In aumento i liberi professionisti – Archivio
Mettersi in proprio e avviare una attività di lavoro autonomo costituisce una opportunità per tutti (chi è alla ricerca di un primo impiego e chi è disoccupato). Sono previste forme di incentivazione e di affiancamento per coloro che partecipano a iniziative di politica attiva e intendono inserirsi o reinserirsi nel mercato. I Centri per l’impiego e le Agenzie per il lavoro accreditate prevedono servizi di orientamento e di assistenza specifici per l’autoimpiego che mirano a verificare le attitudini imprenditoriali con la persona e a renderla consapevole sul processo di sviluppo dell’idea e sulle reali propensioni individuali. Inoltre viene presentata la panoramica degli enti sul territorio titolati a supportare i processi di avvio all’impresa, anche attraverso incentivi e a seguirne i primi passi con il tutoraggio.
Da sempre l’Italia può vantare un numero elevato di lavoratori autonomi. Secondo l’IX Rapporto sulle libere professioni in Italia – Anno 2024, curato dall’Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni, anche questo comparto rialza la testa, ma deve ancora fare i conti con le debolezze strutturali di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Dopo gli anni della pandemia, che ha inghiottito circa 7mila liberi professionisti, nel 2023 si registra un balzo di circa 10mila unità, che nel complesso porta il numero di liberi professionisti a quota un milione e 360mila, pari al 5,8% della forza lavoro e al 27% del lavoro indipendente in Italia. A trainare il rialzo occupazionale sono i datori di lavoro-professionisti – i più colpiti durante il periodo pandemico – che raggiungono quota 204mila, grazie al recupero di circa 20mila unità realizzato nel biennio 2022-2023. Notevole l’incremento della quota femminile, soprattutto nelle regioni meridionali, che nello scorso anno conta circa 133 mila donne in più rispetto al 2010, mentre il numero di uomini è salito di circa 40mila unità nello stesso periodo. Un dato che evidenzia un chiaro processo di ribilanciamento di genere all’interno della libera professione. La dinamicità del mercato del lavoro si riflette anche sull’occupazione negli studi professionali. Nel 2023 sono stati creati oltre 62mila nuovi posti di lavoro, grazie all’aumento dei contratti a tempo indeterminato, che nel 2023 segnano un saldo occupazionale pari a 51.568. La buona intonazione del settore viene confermata inoltre dalla progressione dei redditi tra tutti i gruppi professionali. Nell’ultimo triennio la maggior crescita dei profitti si registra tra geometri (+62%), medici e odontoiatri (+53,6%), ingegneri (+53%) e architetti (+52,7%).
Sulle positive dinamiche occupazionali pesano, tuttavia, diverse criticità che frenano lo slancio del settore professionale, a cominciare dalla continua flessione dei giovani (-13,8%), dovuto in larga misura all’inverno demografico e alla crescente concorrenza del lavoro dipendente, cui si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione: l’età media dei liberi professionisti passa dei 45,5 anni del 2013 ai 48,2 anni del 2023. Non a caso sono proprio gli over 55 a registrare l’aumento più sostenuto (+6,1%) tra il 2019 e il 2023. In un contesto caratterizzato da un netto recupero del mercato del lavoro in Italia, con un tasso di occupazione record che alla fine del 2023 su attesta al 61,5%, il lavoro professionale e, più in generale quello indipendente, si scontra con l’occupazione dipendente, che a fine 2023 aveva superato i livelli pre-Covid di circa 700mila di unità. Le imprese hanno accresciuto il loro appeal, non solo nei confronti dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro ma anche verso una parte di lavoratori indipendenti, che scelgono di passare dalla libera professione al lavoro subordinato. Negli ultimi quattro anni, dunque, il bilancio del mercato del lavoro indipendente, seppur in crescita rispetto al 2022, è ancora negativo e non arriva a colmare il divario causato dalla pandemia: negli ultimi quattro anni si sono persi circa 223mila posti di lavoro tra gli indipendenti e i liberi professionisti diminuiscono di 67mila unità, con una variazione negativa del 5%. Più pesante il bilancio per le partite Iva che segnano un calo di 256mila posti di lavoro.
Le tendenze occupazionali delle professioni in Italia trovano puntuale riscontro a livello europeo. Il balzo in avanti dei liberi professionisti nell’eurozona, si colloca in un contesto caratterizzato da un forte incremento occupazionale generale (il numero degli occupati sale a quasi 16 milioni di unità) e da una netta contrazione della disoccupazione (-5,7 milioni), che ha permesso alle libere professioni di espandersi nel mercato del lavoro europeo. Tra il 2019 e il 2023 sono aumentate del 7,3%, un trend che trova conferma anche nell’ultimo anno con un incremento del 3,8%, sottolineando la crescente incidenza del contributo delle libere professioni alle economie europee. Al 2023 si contano quasi 6 milioni di liberi professionisti in Europa, dove tre lavoratori su 100 svolgono un lavoro intellettuale. Ancora una volta l’Italia si colloca al vertice della classifica per densità di professionisti, davanti a Germania, Francia e Spagna; ma se fino a qualche anno fa il nostro Paese rappresentava una sorta di “anomalia”, il costante sviluppo trasversale del comparto professionale in Europa rappresenta un pilastro fondamentale di sistemi economico sociali sempre più basati sull’economia della conoscenza, come evidenzia anche la relazione positiva tra Pil pro capite e densità di liberi professionisti nei diversi Paesi Ue.
