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CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 27505 depositata il 23 ottobre 2024 – Il ricorso per cassazione è inammissibile quando in esso vengono prospettate questioni ai sensi dei nn. 3 e 5, del comma 1, dell’art. 360 c.p.c., senza che i singoli profili possano essere con chiarezza separati ai fini di un autonomo esame #finsubito prestito immediato


CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 27505 depositata il 23 ottobre 2024

Lavoro – Illegittimo demansionamento – Risarcimento danno biologico, morale e patrimoniale – Liquidazione danno patrimoniale – Inammissibilità

Rilevato che

1.1. La Corte di Appello di Roma, confermando la decisione del Tribunale della stessa città, in parziale accoglimento del ricorso ex art. 414 c.p.c. presentato dal lavoratore in epigrafe indicato, accertava il suo illegittimo demansionamento a decorrere dal settembre del 2010 e condannava la parte datoriale, Agenzia delle Entrate, al risarcimento del danno biologico, morale e patrimoniale subito per la perdita della posizione organizzativa.

2.2. Nel percorso motivazionale, la Corte territoriale precisava che non era stata in alcun modo censurata dai motivi di appello la statuizione del Tribunale di accertamento dell’obbligo del datore (fondato su un titolo giudiziario, la sentenza del Tribunale di Roma n. 13007/2011, passata in cosa giudicata) di attribuire nuovamente al dipendente l’incarico di capo team; che, del pari, non è stata dimostrata l’impossibilità di esecuzione della pronunzia di riassegnazione, sicché, incontestata la mancata riassegnazione dell’incarico e confermato altresì che, per il periodo dal settembre del 2010, il lavoratore era stato svuotato di ogni attività lavorativa e, per il periodo dal mese di ottobre 2012 e fino al settembre 2013, le attività svolte non rientrano nella declaratoria contrattuale della terza area funzionale del ccnl del Comparto delle Agenzie fiscali 2002/2005, era provato il dedotto demansionamento.

3.3. La Corte di Appello confermava quindi integralmente la decisione di prime cure e riteneva corretta la liquidazione del danno patrimoniale, compiuta dal Tribunale, da perdita della posizione organizzativa fino al maggio 2014.

4.4. Propone ricorso la parte datoriale indicata in epigrafe con tre motivi.

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5.5. Resiste con controricorso il lavoratore.

6.6. Entrambe le parti depositano memoria.

Considerato che

1.1. Con il primo motivo si deduce l’omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nonché la violazione degli artt. 112, 345 e 347 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

2.2. Si insiste nella censura che erroneamente sia stato liquidato il risarcimento del danno (da mancato conferimento della posizione organizzativa) fino al mese di maggio del 2014; si rimarca che il lavoratore alla data di scadenza della posizione organizzativa (31.7.2011) non aveva comunque diritto a ricoprire nuovamente detto incarico, atteso che le posizioni organizzative sono a tempo determinato. Si evidenzia che la sentenza qui gravata ha violato le norme sulla necessaria motivazione.

3.3. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 27 c.c.n.l. Comparto Agenzie fiscali del 2002-2005, degli artt. 18 e 19 del ccnl Agenzia delle Entrate; la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

4.4. Si denunzia l’insussistenza di un’ipotesi di demansionamento del dipendente quale conseguenza della mancata riattribuzione dell’incarico di capo team – posizione organizzativa – che non costituisce affatto una posizione di diritto soggettivo perfetto, quanto piuttosto un interesse legittimo di diritto privato, che può pertanto essere soddisfatto solo con un atto del datore di lavoro.

5.5. Con la terza censura, proposta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. viene lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo.

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6.6. Si contesta, la correttezza dell’accertamento relativo allo “svuotamento” delle mansioni del dipendente e, nella sostanza, si denunzia l’omessa valutazione degli argomenti – ivi compresi i riferimenti alla istruttoria compiuta (documenti e prova testimoniale) – spesi dalla parte datoriale nelle proprie difese a confutazione di detto accertamento.

7.7. Il primo motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni, in primo luogo perché in esso vengono prospettate questioni ai sensi dei nn. 3 e 5, del comma 1, dell’art. 360 c.p.c., senza che i singoli profili possano essere con chiarezza separati ai fini di un autonomo esame.

8.8. In secondo luogo, perché sono comunque inammissibili tutte le censure svolte ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., venendo qui in rilievo un’ipotesi di cd. “doppia conforme”.

E’ noto infatti che sono inammissibili le censure che invocano il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non considerando che quest’ultima disposizione, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere denunciata, rispetto ad un appello promosso dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), qual è quello in esame, con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito negli stessi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014; negli stessi termini l’art. 360, comma 4, c.p.c. nel testo riformulato dal d.lgs. n. 149/2022).

9.9. In terzo luogo, infine, non può mancarsi di rimarcare che nell’ipotesi qui all’attenzione la sentenza non difetta affatto di motivazione.

Il dipendente è stato ristorato del danno patrimoniale anche per il periodo successivo al 31.7.2011, non per la perdita della posizione organizzativa, ma in esecuzione, come si è già anticipato al punto 2 del Rilevato che, di un precedente giudicato.

10. Ne consegue che il motivo è anche in parte qua inammissibile perché, da un lato, svolge considerazioni non riferibili al decisum, dall’altro, quanto alla mancata riattribuzione dell’incarico prospetta una violazione del giudicato non correttamente denunziata, non essendo assolti gli oneri di specifica indicazione e/o trascrizione degli atti, con violazione dell’art. 366 c.p.c.

11. La motivazione posta dalla Corte di Appello a fondamento della richiesta risarcitoria rispetta senza alcun dubbio il minimo costituzionale.

Va aggiunto, inoltre, che non sussiste alcun obbligo per il giudicante – rispettato il principio del minimo costituzionale della motivazione – di argomentare rispetto a tutte le deduzioni difensive.

12. La seconda censura è inammissibile non confrontandosi con la ratio decidendi della motivazione.

13. Nel proprio percorso motivazionale la Corte territoriale non ha affermato che sussiste un diritto soggettivo al conferimento della posizione organizzativa al lavoratore, piuttosto ha risarcito il danno derivante dalla mancata ricollocazione del dipendente nell’incarico di capo team dopo il provvedimento giudiziale che tanto imponeva (cfr. punto 9 della motivazione).

Di qui l’evidente inammissibilità del mezzo che non si confronta con il percorso motivazionale della sentenza di appello.

14. Il residuo censorio, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., è anch’esso inammissibile, per le ragioni già esposte al punto 8, senza sottacere che attraverso lo schermo dell’omesso esame, la parte ricorrente in cassazione ha in realtà contestato la correttezza dell’accertamento, operato dal giudice attraverso la valutazione del materiale istruttorio, relativo allo “svuotamento” delle mansioni del dipendente.

15. Si tratta di censure che evidentemente afferiscono al merito e sono inammissibili in sede di legittimità.

16. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.

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17. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

18. non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo.

Nella specie l’esenzione deriva dall’art. 12, comma 5, del d.l. n. 16/2012, convertito dalla legge n. 44/2012, che ha esteso alle Agenzie fiscali l’applicazione dell’art. 158 del d.P.R. n. 115/2002 ( cfr. Cass. n. 2551/2024).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con attribuzione in favore dell’avv. S.M.



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