Un aggiornamento sul “caso Cremona”, la città con l’aria più inquinata d’Italia e tra le prime in Europa, sede della più grande acciaieria italiana di seconda fusione appartenente al Gruppo Arvedi, il medesimo che ha acquisito recentemente l’analogo stabilimento di Terni. Il 21 aprile 2021 ne trattò il Fatto Quotidiano (L’altra ILVA che nessuno vuole vedere) e il 27 luglio dello stesso anno Fanpage (Perché Cremona è la città più inquinata d’Italia), oltre alla tv locale Telecolor che raccolse una mia lunga intervista come direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’azienda sanitaria di Mantova recentemente accorpata con Cremona.
La storia inizia nel lontano dicembre 2016, quando nel piccolo Comune cremonese di Bonemerse il sindaco mi invitò ad una assemblea serale con la cittadinanza all’antivigilia di Natale, per spiegare se e come si sarebbe potuto capire se il vicino inceneritore urbano di Cremona, e più in generale il polo industriale della città capoluogo, potessero impattare sulla salute dei suoi residenti.
In accordo con il direttore generale uscente ipotizzai un’indagine epidemiologica di popolazione, in considerazione del fatto che il polo industriale di Cremona -caratterizzato dalla presenza dell’acciaieria e di tante altre realtà produttive cremonesi, compresa una raffineria ormai in dismissione – aveva una portata emissiva complessiva di circa 10 milioni di metri cubi/ora. Un importante flusso d’aria ricco dei più svariati contaminanti veicolati dalle polveri sottili, con un’area di ricaduta presumibilmente ampia, ma non certamente coincidente con i confini amministrativi di uno o più comuni che ne partecipavano con quote percentuali di superficie certamente diverse. L’obiettivo era quindi quello di perimetrare questa area trasversale di ricaduta, capire chi ci avesse vissuto nel corso degli anni e quali fossero le condizioni di salute di una tale popolazione bersaglio. Questo fu quanto spiegai all’affollata assemblea cittadina, suscitando molta curiosità, attenzione e consenso per discorsi che in tanti anni non avevano mai sentito pronunciare, né dall’Asl e né da altre istituzioni.
Ma poi arrivò il nuovo anno con il nuovo direttore generale e tutto incominciò da capo: un estenuante bla-bla-bla per convincerlo della bontà del mio progetto, che però richiedeva il concorso di alcune competenze esterne per acquisire il know how necessario ad identificare e caratterizzare la citata “area di ricaduta” delle emissioni industriali su cui condurre poi l’osservazione epidemiologica. Sarebbe stata un’operazione relativamente semplice e rapida, grazie alla mia rete di relazioni scientifiche tessuta in tanti anni di lavoro, di cui mi ero già più volte avvalso a Mantova in situazioni analoghe. E invece fu una dura marcia sistematicamente ostacolata da un esercito di “burosauri” che anteponevano sempre alla tutela della salute pubblica insaziabili quanto incomprensibili esigenze amministrative.
Nel gennaio del 2019 fui addirittura “audito” dalla Commissione Sanità di Regione Lombardia dove presentai il mio progetto di studio epidemiologico che avevo condiviso anche con due autorevoli scienziati, uno appartenente all’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e l’altro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Per così dire, superai l’esame, ma fui ancora fermato dai burosauri locali che, ahimè, sostenuti ora anche dal direttore generale, pretendevano che per il partenariato esterno venisse formalizzata una “manifestazione d’interesse”, perché la scelta di Iss e Oms sarebbe potuta evidentemente apparire arbitraria e non rispettosa della concorrenza di mercato (sic!).
Non mi scoraggiai e nel marzo dell’anno successivo mi recai con regolare delega presso l’Iss per perfezionare ogni accordo. Ma due giorni dopo fu proclamato il lockdown pandemico e ogni attività che non riguardasse la pandemia fu bloccata in azienda sanitaria. Di fronte a questa “tela di Penelope”, cedetti e anticipai di un paio d’anni il pensionamento. Solo gli incalzanti riflettori dei media imposero di fatto al direttore generale di dare corso all’indagine epidemiologica. Ma cosa accadde? Furono scelti nuovi partner e soprattutto cambiato il protocollo originario dello studio. La necessità di individuare l’area trasversale di ricaduta degli inquinanti e la popolazione che lì aveva vissuto scomparve dall’orizzonte.
Il calcolo dei morti attribuibili all’inquinamento, totali e per patologia, non venne ricondotto anche alle specifiche emissioni locali di origine industriale, ma sempre e soltanto all’inquinamento generale tout court. Si scoprì quindi la famosa “acqua calda”, offerta come risultato alla popolazione a fine 2023, dopo ben 8 anni dall’annuncio dell’indagine, cioè che le patologie sentinella aumentano di frequenza con l’aumentare dell’inquinamento atmosferico, confermando quindi semplicemente quanto già noto e consolidato in letteratura. E la causa? L’inquinamento generalizzato della pianura padana provocato dalla sua sfortunata condizione geografica e climatica che comunque appare in seppur moderato declino. E “questi risultati” – si scrive nella conclusione del rapporto dello studio – che sono “frutto della riduzione delle esposizioni, appaiono rassicuranti e fanno ben sperare in un futuro in cui le esposizioni agli inquinanti atmosferici saranno ulteriormente ridotte”. Quante risorse sprecate per arrivare a questa meschina conclusione.
Appare francamente sconcertante definire “rassicurante” una riduzione dell’inquinamento da polveri sottili (pm2.5), per altro indotta forse più dal riscaldamento globale che da una effettiva riduzione delle emissioni totali, collocata comunque a Cremona su di un valore 5 volte superiore (25.9 microgrammi/m3) a quello di riferimento stabilito dall’Oms (5 microgrammi/m3). Una concentrazione che non ha pari nelle altre città della stessa pianura padana per quanto emerge dal rapporto 2024 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (Eea) e che è responsabile, secondo lo stesso rapporto dell’azienda sanitaria, di oltre 100 decessi ogni anno nel solo Comune di Cremona.
Per fortuna nel 2024 è cambiato nuovamente il direttore generale dell’azienda sanitaria, e allora ci ho riprovato proprio in questi giorni lanciandogli un accorato appello dallo schermo della coraggiosa Telecolor affinché si ritorni sulla retta via… Vediamo cosa sortisce.
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