Le iniziative a favore dell’autoimpiego
«Le libere professioni sono una ricchezza inestimabile di cultura imprenditoriale e lavoristica. Un tessuto eccezionale di capitale umano di elevata qualità. L’attività di analisi e di misurazione di questa realtà così complessa è molto importante ma non basta. Il Cnel si rende disponibile a esercitare la sua funzione di iniziativa legislativa, per ampliare e consolidare le tutele di welfare dei liberi professionisti. Lo facciamo qui, nella casa dei corpi intermedi, con l’obiettivo di arrivare a un disegno di legge che abbia il consenso di tutte le rappresentanze del lavoro». Così il presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro Renato Brunetta. «Il mondo delle professioni – spiega Brunetta – è una straordinaria rete, un vero tesoro per l’Italia ed è una fortuna avere questo tessuto di professionisti che stanno sul mercato e producono beni privati, ma al tempo stesso contribuiscono a produrre beni e servizi pubblici. Il rapporto tra pubblico e privato se funziona diventa un eccezionale fattore di produttività. Il mercato a volte fallisce, come accadde tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando per supplire alle carenze del mercato nacquero le municipalizzate, strutture innovative dove il pubblico si univa al privato. Una sinergia virtuosa tra pubblico e privato è ancora oggi sempre più indispensabile».
«Le professioni, sia quelle di natura ordinistica che quelle che non sono organizzate in Ordini o Collegi professionali, costituiscono un’avanguardia del cambiamento in corso – sottolinea la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone –. Lo sono per il carattere autonomo della prestazione resa, per la funzione sussidiaria che sono chiamate ad esercitare ma anche per le domande poste loro da imprese, enti, cittadini. L’attenzione del governo verso il mondo del lavoro professionale e della sua evoluzione è costante per creare parallelismi tra lavoro autonomo e subordinato a livello di riconoscimento di diritti e di tutele. A breve, con la pubblicazione del decreto attuativo, sarà operativo il Fondo nazionale per l’autoimpiego, che tra l’altro è rivolto all’avviamento di attività nel campo delle libere professioni, anche ordinistiche, da parte dei giovani under 35».
«Soltanto nel 2023 – aggiunge l’ad di Invitalia Bernardo Mattarella – abbiamo assistito oltre 64mila imprese. Sono 4.200 le nuove imprese, di cui circa il 40% sono formate da imprenditrici e l’80% sono nate nel Mezzogiorno. Più si va a Sud, più si va nelle regioni a maggior ritardo di sviluppo e più gli incentivi sono significativi per il sostegno agli investimenti. Non si tratta soltanto di creare posti di lavoro, ma di creare posti di lavoro di qualità. I nostri beneficiari devono operare nel rispetto delle normative sulla sicurezza del lavoro, rispettare la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori che impiegano, anche per favorire il mantenimento di attività imprenditoriali nelle regioni che sono a rischio di desertificazione». Il Rapporto di Banca d’Italia sulle economie regionali, continua Mattarella, «segnala, tra le altre cose, un problema demografico molto importante nei prossimi 10-20 anni. Nel 2043 si stima la riduzione del 4,3% della popolazione del Paese, con una riduzione nel Mezzogiorno dell’11,9% e una leggerissima crescita di popolazione nel Centro-Nord. Alcuni strumenti che noi gestiamo sono finalizzati proprio a far restare i giovani nelle loro regioni di origine. Uno dei più importanti si chiama Resto al Sud, serve per le piccole e medie imprese che possono nascere nel Mezzogiorno su iniziativa di giovani. Attraverso una collaborazione molto forte con il ministero del Lavoro ci sarà una seconda edizione Resto al Sud 2.0 che avrà anche un gemello che si chiamerà Autoimpiego Centro-Nord per favorire la nascita di imprese di giovani nelle regioni sia del Mezzogiorno che del Centro-Nord». Da quando è nato Resto al Sud, nel 2018, «abbiamo fatto nascere oltre 17mila imprese, impiegando circa un miliardo e 200 milioni di euro, che hanno generato 60mila posti di lavoro. Tutto ciò che noi facciamo è accompagnato da una valutazione di impatto, perché le politiche, messe in campo dal governo e attuate da Invitalia, devono essere misurate nella loro efficacia e nella capacità di produrre risultati economici, sociali e ambientali. Nelle nostre misure agevolative che riguardano la creazione di nuove imprese, gli aspiranti imprenditori che sono tantissimi nel nostro Paese, c’è una grande attenzione anche alla formazione».
