Povertà assoluta, deprivazione alimentare, difficoltà di accesso alle cure e all’istruzione. La Giornata mondiale dell’infanzia, il 20 novembre di ogni anno, è l’occasione per mettere in fila le disuguaglianze che si trovano ad affrontare i minori nel nostro Paese. La Società italiana di pediatria (Sip) presenterà i dati principali al 79° congresso di categoria a Firenze. Dai numeri raccolti emerge che 1 milione 295mila bambini in Italia vivono in povertà assoluta (Istat), e i più colpiti si trovano nel Mezzogiorno o hanno un passaporto straniero. Sono privati dei bisogni essenziali, come il diritto a un’alimentazione adeguata, alla preparazione scolastica e alla salute. La mortalità infantile cresce soprattutto nelle regioni del Sud, dove – come ha sottolineato anche l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti all’evento “Senza distinzioni” a Roma – il 59,6% dei bambini è costretto a spostarsi per ragioni sanitarie. A vedere ridotto il diritto alla salute sono anche i minori stranieri non accompagnati, che secondo un report appena diffuso dalla Fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità (Ismu), sono anche tagliati fuori dal sistema scolastico. Questo dipende anche dai tempi di inserimento e incide sulle loro opportunità di esercitare i diritti fondamentali di ogni bambino.
Il divario Nord Sud – Le differenze tra le due parti del Paese pesano ancora sulle possibilità di crescere in un ambiente sano. Secondo i dati Istat-Sip, la povertà assoluta riguarda il 13,8% dei minori residenti in Italia ma nelle regioni settentrionali la percentuale scende al 12,9% mentre nel Mezzogiorno sale fino al 15,5%. Questo significa che è più difficile accedere agli standard di vita minimi e si fatica a disporre degli strumenti per beni e servizi considerati essenziali, come cibo, casa, salute. Su questi diritti di base, i minorenni residenti al Sud sono indietro su tutto. I bambini nati nel Mezzogiorno hanno un tasso di mortalità infantile superiore del 70% rispetto ai coetanei del Nord e per la Sip “la migrazione sanitaria genera e aumenta le iniquità”. Il 7% degli under 16 del Meridione, poi, soffre di povertà alimentare e le famiglie riescono a garantire un pasto proteico solo grazie alle attività degli enti benefici, come le onlus specializzate nella distribuzione del cibo. A penalizzare dalla nascita chi vive al Sud è anche la carenza di luoghi di apprendimento, a partire dagli asili nido. Già 14 anni fa il Consiglio europeo di Barcellona aveva stabilito di raggiungere una copertura del 33% di posti nei nidi per ogni paese membro, ma oggi in alcune regioni del sud la presenza delle strutture educative per l’infanzia è del 13% e l’obiettivo dichiarato dal ministero dell’Economia prevede di raggiungere al massimo il 15%.
I minori stranieri sono più poveri – A soffrire più di tutti le disuguaglianze è poi chi nel nostro Paese è venuto a cercare un’opportunità di vita. Nelle famiglie composte soltanto da stranieri la povertà assoluta è pari al 35%, mentre si ferma al 6% nei nuclei familiari italiani. Il dato più spaventoso riguarda il diritto alle cure sanitarie dei minori: la mortalità infantile per i figli di genitori stranieri è del 60% superiore a quella dei nati da italiani. Ma le differenze ledono anche l’accesso all’istruzione e danneggiano soprattutto chi si trova da solo a crescere in Italia. Secondo il report diffuso il 20 novembre dalla Fondazione Ismu, che dal 2020 ha censito 3.399 minori stranieri non accompagnati, solo un minore su cinque è integrato nel sistema scolastico italiano, riesce a frequentare cioè gli stessi percorsi di istruzione dei coetanei italiani e a conseguire un titolo di studio. In parte l’integrazione è rallentata dal tempo del primo inserimento, che in media avviene tra i cinque e i sei mesi dopo l’arrivo. L’ingresso nel sistema scolastico è più rapido per chi entra a un’età vicina ai 18 anni. Per esempio, secondo Ismu, metà di chi arriva in Italia a 17 anni viene inserito dopo un mese nei programmi di apprendimento, ma questo tempo raddoppia con l’aumentare dell’età e solo metà di chi all’arrivo ha meno di 14 anni riesce a intraprendere un percorso scolastico entro 2 anni. “Ho cominciato a lavorare a dieci anni – hanno raccontato a Ismu i minori stranieri non accompagnati che hanno partecipato alla ricerca -. Prendevo ciò che serviva e il resto lo davo a mia mamma”.
La povertà si eredita – L’istruzione è forse l’unico modo con cui poter abbattere le differenze. “Secondo un’indagine della Caritas – sottolinea De Curtis nel presentare l’evento della Sip – la povertà ereditaria si trasmette di padre in figlio e occorrono almeno cinque generazioni affinché una persona nata in una famiglia povera possa raggiungere un livello medio di reddito”. Migliorare l’accesso all’istruzione fin dall’infanzia, investire sugli asili nido e sulle strutture di formazione, dare a tutti la possibilità di studiare è, nella visione degli esperti la via per garantire un percorso di crescita equo per tutti e in tutta Italia. Secondo le stime Caritas-Sip, solo l’8% di chi ha un genitore non diplomato riesce a conseguire un diploma universitario. “Maria Montessori affermava che un bambino senza istruzione è un cittadino dimenticato – ha detto De Curtis -. E un’offerta educativa valida potrebbe interrompere il ciclo di trasmissione della povertà da una generazione all’altra”.
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