Diritti tv, libri antichi, opzioni strappate e mai esercitate, l’acquisto di un appartamento a Milano. Pesanti accuse o un dossier confezionato a tavolino? Nella spy story che coinvolge Gabriele Gravina adesso spuntano anche alcuni bonifici, denaro proveniente dall’Inghilterra e finito nelle tasche del numero uno del pallone italiano. E una fattura, in particolare, sempre tra società inglesi, per la Guardia di Finanza potrebbe essere la chiusura del cerchio.
La vicenda è nota. L’indagine su Gravina era stata avviata dal finanziere Pasquale Striano, indagato dalla Procura di Perugia per il caso dei presunti accessi abusivi alle banche dati della Direzione nazionale antimafia, dopo i dossier portatigli brevi manu dal consulente Emanuele Floridi, considerato vicino al presidente della Lazio, Claudio Lotito.
Gravina, presidente della Figc, è indagato per appropriazione indebita e autoriciclaggio: avrebbe incassato – secondo l’accusa – una provvigione su una consulenza sui diritti tv della Serie C, quando ne era a capo nel 2018, attraverso delle opzioni sulla sua collezione di libri antichi, utilizzandola per l’acquisto di un appartamento a Milano per la figlia della compagna. La richiesta di un sequestro preventivo ai suoi danni è stata rifiutata ma nel decreto di rigetto è ricostruito il complesso giro di denaro attraverso cui sarebbe avvenuto l’illecito. Con una grossa novità, appunto: 200mila euro della fantomatica “Ginkgo”, società londinese su cui erano girate tante voci negli ultimi mesi, e di cui gli inquirenti hanno trovato effettivamente riscontro.
Le opzioni concesse sulla sua collezione di libri infatti sono state due, tanto da parlare di “sistematico ricorso” a questi contratti. Gravina invece ha sempre rivendicato che gli accordi intercorsi per la vendita della sua collezione erano “reali ed effettivi”. La prima, già raccontata dal Fatto negli scorsi mesi, era in favore di Marco Bogarelli: il re dei diritti tv, molto vicino a Gravina prima della morte nel 2021, aveva versato 350mila direttamente sul conto della figlia della compagna, per l’acquisto dell’immobile. Una volta non esercitata l’opzione, però, Gravina quel prestito l’aveva restituito, con un bonifico tracciato e documentato. I pm avanzano dei dubbi su come ciò sia avvenuto.
Qui subentra Ginkgo. Nel giugno del 2019, ISG (a cui la Lega Pro di Gravina aveva affidato una ricca e controversa consulenza) sottoscrive sempre per tramite di Bogarelli un contratto con Ginkgo Investment Ltd: si tratta di una società inglese riconducibile a Gianni Prandi, noto imprenditore titolare di Assist Group, in rapporti personali e commerciali con Gravina e la Figc. Pochi mesi dopo, a settembre 2019, la stessa Ginkgo si fa avanti con la Mizar, il curatore incaricato da Gravina per vendere la collezione, e conclude (attraverso l’intermediario Wallector, società internazionale partner di Mizar) un accordo dal valore complessivo di 700mila sterline, versando un acconto di 180mila.
L’abboccamento sarebbe stato favorito da Emanuele Floridi, esperto di marketing, in passato collaboratore di Gravina con cui poi ha rotto, individuato nelle carte come la fonte delle ipotesi accusatorie (su cui sono avvenuti gli accessi abusivi da parte del finanziere Pasquale Striano). Alle trattative ha partecipato Giuseppe Ciocchetti, altro nome noto nei dei diritti tv che gravita intorno alla FederCalcio di Gravina. Davanti ai pm, Prandi ha sostenuto di non sapere nemmeno che la collezione fosse di Gravina, prima delle notizie di stampa. Poi arriva il Covid, l’acquisto sfuma e Gravina trattiene la caparra: per la precisione, incassa da Mizar cinque bonifici per l’importo esatto di 200.847 euro tra il 7 novembre e il 30 dicembre 2019, che sono il frutto della somma trasferita da Wallector a Mizar sulla base dell’opzione venduta a Ginkgo, poi non esercitata e quindi non restituita.
In cambio, Gravina consegna a Mizar alcuni volumi come commissione. Parte dei soldi viene utilizzata da Gravina per pagare le rate di un mutuo acceso presso la Banca del Fucino per restituire il prestito a Bogarelli. Insomma, la compravendita per tramite di Ginkgo sarebbe stata fittizia, col solito schema dell’opzione non esercitata. E sarebbe servita a far tornare a Gravina una parte dei soldi usciti dalla Lega Pro in direzione di ISG, estinguendo il debito con Bogarelli che intanto aveva anticipato con un prestito ponte la liquidità necessaria per l’appartamento.
Questa sarebbe la chiusura del cerchio secondo i pm. Che però non hanno convinto il giudice per le indagini preliminari, per cui la tesi accusatoria non è stata provata e non si integra il reato di autoriciclaggio: la richiesta di sequestro di 140mila euro infatti è stata rigettata. Tra le motivazioni addotte, anche la scarsa attendibilità della testimonianza di Floridi. Ma il Riesame si è riservato di decidere sul ricorso presentato dalla Procura. “In udienza abbiamo ribadito le argomentazioni del Gip. Il presidente Gravina può andare a testa alta forte dell’assoluta correttezza delle sue condotte”, affermano i suoi legali.
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