ROVIGO – Tengono in ordine il territorio, regolati livello e flusso di 1.700 chilometri di canali su oltre 120mila ettari di Polesine. Gli uomini del Consorzio di bonifica Adige Po hanno il compito di assicurare che il territorio sia sempre all’asciutto, che i corsi d’acqua possano fornire risorsa idrica all’agricoltura per irrigare le campagne, che le falde sotterranee non si abbassino, o alzino troppo facendo affiorare acqua in superficie, e che, in caso di piogge torrenziali, l’acqua possa defluire lungo fossati e canali senza intoppi.
Il tour con il Consorzio Adige Po dimostra quanto sia fondamentale l’opera della “bonifica”, quotidiana e spesso lontano dei riflettori, con 110 dipendenti, sotto la presidenza di Roberto Branco e sotto la direzione generale di Marco Volpin. Basta dirigersi verso Badia Polesine per vedere lungo l’Adigetto i primi lavori del grande intervento finanziato con 35 milioni di fondi Pnrr per la sistemazione del corso d’acqua, o per vedere alcuni dei mezzi del Consorzio (40 pesanti come trattori ed escavatori e 70 mezzi più leggeri) sistemare arginature e sfalciare sponde.
La Bova di Badia A Badia Polesine, alla Bova, parte l’Adigetto che si dirama dall’Adige (fin dal 1600), per poi attraversare il Polesine e dare vita ad altri canali e fossati che innervano le campagne dall’Adige al Canal Bianco. “Il Consorzio – spiega Volpin – si occupa di manutenzione e regime delle acque dei canali. I livelli devono essere costantemente monitorati per mantenere in equilibrio l’agroecosistema irriguo, e quindi attivare idrovore, aprire e chiudere chiaviche, manufatti di regolazione (ce ne sono centinaia), paratoie, sia quando ci sono piogge insistenti, e quindi evitare allagamenti; sia quando ci sono fasi di siccità, sempre più frequenti, per approvvigionare di acqua i campi, ma anche per evitare che le falde sotterranee possano alzarsi troppo di livello.
Perché se dovesse succedere diventerebbe difficile, ad esempio, anche solo costruire una casa”. Alla Bova, un grande casello sovrasta l’imbocco dell’Adigetto e tre linee di paratie che si possono alzare ed abbassare in base alle esigenze. “Nel corso dell’ultima piena – spiegano il direttore tecnico Giovanni Veronese, l’ingegner Alberto Bolognini e il geometra Roberto Bonato -abbiamo dovuto sorvegliare costantemente l’Adige. In questi casi è necessario mantenere in riga i livelli di qua e di là dalle porte di inizio Adigetto, per assicurare l’equilibrio della pressione esercitata dall’acqua”.
All’interno del casello centraline e una gestione sempre più tecnologica di 4 elettropompe capaci di prelevare fino a 10 metri cubi di acqua al secondo per irrigare 50mila ettari. “Permettono – dicono i tecnici dell’Adige Po – tempi di intervento sempre più rapidi e performanti”. Periodicamente, inoltre, è necessario liberare il canale che separa la Bova dall’ultimo grande “cancello” di inizio Adigetto dalla sabbia che si deposita sul fondo. “Dall’Adige – spiega il presidente Branco – si dirama l’Adigetto, che presenta ben 17 sbarramenti di regolazione e poi un reticolo di canali per portare l’acqua nelle campagne. Come consorzio gestiamo la parte nord, che deriva dall’Adige e la parte sud, oltre 50mila ettari, che deriva dal Po (il confine è il Canalbianco, gestito però da Infrastrutture Venete e Genio Civile).
Il tutto con un bilancio annuo di circa 16 milioni di euro. Opera e lavori a servizio della comunità, dove tecnologia e digitalizzazione rendono puntuale ogni intervento, ma dove anche esperienza e formazione del personale (ci sono parecchi impiegati ma anche molti operativi) sono decisivi, per verificare livelli dei canali, alzare o abbassare meccanismi di regolazione, mantenere in “bolla” il complesso meccanismo delle acque interne.
La chiavica di Calto Dall’altra parte del “catino consortile”, c’è il Po. A Calto c’è la più grande presa di derivazione dal grande fiume in Polesine (In tutto da Adige e Po ce ne sono 82). La chiavica di Calto è una sorta di torre piantata a ridosso della sponda, che taglia l’argine e si collega, attraverso grandi condotte ad una serie di invasi alla rete di canali. “Anche in questi bacini – spiega Luca Arbustini – occorre tenere sotto controllo spinta e controspinta dell’acqua”. Su un pilastro della torre sono segnati i livelli delle principali piene del Po, quella tragica del 1951, poco sotto quella del 2000. All’interno centraline e macchinari comandano le elettropompe per “travasare” acqua dal Po, cosa che con un ribollire impetuoso segnala l’attivazione da parte di un cervellone elettronico azionabile anche da remoto. La presa d’acqua alimenta (fino a 5.300 litri al secondo) direttamente il Cavo Maestro che percorre il Polesine da Melara a Cavanella Po.
Idrovora Bresparola Nella campagna tra i territori di Polesella e Bosaro si trovano la Botte Paleocapa e l’idrovora. La Botte è un’opera che vede due canali passare uno sopra l’altro, collegati con un sistema di paratoie che per mette il collegamento tra i due corsi d’acqua “perché a volte – spiega Volpin – piove molto a Melara e per niente ad Occhiobello, e quindi è necessario alleggerire in fretta la portata di un canale appoggiandosi sull’altro. I due canali vicini creano un intreccio d’acqua sui quali si ergono i due vecchi parapetti in mattoni che contenevano la vecchia Fossa, su cui adesso passa una strada. E su uno di questi muretti è ancora impresso il colpo causato da un tronco spinto dalla corrente dell’alluvione del 1951. Un “reperto” storico che sembra un monito perenne che ci dice che “con l’acqua non si scherza. L’idrovora della Bresparola, a poche centinaia di metri, è la seconda più grande del consorzio, dopo quella di Cavanella, capace di scaricare l’acqua del Cavo Maestro inferiore sul Canalbianco attraverso un sistema di nove pompe comandate da una sala macchine ad alta tecnologia e ad elevato consumo di elettricità.
“Servono – spiegano i tecnici – a mantenere in equilibrio i livelli del Cavo e del Canalbianco. Nei momenti di piena in questa sala macchine c’è sempre qualcuno che verifica e controlla. E spesso serve l’intervento di uno o più operatori per aiutare il rastrello meccanico che deve mantenere le pompe libere da rami, rifiuti ed ogni altro tipo di ingombro che potrebbe rallentarle”. Il Consorzio gestisce, tra l’altro, un’ottantina di opere di derivazione, la più grande sul Canalbianco è il sifone Bussari. Consorzio Il bilancio del Consorzio si aggira su 16 milioni di euro all’anno, 14 dei quali arrivano da quanto versano i privati (agricoltori e proprietari di immobili), poco più di 100mila euro dalla Regione. Poi c’è il ricorso a finanziamenti per progetti ad hoc, come quello per la sistemazione dell’Adigetto.
“Siamo un ente autonomo – spiegano Branco e Volpin – che svolge un importanze servizio pubblico. Una sorta di federalismo fiscale perché tutte le nostre risorse le investiamo e impieghiamo per interventi di manutenzione e migliorie del territorio di competenza. E’ importante comprendere l’importanza di quello che facciamo, ne beneficia l’intera comunità”. E infatti le parole chiave dell’Adige Po sono essere guardiano, garante, gestore del territorio.
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