«Il contributo del Cnel sarà fondamentale per arrivare a un disegno di legge sulle tutele di welfare nel settore delle libere professioni, che preveda un approccio basato sulla trasparenza, l’inclusione, l’affidabilità e la privacy. Il nostro settore ha il compito di intercettare le innovazioni nell’economia e nella società e per fare questo è importante avere l’aiuto delle istituzioni – conclude Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni e consigliere del Cnel -. Stiamo assistendo a un evidente riposizionamento delle professioni nel mercato del lavoro e nell’economia del Paese. È una realtà in continuo divenire, dove i progressi economici e sociali si scontrano frontalmente con le debolezze strutturali del nostro Paese e anche del settore delle libere professioni, che cresce ma senza la spinta propulsiva delle giovani leve». Intanto è stato firmato il documento Rome call for AI ethics, che impegna Confprofessioni a promuovere e sostenere un approccio etico all’intelligenza artificiale nel mondo delle libere professioni, secondo i principi promossi dalla Pontificia Accademia per la Vita e dalla Fondazione RenAIssance. La Confederazione è la prima nel Paese «ad aderire al documento, già sottoscritto dal governo italiano, da importanti gruppi tecnologici internazionali come Microsoft, Ibm e Cisco, da istituzioni come la Fao, da numerose Università in tutto il mondo, aziende e privati, nonché dai rappresentanti delle tre religioni abramitiche e di undici grandi religioni orientali».
Giovani imprenditori leva per la crescita
In 40 anni nel nostro Paese ci sono circa dieci milioni di giovani in meno, mentre è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni. Questi fenomeni nel corso degli ultimi anni si sono concentrati ed esasperati principalmente al Sud. Tra il 2011 e il 2023 la perdita di popolazione è stata tutta nel Mezzogiorno (un milione in meno di abitanti). E, in particolare, in quest’area la perdita di giovani è stata di ben 1,9 milioni. Peggiori condizioni economiche comprimono, infatti, la demografia e senza demografia non c’è crescita In Italia in 12 anni (2011-2023) abbiamo perso 180mila imprese giovani di cui più del 40% nel Mezzogiorno (oltre 78mila). E il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, si è ridotto di ben 3,1 punti percentuali, passando dall’11,9% all’8,8%. Senza questa perdita, e quindi con un tasso pari a quello del 2011, oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil. Il declino, dunque, può essere contrastato solo incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario di mercato che negli ultimi trent’anni è il settore che ha generato crescita economica ed occupazione (+3,5 milioni di occupati standard a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti). L’imprenditoria giovane può dare impulso alla crescita complessiva del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno che ha sempre trovato nell’autoimprenditorialità un’àncora di salvezza contro la ridotta presenza di grandi imprese che generano lavoro dipendente. Occorre migliorare il contesto socio-economico e la demografia, incentivando la partecipazione femminile al lavoro per invertire la tendenza demografica a lungo termine; incentivare l‘imprenditorialità, promuovendo l’auto-imprenditorialità attraverso agevolazioni fiscali, semplificazione burocratica e variabili di contesto più favorevoli; agevolare l’accesso al credito per le imprese giovanili. Questi in sintesi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio L’importanza dell’imprenditoria giovanile per la crescita economica.
«L’eccezionalità economica italiana si è costruita su un modello di impresa diffusa, attraverso la quale – nel tempo – tantissimi italiani hanno pensato di mettersi in proprio e di realizzare un progetto di vita. Eppure, proprio questo desiderio di crescita nell’ultimo decennio sembra assopito. Nel 2011 le imprese giovanili erano quasi il 12% del totale, nel 2019 erano il 9,5%, nel 2023 l’8,8%. L’impresa è insomma un orizzonte che le nuove generazioni scelgono sempre meno. Tuttavia, fare impresa è una delle decisioni a più alto impatto personale e sociale che possano esserci», sostiene il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli.
Il declino può essere contrastato solo incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario di mercato che negli ultimi 30 anni è il settore che ha generato la crescita economica e l’occupazione (+3,5 milioni di occupati standard a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti). L’imprenditoria giovane, la parte più vitale della società imprenditoriale, può dare impulso alla crescita complessiva del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno che ha sempre trovato nell’autoimprenditorialità un’àncora di salvezza contro la ridotta presenza di grandi imprese che generano lavoro dipendente. L’equazione risolutiva è, dunque, più imprese giovani nel terziario di mercato. È da qui che si deve passare per forza. E anche lo squilibro generazionale va ridotto. Per rivitalizzare la relazione tra giovani imprenditori e crescita economica in un orizzonte di medio e lungo periodo occorre: migliorare il contesto socio-economico e la demografia, incentivando la partecipazione femminile al lavoro per invertire la tendenza demografica a lungo termine; incentivare l‘imprenditorialità, promuovendo l’auto-imprenditorialità attraverso agevolazioni fiscali, semplificazione burocratica e variabili di contesto più favorevoli; agevolare l’accesso al credito per le imprese giovanili che rappresenta un investimento nell’innovazione che va sostenuto dalla collettività.
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