Così a noi dell’informazione barra comunicazione, in standby dietro le vetrine con ingresso riservato per l’anteprima milanese con i fagottini in mano, i curiosi respinti per un attimo distratti dai lavori della M4 azzardano la domanda di rito che un tempo si faceva a chi usciva dal cinema: “Com’è?” a chi ha già assaporato le specialità della casa.
Via De Amicis, New Orleans
Ricapitoliamo, Popeyes è arrivato in Italia con tutta la grancassa americana: pollo che sfiora il dorato perfetto, nuggets croccanti, tenders che dal 14 novembre, giornata di apertura, si apprestano a fare allegra concorrenza anche alla classica costoletta milanese nella versione con il pollo.
Popeyes allora è come uno chef che ha girato mezzo mondo e ora si presenta come un giovane talentuoso che si gioca il tutto per tutto su un palco che in pochi, timorosi di sfigurare o di uscire ai preliminari di Champions, vogliono calcare, come fosse una specie di Lil Wayne che sfida Lazza al Festival di Sanremo con l’ansia che si sentenzi con la tipica sprezzatura lombarda «Un altro fast food? Non se ne sentiva la mancanza» di chi però non rinuncia a provare anche solo per poter esprimere, da intenditore vero o presunto, la sua personale definitiva sentenza.
Perché ormai anche per il fast food Milano, in fondo, non è una città facile per chi arriva da lontano, figuriamoci per chi viene dalla Louisiana, ma una chance la si offre sempre. A dirla tutta, Popeyes, nato per saziare i cowboy e le desperate housewives delle serie TV, ha un retrogusto un po’ vintage. E a Milano, se la conosciamo abbastanza, questo retrogusto piacerà, affamata com’è da sempre di novità.
E qui ci vuole il tocco magico: in una città in cui ogni cosa che brilla troppo prima o poi si ossida, Popeyes è una scommessa che scintilla come le famose perline di New Orleans. La verità è che quando ti siedi lì, sulle sedie color ottanio, sotto i lampadari con le stelle filanti, col vassoio colorato, le salse al ranch e la luce che filtra dalla mascherina di carnevale del dehors, senti come di stare in un racconto pulp americano alla Anne Rice: fantasy, noir, gothic, horror, B-movie… Non sarà Bourbon Street, via De Amicis, e non ti piovono collanine dai balconi (ma chissà il giorno dell’inaugurazione sono previste sorprese e un’orchestrina jazz!) ma già si parla di questo pollo con una serietà degna di una tesi di laurea. C’è chi loda la croccantezza dell’impanatura, chi la sugosità del pollo, chi il gusto speziato della salsa, di sicuro Milano avrà ora un posto in cui è lecito leccarsi le dita e sentirsi – per una manciata di minuti – in riva al Mississippi.
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