diMaria Teresa Meli
«Darò le mie tre preferenze. Alla segretaria, a Matteo Ricci e all’ex direttore di Avvenire»
Goffredo Bettini, il tema pace è entrato in questa campagna elettorale. Qual è la sua opinione?
«Arrivare alla pace è una priorità assoluta. Il mondo si sta incendiando attorno a noi. Se si pronuncia la parola “pace” come un valore assoluto che non va condizionato da troppi “se” e “ma”, potremo arrivare con più probabilità a far tacere le armi. Perché, se dici “pace”, spingi verso una trattativa e un compromesso giusto. Se usi un linguaggio guerresco, alla fine seminerai solo odio, trasformando tutti i tuoi avversari in subumani, meritevoli di morire. È nella logica dei conflitti. Questo non significa ammorbidire la condanna a Putin, o giustificare il sanguinario terrorismo di Hamas. Piuttosto, significa combatterli meglio, imponendo il tuo terreno e non subendo il loro. È la pace che deve ispirare la geopolitica e non la geopolitica ridurre l’aspirazione alla pace».
Nel Pd fanno discutere le posizioni di Tarquinio.
«Che facciano discutere è naturale, che siano un contributo prezioso, a mio giudizio, è indiscutibile. Siamo un partito pluralista, ogni sintesi del gruppo dirigente sarà più ricca se si esprimono liberamente sensibilità diverse, a patto che siano autentiche. Su questi argomenti, la radicalità di Tarquinio è un’eco vivida dei sentimenti del Papa».
Come giudica le liste dem e in generale lo stato del Pd?
«È nettamente migliorato. La Schlein ha definito meglio il suo profilo sull’ambiente, sui diritti, sul lavoro e sulla lotta alle disuguaglianze. Ha il merito di una campagna elettorale intelligente ed efficace. Sono molto fiducioso sul nostro voto. Anche perché le liste suonano vari tasti, ognuno dei quali si rivolge a un settore diverso dell’elettorato. Sommandosi, non elidendosi».
Per chi voterà?
«Al centro Italia, ci sono cari amici e alcune grandi personalità. Dalla Schlein a Zingaretti, da Nardella a Marco Pacciotti. Si possono esprimere solo tre preferenze e bisogna scegliere. Voterò la Schlein, la nostra capolista, per il suo impegno e perché simbolicamente rappresenta tutto il Pd. Poi Matteo Ricci, straordinario amministratore, sindaco di Pesaro, e tra i migliori politici di una generazione più giovane della mia. Infine Marco Tarquinio, per le ragioni dette. Non è un’indicazione contro qualcuno, ma in positivo».
Che voto dà alla campagna elettorale di Elly Schlein?
«Otto, ha lavorato con grande generosità ed è riuscita a far comprendere che il voto più naturale per chi vuole combattere la destra italiana e il governo Meloni è quello al Pd».
E che voto dà invece a quella della Meloni?
«Paga tante promesse non mantenute. E poi, questo piglio plebiscitario sul premierato, con la frase infelice “o la va o la spacca”, non è proprio in sintonia con il sentimento degli elettori. In passato non ha portato fortuna a chi l’ha voluto evocare».
Nel Pd comandano ancora troppo le correnti? O il pluralismo porta inevitabilmente al correntismo?
«Il pluralismo è nel Dna del Pd. Le aree politiche, se producono idee, sono un bene prezioso. Le correnti, intese come soggetti che trattano sul potere, sono invece un male da superare. In tutta la mia vita non ho mai alimentato una corrente. E oggi, se scelgo i candidati ricordati prima, non è certo per aggregare catene di comando. Tarquinio è un indipendente, e tale rimarrà. Ricci condivide solo in parte le mie posizioni ed è libero da ogni appartenenza correntizia».
Nel suo libro «Attraversamenti» fa capire quanto il «centro» sia essenziale per vincere. Davvero, come lei lascia intendere, può essere Rutelli a riaggregare quell’area, o pensa ad altre figure?
«Il governo attuale non è sostenuto dalla maggioranza degli italiani. In queste elezioni sono convinto che saranno di più i voti all’opposizione. Questo sarà decisivo per costruire l’alternativa. Il Pd è motore fondamentale di questa alternativa. Ma occorre unire tutta la sinistra, il M5S e riportare su posizioni unitarie un’area liberale e libertaria, che nella storia della Repubblica ha rappresentato sempre il 10% dell’elettorato. Su Rutelli nel mio libro ho semplicemente sottolineato un attestato di stima. Non ci sono tanti leader in giro con il suo talento».
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