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Il piano Meloni non funziona, le culle restano vuote #finsubito prestito immediato


Dopo due anni di governo Meloni di inviti impliciti ed espliciti a far figli, tanto che si è intitolato un ministero alla famiglia e alla natalità; dopo un variegato numero di bonus e una tantum che per loro natura non sono strumenti universalisti e quindi hanno più il sapore di una “gentile concessione” un po’ discriminatoria che il profumo intenso dei diritti uguali per tutte e tutti, dopo la propaganda sulla centralità della famiglia, si scopre che non solo non sono nati più bimbe e bimbi, ma anzi la curva della natalità si è ulteriormente piegata verso il basso.

Numeri impietosi

L’Istat ha diffuso i dati sulla natalità del 2023 e quelli dei primi 7 mesi del 2024. I numeri sono impietosi e non lasciano adito a fraintendimenti. Si legge nel Rapporto: “Ancora un record al ribasso per le nascite: nel 2023 scendono a 379.890, registrando un calo del 3,4% sull’anno precedente. Il calo delle nascite prosegue anche nel 2024: in base ai dati provvisori relativi a gennaio-luglio le nascite sono 4.600 in meno rispetto allo stesso periodo del 2023”. “Più che un inverno demografico è una glaciazione”. Lo afferma Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil che aggiunge: “Sono numeri impressionanti e molto preoccupanti, perché sintomatici di un Paese con un presente difficile che non riesce a guardare al futuro con fiducia”.

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Una tendenza inarrestabile

Il 2008 fu l’anno record del nuovo millennio: nacquero 576 bambine e bambini e da allora la perdita di nati è stata costante e inarrestabile. Oggi, rispetto ad allora ne mancano 197mila, oltre il 34% in meno e da un anno all’altro si registrano in media oltre 13mila nati in meno. Non solo, diminuisce anche il tasso di fecondità. Siamo passati da oltre due figli per donna a 1,2. Non solo, il tasso di natalità si mantiene a questi livelli solo grazie al “contributo” delle donne migranti, fosse per le italiane staremmo ancora più in basso.

La demografia non è egoista

È vero, nascono troppo pochi bambini, è vero il tasso di fecondità è sotto la soglia di riproduzione, ma la causa certo non può essere attribuita, come troppo spesso si tenta di fare anche se non in maniera esplicita, all’egoismo femminile. Basta stare alla demografia e alla composizione della popolazione italiana. Si legge ancora dall’Istat: “Il calo delle nascite, oltre che dalla ormai stabile bassa tendenza ad avere figli (1,2 figli per donna nel 2023), è anche causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 49 anni. Le donne comprese in questa fascia di età sono sempre meno numerose. Oggi, quelle nate negli anni del baby boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta) hanno ormai superato la soglia convenzionale dei 49 anni. Gran parte di quelle che ancora sono in età feconda appartengono all’epoca del cosiddetto baby-bust, ovvero sono nate nel corso del ventennio 1976-1995 durante il quale la fecondità scese da oltre 2 al minimo storico di 1,19 figli per donna”.

Diminuiscono anche i figli unici

Il dato che, forse più allarma, è la diminuzione anche dei primi figli: meno il 3,1% rispetto al 2022 e i secondi figli diminuiscono di ben il 4,5% e quelli, assai rari come abbiamo visto, di ordine successivo dell’1,7%. Perché? La risposta la ipotizza l’Istituto di statistica: “Non solo quindi persistono le difficoltà nel passaggio dal primo al secondo figlio, emergono anche criticità importanti nell’avere il primo figlio. L’allungarsi dei tempi di formazione e di uscita dal nucleo familiare di origine da parte dei giovani, le loro difficoltà nel trovare un lavoro stabile, il problematico accesso al mercato abitativo, non ultima la scelta volontaria di rinunciare, o comunque rinviare al futuro il voler diventare genitori, sono tra i fattori che contribuiscono alla contrazione dei primi figli nel Paese”.

Se vogliamo il futuro sarà multietnico

Il tasso di fecondità delle donne italiane, nel 2023, si è fermato a 1,14. Quel che manca ad arrivare a 1,2 è “merito” delle donne migranti, che hanno mantenuto costante il numero dei nati mentre le italiane lo hanno fatto scendere. Ma rimaniamo ai numeri: “La diminuzione dei nati è attribuibile per la quasi totalità al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani, che costituiscono oltre i tre quarti delle nascite totali. I nati da genitori italiani, pari a 298.948 nel 2023, sono circa 12mila in meno rispetto al 2022 (-3,9%) e 181mila in meno rispetto al 2008 (-37,7%)”. Anche se, è sempre l’Istituto a dirlo, cominciano a diminuire, sebbene in maniera inferiore, le nascite da coppie di stranieri e straniere.

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Unica strada da percorrere

La delinea ancora Barbaresi: “Servono politiche a sostegno della natalità che devono essere forti e strutturali, frutto di una strategia di medio e lungo periodo e capaci di garantire certezze ai giovani a partire dalle donne. La certezza di un lavoro stabile e bel retribuito, la certezza di una casa, di una rete di servizi per l’infanzia, a partire da asili nido accessibili e gratuiti, congedi paritari adeguatamente remunerati”.

Il governo sbaglia i calcoli

Tra quelli forniti da Istat c’è un numero che fa riflettere, forse sorridere. Quasi la metà dei nati, per la precisione il 42,4%, è figlio o figlia di genitori non sposati nonostante la retorica meloniana che ha varato un provvedimento che assegna il bonus tredicesima soltanto alle coppie regolarmente sposate. Quegli oltre 161mila bimbi e bimbe sono di serie B? Perché dovrebbero avere diritti diversi dagli altri 161mila? In ogni caso, quelle coppie che hanno deciso di procreare fuori dal sacro vincolo del matrimonio hanno continuato a farlo a prescindere da Meloni.

Altro che bonus

Bonus asilo nido, a tempo e con talmente tanti paletti che è difficile ottenerlo; bonus terzo figlio, che va solo alle lavoratrici dipendenti prevalentemente del Nord con un reddito medio alto; bonus tredicesima solo per coppie regolarmente sposate. Ora, forse, con la legge di bilancio arriverà anche il bonus bebè di mille euro, ma non si sa ancora con quali criteri verrà elargito. Conclude allora la segretaria della Cgil: “Occorre superare definitivamente la logica dei bonus e delle misure spot e rafforzare l’assegno unico da rendere davvero universale, superando le esclusioni a partire da coloro che hanno i figli all’estero o risiedono in Italia da meno di due anni, come peraltro chiede l’Europa che ha attivato la procedura di infrazione”.



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