«Sono felice. Quando ho saputo di essere entrato, con il mio progetto “ItaliaMare. Viaggio nell’architettura del razionalismo mediterraneo” nella terna finale delle proposte curatoriali del Padiglione Italia alla diciannovesima Biennale Architettura di Venezia, in programma da maggio a novembre 2025, è stata un’emozione grandissima. Parliamo di un incarico prestigioso, una vetrina internazionale, credo sia il sogno di tutti gli architetti, di poter sviluppare una propria idea, una propria narrazione, in uno spazio straordinario, fascinoso, ma, per le sue dimensioni, non facile da allestire, come le Tese delle Vergini all’Arsenale». Cherubino Gambardella, classe 1962, docente universitario, architetto e designer, è palesemente imbarazzato. Uomo di mondo, al punto da aver ispirato il personaggio di Jep Gambardella al Paolo Sorrentino di «La grande bellezza», risponde con riluttanza alle domande: da buon napoletano è scaramantico.
Un bel riconoscimento, Gambardella.
«Sono orgoglioso, anche perché in questa terzina ci sono colleghi bravissimi come Massimo Alvisi e il suo pool e Guendalina Salimei. Ci tengo tantissimo, inutile negarlo, ma preferirei non pensarci, cerco di difendermi dalle aspettative, il risultato è ancora tutto da raggiungere, in caso di sconfitta, la ferita sarebbe dura da cicatrizzare. In ogni caso sarà una bella sfida a tre».
L’ultima parola ora spetta al ministro della Cultura Alessandro Giuli.
«E credo che saprà individuare la proposta curatoriale più idonea, quella che restituisce una visione innovativa e non convenzionale del panorama dell’architettura italiana contemporanea. Questo bando dava, per la prima volta dal 1975, quando è nata la Biennale Architettura, la possibilità a tutti coloro che hanno i requisiti giusti di partecipare, mi è sembrata una bella occasione e mi sono detto: perché no?. Ed eccomi qui, alla finalissima, dopo aver superato una cinquantina di aspiranti curatori. Finora non c’è stato nessun meridionale, se dovessi essere scelto, sarebbe per me un onore essere il portavoce di una Napoli creativa, capace di immaginare e abitare il futuro. Nel caso di vittoria, inviterò giovani architetti a completare con me l’allestimento delle Tese».
Il progetto è, e deve restare, segreto, ma dal titolo viene in mente lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli, l’utopia realizzata da Adriano Olivetti e Luigi Cosenza.
«Non posso dire molto. Ho ragionato intorno agli esiti del razionalismo italiano di impronta mediterranea prima e dopo la seconda guerra mondiale, in particolare durante il boom economico e fino ai Settanta del secolo scorso, gli anni in cui nasce il postmodernismo dalle ceneri del Movimento Moderno».
Ha tenuto conto anche del tema della Biennale Architettura 2025, indicato da Carlo Ratti, «Intelligens»?
«Intelligenza, certo. Naturale, artificiale, collettiva. L’intelligenza è tema fondamentale del razionalismo mediterraneo che ha il mare alla base e la forza autonoma del paesaggio di adattamento, di cambiare, modellandosi anche grazie ad architetture di basso impatto, ben inserite. Assolutamente non mimetiche, bensì capaci di aiutare i paesaggi a trovare bellezza. Mentre lavoravo, avevo Procida, le isole, le due costiere amalfitana e sorrentina davanti agli occhi. Ho portato nel mio progetto Napoli, il Sud».
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