Gli indagati sono accusati di reati associativi finalizzati al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, riciclaggio, autoriciclaggio
A Lecce e in alcuni comuni della provincia la polizia e la guardia di finanza sono impegnate in una vasta operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia per l’esecuzione di 35 misure cautelari nei confronti di persone accusate di reati associativi finalizzati al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, riciclaggio, autoriciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Tra le persone arrestate c’è anche un commercialista leccese di 43 anni finito in carcere con l’accusa di riciclaggio con l’aggravante mafiosa. Il suo compito – secondo gli inquirenti – sarebbe stato individuare i canali per il riciclaggio del denaro.
L’operazione congiunta prende spunto dalla maxi operazione della squadra mobile di Lecce del febbraio 2020 che portò a 72 arresti di una frangia della Sacra corona unita per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, violazione della legge sullle armi, associazione finalizzata al traffico di droga (quest’ultimo reato quello prevalentemente contestato) ed esercizio aggravato e partecipazione al gioco d’azzardo.
Il gruppo criminale movimentava centinaia di migliaia di euro in contanti, sviluppando non solo un’egemonia territoriale nel traffico degli stupefacenti ma anche un progressivo dominio sotto il profilo economico-finanziario attraverso l’acquisizione nel tempo di una serie di locali pubblici (pub e ristoranti) ed alcuni esercizi commerciali nel territorio salentino, con la connivenza e fattiva collaborazione di un noto commercialista salentino. È quanto emerso dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia.
Una pluralità di imprese, sotto forma di cooperative – evidenziano gli investigatori – risultavano formalmente affidate a soci e/o a soggetti prestanome ma in realtà erano asservite agli scopi del gruppo criminale per reinvestire il denaro di provenienza illecita (anche all’estero), e per garantire ai familiari degli associati assunzioni e retribuzioni, per legittimare la provenienza (di facciata) dei guadagni. Ma in realtà nessuna attività lavorativa è stata riscontrata nel corso delle indagini.
In particolare, alle cooperative giungevano, per mano degli affiliati, somme di denaro contante di volta in volta versate sui rispettivi conti correnti societari (anche per diverse decine di migliaia di euro) con cui pagare gli stipendi (anche pari a 2.500 euro al mese) a mogli o parenti diretti dei detenuti e per il sostentamento di questi ultimi in carcere.
Somme di denaro contante venivano anche elargite ad altre imprese compiacenti che, poi, provvedevano ad acquistare autovetture di lusso date in uso (di fatto) agli stessi pregiudicati oppure ai loro familiari.
Il commercialista leccese arrestato provvedeva ad amministrare gli interessi economico-finanziari in prima persona, o attraverso teste di legno, per trasferire all’estero ingenti somme di denaro con bonifici in partenza dalle solite società cooperative compiacenti, eludendo le normali procedure di controllo in materia antiriciclaggio.
L’operazione ha interessato anche alcuni esponenti della criminalità organizzata, già condannati per aver fatto parte della Sacra corona unita (clan Pepe-Briganti, gruppo Penza).
Le indagini preliminari hanno consentito di acquisire un solido impianto indiziario sull’esistenza di due associazioni, radicate nei comuni di Lecce e nel basso Salento, dedite al traffico e commercio in forma strutturata ed organizzata di ingenti quantitativi di stupefacenti.
Le attività investigative hanno avuto origine da una intensa attività di cooperazione internazionale grazie alla quale sono stati acquisiti una serie di chat tra gli indagati attraverso le piattaforme criptate di comunicazione – Encrochat e Sky Ecc – che consentivano lo scambio di messaggi o conversazioni utilizzando criptofonini in grado di cifrare i dati trasmessi ed impedire qualsiasi intercettazione o captazione.
Il gruppo aveva rapporti anche con trafficanti di droga calabresi e altri sodalizi criminali operativi in Italia e all’estero (tra cui albanesi e spagnoli). Uno degli indagati è stato in grado di tessere tali rapporti anche durante un periodo di latitanza mentre un altro è riuscito a dare direttive ai propri sodali nonostante fosse in carcere e con l’aiuto di altri detenuti.
Le due organizzazioni facevano sistematicamente ricorso all’uso della violenza, anche con l’utilizzo di armi e ordigni esplosivi, per imporre il proprio controllo del territorio, nonché per dirimere eventuali conflittualità interne o indirizzare azioni punitive verso coloro che sconfinavano nelle piazze di spaccio controllate dall’associazione. Numerosi e ingenti sono stati i sequestri di sostanze stupefacenti durante le indagini, tra cui circa 45 chili di cocaina a Napoli.
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