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Il fil rouge che lega Mani pulite, Berlusconi e Giorgia Meloni #finsubito prestito immediato


Esistono elementi di continuità e di discontinuità fra le varie fasi dell’uso politico della giustizia, decollato in modo clamoroso nel 92-94, con Mani Pulite ad opera del pool dei pm di Milano, più il pool dei quattro giornali (Corriere della Sera, La Repubblica, la Stampa, più l’organo del PCI l’Unità) con le reti Mediaset, poi proseguito contro Berlusconi quando scese in politica e infine adesso con lo scontro di una parte della magistratura con Giorgia Meloni e il governo di centrodestra.

L’elemento di continuità è costituito dall’intenzione di una parte significativa della magistratura di pesare direttamente o indirettamente sul piano politico, utilizzando a questo proposito anche l’esercizio della giurisdizione. Alle origini di tutto, però, c’è una questione assai rilevante a livello internazionale e interno, vale a dire il crollo del Muro di Berlino, la caduta del regime comunista in Russia e nei Paesi dell’Est, le conseguenze di tutto ciò in Italia, per cui il PCI fu costretto a cambiar nome, e per questo mutamento perse circa la metà dei voti (elezioni 1994: il Pds prese circa il 16% rispetto al 30 % del PCI). La vicenda però non fu senza conseguenze anche per i tradizionali partiti di governo (la DC, il PSI, i partiti laici) come previde lucidamente Francesco Cossiga. Infatti, venuto meno il pericolo comunista, i poteri forti di questo Paese (Fiat, Cir di Debenedetti, Cuccia, Confindustria alta italia), ritirarono anche la delega data ai partiti specie sul piano economico per cui decisero di ridimensionarli o addirittura di liquidarli.

L’antipolitica nasce di qui: vedi il libro La Casta di Rizzo-Stella. Lo strumento di questo ridimensionamento fu la criminalizzazione del finanziamento irregolare dei partiti, del tutto consentito dagli anni Quaranta agli anni Novanta: i magistrati e i direttori dei giornali sapevano benissimo come stavano le cose e nessuno fece niente malgrado le denunce di Don Sturzo ed Ernesto Rossi.

A partire dal 1991 in poi, quello che era consentito divenne invece criminale, si pose il problema della gestione politica di tutto ciò. In un primo tempo si pensò che gli stessi magistrati, guidati da Scalfaro, potessero anche diventare leader politici: vedi le ambizioni di Borrelli. Quando si capì che questo era impossibile, allora il vice procuratore generale della Repubblica a Milano, D’Ambrosio, da sempre militante comunista ebbe buon gioco nel proporre il PDS come il soggetto politico di riferimento.

Allora, siccome anche il PCI era coinvolto fino ai capelli nel sistema del finanziamento irregolare, fu fatta una operazione selettiva, unilaterale, e quindi sostanzialmente rivoluzionaria-eversiva. In primo luogo nel 1989, fu fatta una amnistia su misura per preservare il PCI ad alle ricadute giudiziarie del finanziamento estero proveniente dal KGB, quindi fu messa in atto una sofisticata selezione: un ristretto gruppo del PCI-PDS (Occhetto, D’Alema, Veltroni) e un nucleo della sinistra democristiana (De Mita, Bodrato, Galloni), potevano non sapere” mentre invece tutti gli altri furono rasi al suolo perché i loro gruppi dirigenti non potevano non sapere: tutto il PSI, Craxi in testa, l’area di centrodestra della DC, i partiti laici. Schierando le sue tv a favore del Pool, Berlusconi negli anni 92-93 non ebbe neanche un avviso di garanzia. Così in un primo tempo sembrò che grazie alla nuova legge elettorale il potere politico sarebbe stato preso dal PDS protetto dai magistrati.

Le cose cambiarono radicalmente (seconda fase) e quando Berlusconi decise di ascendere in politica perche vide scoperta tutta una area di centro- centrodestra per cui fondò Forza italia e federò con essa An e la Lega. A quel punto i Pm del pool cambiarono spalla al loro fucile e concentrarono il fuoco contro il Cavaliere. Molti pensarono che Berlusconi avrebbe fatto la stessa fine di Craxi, Forlani, Andreotti e i segretari dei partiti laici. Non fu così. Per un verso Berlusconi mise in campo uno straordinario carisma che legò a lui ampi strati popolari e poi mise in campo le sue televisioni e i suoi mezzi finanziari. Conflitto di interesse? Certamente. Ma anche dall’altra parte c’era una sorta di invincibile armata che metteva insieme i partiti di sinistra, la Cgil, l’Unipol, il MPS, le Cooperative e le società di Import-Export e in più la convergenza fra un partito e un pezzo della magistratura. Di conseguenza, anche al netto dei suoi errori successivi, Berlusconi ha avuto il merito storico di avere evitato che un solo partito acquisisse l’intero potere politico anche grazie al sostegno di una parte della magistratura. A quel punto nacque la Seconda Repubblica fondata su un bipolarismo alla italiana: mentre in Europa l’alternanza è sempre stata tra un partito moderato- conservatore e un partito riformista-socialdemocratico, in Italia invece lo scontro frontale fu fra la coalizione berlusconiana e quella anti-berlusconiana.

