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Fotovoltaico in edilizia libera, il Consiglio di Stato ridimensiona le semplificazioni del Decreto Energia #finsubito prestito immediato


L’articolo 9 del Decreto Energia (D.L. n. 17/2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 34 del 2022), nel sostituire il comma 5 dell’art. 7-bis del d.l. 28/2011, “mira a consentire la semplificazione dell’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili su edifici già esistenti (secondo, peraltro, l’espressa previsione del primo periodo del medesimo comma 5) e non può essere di certo inteso nel senso di ammettere la realizzazione di qualunque intervento di nuova edificazione alla sola condizione che la stessa ospiti – inter alia – un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili”.

Lo ha precisato il Consiglio di Stato (Sezione Settima) nella sentenza n. 8113/2024 pubblicata il 9 ottobre.

Le semplificazioni introdotte dal Decreto Energia

Ricordiamo che l’articolo 9 del Decreto Energia convertito in legge (recante: «Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali.») stabilisce che il comma 5 dell’articolo 7-bis del decreto legislativo  3  marzo 2011, n. 28, è sostituito dal seguente: « 5. Ferme restando le disposizioni  tributarie  in  materia  di accisa  sull’energia  elettrica,   l’installazione,   con  qualunque modalità, anche nelle zone A degli strumenti  urbanistici comunali, come individuate  ai  sensi  del  decreto  del  Ministro  dei  lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, di impianti  solari  fotovoltaici  e termici sugli edifici, come definiti alla voce 32 dell’allegato A  al regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa  sancita  in  sede  di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU,  o  su  strutture  e manufatti fuori terra diversi dagli edifici, ivi compresi  strutture, manufatti ed  edifici  già  esistenti  all’interno  dei  comprensori sciistici, e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica nei predetti edifici  o  strutture  e  manufatti, nonché   nelle   relative   pertinenze,   compresi   gli   eventuali potenziamenti o adeguamenti della rete esterni alle aree dei medesimi edifici,  strutture  e  manufatti,  sono  considerate  interventi  di manutenzione ordinaria e non  sono  subordinate  all’acquisizione  di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi  di  assenso comunque denominati,  ivi  compresi  quelli  previsti  dal  codice  dei   beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo  22  gennaio 2004, n. 42, a eccezione degli impianti installati in aree o immobili di cui all’articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del citato  codice di cui al decreto legislativo n. 42 del  2004,  individuati  mediante apposito provvedimento amministrativo ai sensi degli articoli da  138 a 141 e fermo restando quanto previsto dagli articoli 21  e  157  del medesimo codice. In presenza dei vincoli di cui al primo periodo,  la realizzazione degli interventi  ivi  indicati  è  consentita  previo rilascio dell’autorizzazione da parte dell’amministrazione competente ai sensi del citato codice di cui al decreto legislativo  n.  42  del 2004. Le  disposizioni  del  primo  periodo  si  applicano  anche  in presenza di vincoli ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lettera  c), del medesimo codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004,  ai soli fini dell’installazione di pannelli  integrati  nelle  coperture non visibili dagli spazi  pubblici  esterni  e  dai  punti  di  vista panoramici, eccettuate le coperture i cui manti siano realizzati  in materiali della tradizione locale ».

Consiglio di Stato: limiti alla derogabilità delle norme del TUE

Nella citata sentenza n. 8113/2024, il Consiglio di Stato ha ritenuto non condivisibile la prospettazione dell’appellante – un conduttore esercente attività di ristorazione – nella parte in cui ritiene che, in base alla disposizione dell’articolo 9 del d.l. n.17/2022, sarebbe consentita un’illimitata facoltà di deroga a tutte le norme del T.U Edilizia per le installazioni degli impianti foto-voltaici.

