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È iniziata la COP29 di Baku: si salvi chi può #finsubito prestito immediato


Un edificio della COP29 a Baku, in Azerbaigian

Dall’11 al 21 novembre Baku ospiterà la COP29, la 29° conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Nella capitale dell’Azerbaigian, paese ospitante di quest’anno, confluiranno delegatǝ e ministrǝ dell’ambiente di 197 paesi, oltre che migliaia di figure terze tra ONG, ricercatori e lobbisti. Come sempre, la COP diventa l’epicentro del dibattito climatico, ma anche l’arena di interessi politici ed economici di stati, aziende e gruppi di potere.

Cosa sono le COP per il clima?

Le COP (Conference of the Parties) non sono solo quelle annuali per il clima, ma indicano le conferenze che le Nazioni Unite indicono su temi specifici. Le COP sul clima sono coordinate dall’UN Climate Nation e seguono tutte il contratto guida del ’92, l’UNFCCC (United Nation Frameworks Convention on Climate Change).

L’organizzazione della COP può essere pensata come un misto tra un insieme di consigli internazionali e un expo: vi sono tavoli di lavoro, plenarie, sessioni di negoziazione tra lǝ delegatǝ dei paesi membri; ma ci sono anche esposizioni, presentazioni e panel di associazioni e aziende nei pressi dei padiglioni dei vari paesi.

Le COP a livello di politica ambientale segnano sempre un punto: ricapitolano il lavoro compiuto (spesso reputato insufficiente) e fissano nuovi obiettivi. Gli accordi, però, non sono vincolanti (cioè il mancato rispetto degli accordi non prevede sanzioni) e questo ha sempre rappresentato un punto di criticità.

Perché la COP29 si svolge a Baku? Che tipo di contesto troveremo?

Le COP si organizzano a turnazioni in una delle 5 regioni riconosciute dall’ONU, dove ogni anno i paesi appartenenti devono scegliere un paese ospitante tra quelli candidati (con l’unanimità dei voti al netto delle astensioni). Quest’anno la regione preposta è l’Europa orientale, corrispondente più o meno all’area della ex Unione Sovietica, e la nazione scelta l’Azerbaigian. La scelta di questo paese, storico produttore di fonti fossili, è dipesa dall’attuale contesto geopolitico: la Russia non avrebbe mai votato uno stato europeo e viceversa gli stati orientali europei non avrebbero mai votato Russia o stati vicini a Mosca; l’Azerbaigian era uno dei pochi e il più importante nell’area che gode di buone relazioni con entrambi i poli politici.

Che interessi specifici ha il governo di Baku nell’ospitare la COP29? Riprendendo una breve analisi di ISPI, Baku vuole presentarsi come un partner affidabile del settore energetico, mostrandosi competente e, almeno in apparenza, pronto ad allinearsi sui grandi temi dell’attuale dibattito energetico. Sappiamo, però, che a livello di corruzione e di trasparenza il paese affronta diverse problematiche. A livello di strategia economica nel settore energetico, Baku punta a presentarsi con una doppia veste, che cambia tra breve e lungo periodo: nel breve, vuole continuare a essere uno dei più importanti esportatori di gas per l’UE, che dopo la guerra in Ucraina ha un’esigenza cronica di energia; nel lungo periodo l’Azerbaigian vuole essere fornitore di energia verde, un’energia che nei prossimi anni sarà sempre più preferibile anche per questioni di immagine e di spendibilità sul piano internazionale.

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Essere il paese ospitante vuol dire avere più potere nell’indirizzare l’andamento della COP: Baku, quindi, ha probabilmente interesse nel far virare la COP29 su un modello di transizione più mitigato, utile per la sua doppia strategia energetica. Ma oltre al progetto politico del governo, non si possono non citare le azioni repressive che Baku ha esercitato in questi mesi contro attivistǝ e militantǝ. Come riporta Amnesty, il governo di Baku non è nuovo a strette di libertà in procinto di eventi internazionali: in questi mesi sono circa 300 lǝ giornalistǝ e lǝ difensorǝ dei diritti umani reclusi per accuse motivate politicamente e si assiste a una generale stretta alla libertà di manifestare. Per Amnesty, un modo per cercare di nascondere la problematica situazione dei diritti umani in Azerbaigian e tenere salda la maschera del greenwashing.

Quali sono i temi principali della COP29? Perché si chiama la “COP della finanza”?

