Nelle imprese sociali i volontari possono essere impiegati fino al 50% del personale, con obblighi di assicurazione contro infortuni e responsabilità civile. Il loro ruolo è complementare e non sostitutivo ai professionisti.
Scopriamo come vengono regolati i rimborsi, i limiti di compatibilità con rapporti di lavoro e i benefici dei Centri di servizio per il volontariato.
Regole e limiti per l’impiego di volontari nelle imprese sociali: novità e obblighi assicurativi
Nell’impresa sociale è ammessa la prestazione di attività di volontariato (e questa del 2° comma dell’art. 13 del D.lgs 112/2017 è una importante novità rispetto alla previgente disciplina ed è coerente col fatto che il 1° comma dell’art. 17 del D.lgs 117/2017 ha esteso la possibilità di impiego di volontari a tutti gli ETS), ma il numero massimo di volontari impiegati, dei quali l’impresa deve tenere un apposito registro, non può essere superiore a quello dei lavoratori a qualunque titolo impiegati in essa[1], quindi può giungere massimo al 50% del personale impiegato.
Oltre a ciò, l’impresa sociale deve assicurare i volontari che prestano attività di volontariato presso di essa contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività stessa nonché per la responsabilità civile verso terzi.[2]
Ai volontari si applicano gli artt. 17 – 19 del Dlgs 117/2017, il Codice del terzo settore, sulla figura del volontario e sull’attività di volontariato.[3]
Le prestazioni di attività di volontariato possono essere utilizzate dall’impresa sociale solo in forma complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari (per esempio, in campo sanitario, di assistenza sociale, di attività di istruzione o formazione, ecc.).
Esse, inoltre, non concorrono alla determinazione dei costi del servizio offerto dall’impresa sociale (per esempio, alla P.A. o agli utenti finali), fatta eccezione per gli oneri assicurativi dei volontari descritti nel precedente capoverso (comma 2°-bis dell’art. 13 introdotto dall’art. 5 del Dlgs 95/2018).
La figura del volontario
Il volontario è una persona fisica che in modo personale, libero e gratuito svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del terzo settore (fra cui le imprese sociali), mettendo a disposizione il suo tempo e le sue capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, senza scopi di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente a fini di solidarietà.
Da ciò deriva logicamente che l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario di essa.
Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del terzo settore tramite il quale svolge la sua attività solo le spese effettivamente sostenute e documentare per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente stesso a cui è vietato erogare rimborsi spese di tipo forfetario (2° e 3° comma dell’art. 17 del D.lgs 117/2017).
I rimborsi ai volontari
Per semplificare la procedura di liquidazione ed erogazione dei rimborsi ai volontari, il 4° comma dell’art. 17 stabilisce che le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autodichiarazione, cioè di una dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell’art. 46 del DPR 445/2000, purché il rimborso non superi i 10 Euro giornalieri ed i 150 Euro mensili e l’organo sociale competente dell’ETS (organo amministrativo o assemblea degli associati a seconda di ciò che prevede lo statuto o l’atto costitutivo) deliberi per quali tipologie di spesa e per quali attività di volontariato è ammessa questa modalità di rimborso.
La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo con l’ETS (qualifica degli enti senza scopo di lucro con le caratteristiche individuate dal Codice del terzo settore che, come abbiamo visto nel primo paragrafo, è propria anche dell’impresa sociale) tramite il quale egli svolge la sua attività di volontariato oppure del quale è socio o associato (5° comma).
Non si considera volontario l’associato dell’ETS che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali dell’ente nello svolgimento delle loro funzioni, per esempio come segretario o come consulente delle sedute del Consiglio di amministrazione o del collegio sindacale. Da ciò si deduce che queste attività, sia pure occasionali, sono lavorative, per cui a chi le svolge spetta una retribuzione commisurata alla quantità e qualità dell’opera svolta a meno che egli spontaneamente non vi rinunci (6° comma).
Inoltre, ai sensi del 1° comma dell’art. 61 e dell’art. 63 sempre del Codice del terzo settore, le imprese sociali non costituite in forma di società possono partecipare alla costituzione dei Centri di servizio per il volontariato (CSV) ed usufruire dei servizi di promozione e supporto del volontariato stesso da questi enti organizzati ed erogati a favore degli ETS che impiegano volontari, incluse anche le imprese sociali costituite in forma di società, anche a quelli non associati ai CSV.
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NOTE
[1] Quindi lavoratori subordinati, collaboratori coordinati e continuativi, occasionali, autonomi (questi ultimi riteniamo solo se prestano la loro opera stabilmente nei luoghi dove operano gli altri lavoratori impiegati dall’impresa sociale), ecc.
[2] Le modalità della tutela assicurativa dei volontari dell’impresa sociale saranno esaminate nel prossimo articolo.
[3] Ricordiamo che le imprese sociali di cui al comma 2° dell’art. 2 del Dlgs 155/2006 ora sostituito dal comma 4° dell’art. 2 del Dlgs 112/2017 (quelle che occupano lavoratori molto svantaggiati, persone svantaggiate o con disabilità su cui rimandiamo a quanto detto nell’articolo precedente a questo) sono le uniche che possono stipulare con i datori di lavoro privati ed i servizi territoriali per l’impiego le convenzioni di inserimento lavorativo per le persone disabili disciplinate dall’art. 12 – bis della Legge n° 68 del 1999 sull’inserimento lavorativo dei disabili.
Tutte le imprese sociali possono invece stipulare con gli stessi soggetti di cui al capoverso precedente le convenzioni di inserimento lavorativo temporaneo con finalità formative di cui all’art. 12 della Legge 68/1999, mentre solo le imprese sociali che sono cooperative sociali di “tipo B” oppure organizzazioni di volontariato possono stipulare le convenzioni di integrazione lavorativa previste dall’art. 11 della stessa Legge, sempre finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone disabili.
Gianfranco Visconti
Giovedì 31 ottobre 2024
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