Il dibattito sulla “web tax” è tornato a infiammare il Parlamento italiano, sollevando questioni delicate sia economiche che politiche. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è fermamente intenzionato a spingere avanti la proposta di revisione della tassa sui servizi digitali. Tuttavia, la misura ha acceso una battaglia non solo tra opposizione e maggioranza, ma anche all’interno della stessa coalizione governativa, con membri di Forza Italia e altre forze che chiedono correttivi per esentare le piccole e medie imprese.
Che cos’è la web tax e cosa cambierebbe?
La web tax, introdotta in diversi Paesi, mira a tassare i ricavi generati da grandi aziende del settore tecnologico come Google, Amazon, e Facebook, che spesso riescono a ridurre il carico fiscale sfruttando agevolazioni o lacune normative nei Paesi in cui operano. La versione italiana di questa imposta, già in vigore, prevede attualmente una soglia minima di fatturato di 750 milioni di euro a livello globale e di 5,5 milioni in Italia, e si applica solo ai colossi con una presenza consistente nel Paese.
Ma Giorgetti ha proposto di eliminare questi limiti, estendendo la tassa a tutte le imprese digitali, comprese le PMI. Secondo il ministro, questa revisione eliminerebbe la “discriminazione” alla base delle critiche mosse dagli Stati Uniti, che avevano persino minacciato ritorsioni commerciali in risposta alla tassa, considerata ingiusta nei confronti delle aziende americane.
Le critiche dal Parlamento: Forza Italia e Pd contro la tassa sulle PMI
Nonostante la determinazione del ministro, la proposta ha incontrato forti opposizioni. Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e leader di Forza Italia, ha dichiarato che il suo partito è pronto a modificare la norma per evitare che colpisca anche le PMI. “Dobbiamo colpire i giganti del web e non le piccole imprese”, ha affermato. Tajani ha sottolineato che le piccole aziende italiane già affrontano difficoltà, e gravarle ulteriormente sarebbe “un errore”. La sua posizione è chiara: meno burocrazia e più libertà per le imprese, senza pesi fiscali aggiuntivi che rischiano di soffocare il tessuto economico nazionale.
A sostegno della linea di Tajani si è espresso anche Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, il quale ha ribadito che la web tax “deve essere pagata dai colossi della rete, non dai siti di giornali o televisioni”. Anche l’opposizione, rappresentata dal Partito Democratico, ha criticato la misura: Virginio Merola, capogruppo PD in Commissione Finanze, ha espresso contrarietà all’estensione della tassa alle PMI, definendo la mossa “contraria alla crescita economica e dannosa per le imprese”.
L’allarme delle associazioni: le PMI a rischio
Anche diverse associazioni di categoria hanno lanciato l’allarme, preoccupate per l’impatto di una tassa così estesa sulle piccole imprese e startup italiane. Secondo Assodigit, un’associazione impegnata nella promozione della digitalizzazione delle PMI, l’imposizione della web tax senza soglie di fatturato colpirebbe in modo sproporzionato le piccole imprese, già in difficoltà nel competere in un mercato digitalizzato. Il presidente Giovanni Cinquegrana ha spiegato che “molte PMI operano con margini ridotti e potrebbero non riuscire a sostenere una tassa calcolata sui ricavi lordi, anziché sugli utili”. Questo, a suo avviso, rischia di penalizzare l’innovazione e gli investimenti nel settore digitale italiano, soffocando la crescita di nuovi player tecnologici.
Analoghe preoccupazioni sono state espresse da ItaliaFintech, che rappresenta le imprese italiane del settore finanziario digitale. Secondo Michelangelo Bottesini, presidente dell’associazione, “l’eliminazione delle soglie minime di fatturato rischia di penalizzare tutte le imprese digitali italiane”, creando un freno alla competitività e all’occupazione in un settore fondamentale per l’innovazione.
Le conseguenze per il settore editoriale e l’economia nazionale
Anche il settore editoriale ha manifestato preoccupazione. Secondo la Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi), la nuova tassa rischia di avere “effetti controproducenti sulla tenuta occupazionale di un settore già messo a dura prova”. La Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg) ha sottolineato come il provvedimento possa determinare una duplice tassazione per le imprese editoriali, che già sostengono oneri significativi per mantenere la propria presenza online.
In aggiunta, Netcomm, il consorzio del commercio digitale italiano, ha avvertito che la tassa potrebbe avere un impatto negativo sul PIL e sul gettito fiscale complessivo a lungo termine. Secondo Roberto Liscia, presidente del consorzio, la tassa porterebbe molte imprese a rallentare gli investimenti o addirittura a valutare la delocalizzazione. Questo creerebbe un ciclo negativo, dove una maggiore imposizione fiscale danneggia la competitività delle imprese, riducendo lo sviluppo economico del Paese.
La sfida futura: trovare un compromesso
Il dibattito sulla web tax è solo all’inizio, e nei prossimi mesi il Parlamento discuterà a fondo la questione, con emendamenti già in preparazione per limitare gli effetti della tassa. La proposta di Giorgetti ha l’obiettivo di eliminare una discriminazione, ma senza adeguamenti rischia di pesare proprio su chi non ha le risorse per sostenerne l’impatto.
La questione principale resta quindi se sia possibile trovare una soluzione che consenta di tassare i profitti dei giganti del web senza danneggiare il tessuto delle PMI italiane, che rappresentano la spina dorsale dell’economia del Paese. Il rischio, sottolineato dai critici, è che questa misura possa, paradossalmente, rallentare la crescita e gli investimenti in settori strategici per la competitività nazionale.
Con le posizioni contrapposte dei partiti e le preoccupazioni di associazioni e imprenditori, il Governo dovrà scegliere se mantenere la linea dura o accettare compromessi. Ciò che è certo è che il cammino della “nuova” web tax è ancora lungo e ricco di insidie.
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