“La suddetta interpretazione, infatti postula un’inedita prevalenza a priori di una fonte normativa su di un’altra, che è contraria ai criteri previsti in tema di concorso fra norme di pari grado che regolano la medesima fattispecie, e soprattutto che non considera che le legittime esigenze private di ottenere un adeguato approvvigionamento energetico, vanno comunque contemperate con l’interesse al corretto sviluppo dello sfruttamento edilizio del territorio”, osserva Palazzo Spada. “Deve piuttosto ritenersi che la tendenziale derogabilità delle norme del TUED, prevista dall’articolo 9 del citato d.l. n.17 per la realizzazione di impianti foto-voltaici, valga solo allorquando – caso che, come detto, non ricorre in questo frangente – l’interessato dimostri di non avere possibilità alternative, cioè tecnicamente equivalenti, di installazione in altri luoghi. E comunque, a condizione che, da quest’ultima, egli non ottenga indebiti incrementi di volumetrie e superfici utilizzabili per altri scopi, che non siano strettamente connessi ad esigenze tecniche perché, in quest’ultimo caso, è evidente che l’intervento comunque richiede la necessità del titolo edilizio maggiore, ossia il permesso di costruire”.

Il portico

Il secondo motivo d’appello ha contestato alla decisione impugnata di avere qualificato il portico di cui ai punti b) e d) dell’ordinanza di demolizione quale “nuova costruzione”, ritenendo la necessità, per la sua edificazione, del permesso di costruire.

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Si tratta di un portico – formato da due elementi aventi la seguente superficie mt 3,74 x mt 1,74 e mt. 3,90 x mt. 5,95, costituito da travi e pilastri metallici e copertura fissa in pannelli, dotata di pluviale con scolo dell’acqua piovana sull’asfalto sottostante – che, secondo la parte appellante, avrebbe la funzione di sostenere un impianto foto-voltaico. Dunque dovrebbe rientrare nell’ambito della cd. “attività edilizia libera”, anche considerando che è stato edificato utilizzando un materiale “leggero”, assolutamente diverso da quelli normalmente utilizzati in edilizia, per costruire fabbricati.

Inoltre – ha aggiunto la doglianza – detto impianto è stato installato nella vigenza del D.L. n. 17/2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 34 del 2022 che, al fine di promuoverne l’utilizzo, esclude, in radice, che la realizzazione di detti impianti sia subordinata all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, inclusi quelli previsti dal d. lgs. n. 42/2004, essendo considerati di manutenzione ordinaria.

L’inciso “ con qualsiasi modalità” riferito all’installazione di detti impianti, contenuto nell’articolo 9 del citato D.L., consentirebbe dunque, secondo l’appellante, di prescindere dall’ottenimento del permesso di costruire anche quando detto innesto, come nel caso di specie, produca una modifica della sagoma dell’edificio ed un aumento di volumetria.

Il motivo secondo il Consiglio di Stato è infondato: “Infatti il portico di cui si parla ha avuto quale effetto (e risultato) primario, quello di ampliare la superficie (ed il volume) del locale destinato a pubblico esercizio, viceversa la dichiarata funzione di sostegno ai pannelli foto-voltaici rappresenta, al più, un effetto indiretto ed accessorio dell’innesto, con conseguente non applicabilità della disciplina di cui al citato d.l. n.17/2022.

Del resto la parte appellante non ha fornito alcuna prova atta a dimostrare la mancanza di alternative per la localizzazione di quell’impianto, quali ad esempio la possibilità di sfruttare il tetto della struttura pre-esistente o anche spazi adiacenti alla stessa, dove altrimenti allocarlo.

La realizzazione del portico, oltre a creare nuovi volumi, anche se rimasto aperto su di un lato, ha anche modificato la sagoma del fabbricato, configurando, in questo senso, al di là di ogni ragionevole dubbio, un intervento di “nuova costruzione”, necessitante, come tale, del permesso di costruire.

Tanto meno può dirsi – aggiunge Palazzo Spada – che la circostanza dell’essere stato utilizzato, per la realizzazione del suddetto portico, un materiale leggero, possa giustificare una diversa qualificazione dell’intervento.

Non è infatti il materiale utilizzato, che induce o meno a qualificare quella in esame quale nuova opera, ma, come già osservato, la nuova volumetria che, tramite essa, è stata realizzata, ampliando superficie e spazi utilizzabili, oltre a mutare la sagoma dell’edificio.

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Ossia tutti indici caratterizzanti la nuova costruzione, con conseguente necessità del permesso di costruire”.



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