guerra fra i clan Giampà da un lato e Cerra-Torcasio-Gualtieri dall’altro. Il giovane, in particolare, sarebbe stato ucciso perché Pasquale Giampà avrebbe temuto per la propria vita in quanto sospettava di essere la vittima predestinata di un agguato per preparare il quale il giovane Gualtieri stava effettuando dei sopralluoghi. Un sospetto che, sempre stando alle accuse, costò al 35enne una condanna a morte che, secondo l’accusa, sarebbe stata voluta dagli esponenti di vertice dei Giampà che sono stati per questo condannati in primo e in secondo grado.

 

 

 



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