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Berlusconi resse l’urto fino al 2011, poi fra il 2011 e il 2013 egli subì una condanna del tutto discutibile e forzata per cui fu addirittura estromesso dal Parlamento. Malgrado tutto ciò, però, Berlusconi e Forza Italia sopravvissero ma l’ egemonia del centrodestra si spostò sui due partiti di destra, la Lega e Fratelli d’Italia. Il consenso politico divenne assai effimero come testimoniò anche l’esplosione di un movimento anti partitico e anti parlamentare come il M5S che arrivò fino ad avere il 32% degli elettori. In quel quadro il Pd mise anche in evidenza una inconsistenza di fondo per cui si verificò un situazione paradossale: larga parte del voto popolare si spostò o sul centrodestra o sui grillini, mentre sul Pd si concentrò il voto di una parte della borghesia e dei cosiddetti ceti medi riflessivi. Recentemente a complicare ulteriormente le cose c’è stato il fatto che l’area del centro liberale e riformista che alle elezioni politiche del 2022 aveva raggiunto l’8 per cento, è implosa per il contrapposto “complesso napoleonico” di Renzi e di Calenda.

A questo punto si è affermato il polo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni e qui è scattata la terza fase della contrapposizione fra una parte della magistratura e chi detiene il potere politico per il voto elettorale. A parte contraddittorie proposte del governo sul piano giudiziario (il decreto sicurezza è ultra giustizialista, altre proposte come l’eliminazione dell’abuso d’ufficio richiesto anche dai sindaci del Pd, la regolamentazione rigorosa della gestione e dell’uso delle intercettazioni, la riduzione dei tempi delle e indagini, la stessa operazione Albania, di per sé abbastanza sconclusionata), quello che però sta facendo letteralmente impazzire una parte della magistratura non è tutto ciò, ma la proposta della separazione delle carriere che avrebbe molteplici conseguenze, fra cui la formazione di due CSM, uno per i magistrati giudicanti e l’altro per i pubblici ministeri. È qui che casca l’asino. Finora a gestire le carriere di tutti i magistrati è il CSM unico, che è controllato dalle correnti, e tutte le correnti sono guidate da pubblici ministeri. Quindi finora i pubblici ministeri hanno anche il potere di decidere sulle carriere dei magistrati giudicanti. Questo colpo al potere dei pm sta provocando la rivolta in corso alla quale ha dato compiuta espressione la mail scritta dal sostituto procuratore delle Cassazione Marco Paternello.

Si tratta di un testo politico che se fosse stato scritto all’interno della direzione di un partito nella logica dello scontro politico elettorale con altri partiti sarebbe del tutto normale. Invece si tratta di un testo politico che si rivolge alla magistratura affinché essa di aggreghi e si comporti come un autentico partito all’interno delle istituzioni contrapponendosi al governo presieduto da Giorgia Meloni eletto dal Parlamento in seguito a una votazione regolare. Il documento ritiene che questa contrapposizione frontale a Giorgia Meloni va fatta perché essa è più pericolosa di Berlusconi perché non è esposta sul terreno giudiziario non svolgendo alcuna attività economica, ma si muove sul terreno di idee politiche e di programmi che confliggono con gli interessi di potere di una parte della magistratura.

Ci troviamo di fronte a un testo rivolto a un settore istituzionale dello Stato, quello della magistratura affinché esso si aggreghi e si unisca come corpo politico non ricorrendo a unitili polemiche politiche ma invece identificando “il rimedio” sul terreno sul proprio, vale a dire quello dell’esercizio della giurisdizione esercitato da tutta la magistratura utilizzando i suoi enormi poteri (primo fra tutto quello di dare o togliere la libertà alle persone e ai soggetti, compresi i sindaci e i presidenti di Regione). In sostanza la magistratura che si trasforma in corpo politico e che esercita un duplice ruolo, quello della giurisdizione e quello della battaglia politica.

Si tratta di un progetto assai grave volto a stravolgere in modo ancor più netto di quanto non sia avvenuto nel passato la divisione dei poteri per bloccare finché si è in tempo una premier molto più “pericolosa” di Berlusconi. L’obiettivo di questo testo è quello di costruire una soggettività politica contrapposta a un progetto, quello della divisione delle carriere, che in sé non ha nulla di eversivo, anche perché non comprende affatto l’ipotesi della subalternità dei pm al governo. Ancor più pericoloso è che a proporre alla magistratura un simile progetto politico sia un giudice di quella Cassazione che dovrebbe assicurare a tutti la massima imparzialità. Riteniamo che c’è materia per una riflessione su questo progetto così chiaramente esplicitato anche da parte del presidente della Repubblica.



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