La COP28 era “la COP delle prime volte”: la prima volta dopo 28 anni che negli accordi è stata usata l’espressione di “combustibili fossili”; la prima volta anche dell’apertura di un fondo per i danni causati dai disastri climatici, il Loss and Damage Fund (istituito però con la COP27). Questa COP29 è stata definita “la COP della finanza”, perché è stato prefissato l’importante obiettivo di ridefinire in maniera sostanziosa le cifre da destinare ai fondi e le modalità dei finanziamenti.

Il presidente della COP, Ilham Aliyev, parla di due pilastri che devono guidare la redazione degli accordi: da un lato i paesi devono “migliorare l’ambizione” per quel che riguarda gli obiettivi climatici; dall’altro si deve “consentire l’azione”, cioè fornire più mezzi e finanziamenti ai paesi. Il secondo pilastro richiama subito uno dei più importanti obiettivi della COP29: l’istituzione dell’NCQG (New collective Quantified Goal), cioè un piano di nuovi obiettivi di finanziamento. Si parla addirittura di 1.000 miliardi di dollari in 10 anni: cifra che sembra impossibile da raggiungere dato che oggi si contano circa solo 900 milioni destinati ai danni. Nodo cruciale sarà, però, la modalità dei finanziamenti: per ora sono stati per lo più prestiti, che hanno finito anche per aumentare il debito pubblico di alcuni paesi, e non finanziamenti a fondo perduto.

Seguendo il resoconto di Cespi, gli altri punti chiave saranno la revisione degli impegni dei singoli stati, la definizione ulteriore del Loss and Damage e la revisione dell’Articolo 6 degli accordi di Parigi del 2015 (l’articolo riguarda la regolazione dei mercati delle quote di carbonio). Ultimo punto importante della COP29 è la questione dell’adattamento. Tre sono le strategie per affrontare la crisi climatica: conservare e riparare i danni provocati dagli squilibri odierni; mitigare gli effetti futuri, soprattutto con la riduzione delle emissioni; e adattarci con varie misure a un ambiente che cambierà molto di più. Quest’anno si cercherà di potenziare questa strategia, che nelle precedenti COP non è stata molto affrontata.

Che cosa aspettarci?

La scorsa COP ha mostrato una profonda spaccatura tra Nord e Sud del mondo, tra i paesi più ricchi e i paesi più poveri. Dubai ha cercato di approfittare della situazione in suo favore, virando l’attenzione sul Loss and Damage per i paesi in via di sviluppo, a discapito del tema dell’uscita dal fossile. I paesi più poveri, però, non hanno ben accolto gli accordi. Anche a livello di partecipazione della società civile e di discussioni intorno alle pratiche di adattamento, la COP28 ha lasciato a desiderare.

La COP29 sembra poter fare qualcosa di più per l’adattamento, sia per quel che riguarda lo stanziamento di fondi sia per quel che riguarda il NPACC (National Plan for Adaptation for CLimate Change). Alcuni temi come l’inclusione (sebbene trattato per questioni di facciata), possono risultare un punto di partenza che, unito alla voce crescente dei paesi del Sud, potrebbe mettere i paesi ricchi, emettitori della maggior parte della CO2, nella condizione politica di dover fare di più.

Probabile nota dolente saranno gli Stati Uniti, che sotto la prima presidenza Trump sono già usciti dagli accordi di Parigi del 2015. La nuova presidenza Trump non sarà probabilmente propensa a firmare accordi più restrittivi. Anzi, questa legislazione sarà probabilmente segnata da tutta una serie di allentamenti e cancellazioni di leggi green.

L’aspetto più preoccupante, però, è l’attacco alla partecipazione della società civile, date la repressione del paese ospitante e le sanzioni più dure che gli altri stati stanno adoperando contro lǝ attivistǝ climaticǝ (come sappiamo bene in Italia). E questo è qualcosa che probabilmente peserà tanto a livello di efficacia nell’affrontare la crisi climatica. Con gli accordi della COP non vincolanti e con soluzioni a livello internazionale e nazionale spesso largamente non sufficienti, una piazza calda e movimenti di massa per il clima sono le più importanti tra le armi che abbiamo per far sì che i governi prendano sul serio la sfida climatica. C’è da auspicare quindi che, nonostante le ostilità dei governi verso lǝ attivistǝ, possa esserci una forte risposta popolare.

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Fabrizio Ferraro
Fonte immagine di copertina: depositphotos.com



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