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Questo strano 2020 era partito bene per la micro-impresa di Maxim e Anna Bondarev, marito e moglie, 29 anni a testa, organizzatori di eventi per privati e aziende. Il fatturato era in pieno decollo, grazie anche al successo di una festa d’inverno in una ricca casa moscovita con renne al galoppo, slitte ottocentesche e neve autentica. Il tutto nel gennaio più caldo e meno bianco che la Russia ricordi. Se ne era parlato, in città. Ed erano subito arrivate laute commesse. Poi, la pandemia. I giovani titolari di prostorad.com hanno dovuto ripiegare le ali. Rischiano di non riaprirle. Anche perché di quanto annunciato dal Cremlino in aiuto alle piccole imprese, parte non esiste nella realtà e il resto è troppo complicato da richiedere, quasi impossibile da ottenere e talvolta inutile. «Dal governo sono arrivate solo belle parole, nessun provvedimento concreto», dice la Bondareva al Riformista.

«Le informazioni sono confuse, e i cavilli per accedere ai benefici praticamente insormontabili». Vi ricorda qualcosa? Magari in Occidente qualcuno ne osanna la presunta efficacia ma il regime putiniano non si sta rivelando più attrezzato delle democrazie liberali, in questa emergenza. E i piccoli imprenditori russi sono parecchio arrabbiati. Forse anche più dei nostri. Annunciando il lockdown in diretta tivù, Vladimir Putin definì «vacanze pagate» le temporanee chiusure aziendali. Era il 25 marzo. Venti giorni più tardi il presidente ha spiegato che per continuare a pagare gli stipendi le aziende costrette alla pausa avrebbero goduto di prestiti bancari a tasso zero garantiti dal governo. Si è poi scoperto che però il tasso dopo i primi sei mesi sale al 4%. E che chi ha contenziosi aperti o debiti anche minimi e solo “tecnici” col fisco viene automaticamente escluso.

I prestiti, poi, coprono solo il salario minimo: 20.195 rubli (circa 250 euro), a Mosca. Dove lo stipendio medio ammonta a 88,800 (poco più di 1.100 euro) e una stanza in affitto anche in un quartiere un po’ così a meno di 200 euro non la trovi. Inoltre, non si capisce bene quali siano le imprese «più colpite» da privilegiare. Né come e quando venga controllato il rispetto del parametro fondamentale del mantenimento del 90% della forza lavoro. Di certo, non tutti gli istituti di credito sono coinvolti nello schema e hanno accesso ai 150 miliardi di rubli ad hoc allocati dalla banca centrale: «Non abbiamo ricevuto né comunicazioni né direttive dalle autorità politiche e monetarie, quindi non possiamo erogare i prestiti a tasso zero garantiti dallo Stato», dice al Riformista la responsabile dei crediti alle piccole e medie imprese di una banca russa, chiedendo l’anonimato.

«Stiamo cercando di agevolare i nostri clienti durante questa crisi, certo. Ma basandoci solo su nostre valutazioni, e sui normali tassi d’interesse fissati dall’istituto di emissione», spiega la manager dalla postazione di telelavoro nella sua dacia fuori Mosca. La banca centrale il 24 aprile ha abbassato il costo del denaro di mezzo punto portando il tasso di riferimento al 5,5%, il livello più basso dal 2012. Tra gli imprenditori che hanno provato a chiedere i prestiti garantiti, oltre il 33% se li è visti rifiutare perché mancava qualche documento, perché la banca non era abilitata a darli o per altri motivi, rileva un sondaggio fatto dalle Camere di commercio della Russia tra il 20 e il 27 aprile. Per testare il sistema, lo stesso ministro dell’Economia Maxim Reshetnikov – come ha raccontato su Instagram – si è finto imprenditore e ha chiesto il prestito: non gliel’hanno dato. Un 62% degli aventi diritto non ci ha neanche provato: «Sono soldi che poi dovremo restituire, e non sapendo quando potremo riprendere le attività né in quali condizioni sarebbe una spada di Damocle», dice Maxim Bondarev. «Come rimborsare poi la banca? Quanto durerà la crisi? Quanti prestiti saranno necessari? Meglio cercar di sopravvivere con le nostre forze».

Dipendenti e affitto di uffici e magazzini, per ora meglio pagarli di tasca propria. Per gli affitti, come per le tasse, c’è la possibilità di dilazioni. «Ma alla fine si paga, il problema resta. Il posticipo dell’affitto, poi, vale solo per alcuni tipi di contratti, e non per i più comuni. Ho provato: niente da fare». Secondo il sondaggio delle Camere, gli aiuti governativi hanno dato poco sollievo: un terzo degli imprenditori intervistati ha definito la loro situazione «peggiorata» nel giro di una settimana. Di conseguenza, il 21% dei dipendenti sono stati messi in ferie, a loro spese: «Mi hanno mandato a casa senza stipendio, mi diranno poi se si riapre o se mi licenziano», racconta al Riformista Olga, 53 anni, cameriera nel ristorante di un centro commerciale a Odintsovo, sobborgo della capitale. Altro che “vacanze pagate”. A un 14% di dipendenti intanto sono stati tagliati i bonus, che nel destrutturato e poco protettivo mercato del lavoro russo spesso non sono altro che una parte di salario diversamente tassata: Oksana, 29 anni, impiegata di un’agenzia di pubblicità, si è ritrovata con il 40% in meno in busta paga. «Lo chiamano bonus, ma non è mai stato davvero legato alla performance», ci spiega. «Eppoi mi hanno levato anche quello di marzo, quando ancora le cose funzionavano e il mio team aveva raggiunto obbiettivi record.

Le Camere di commercio registrano che nell’ultima settimana di aprile il 21% delle imprese aveva iniziato a licenziare parte dei dipendenti e che l’8% ha intenzione di farlo nel prossimo futuro. Negli ultimi due mesi oltre 700mila russi hanno perso il lavoro, portando i disoccupati ufficiali a quota 1,2 milioni. Potrebbero aumentare a oltre 6 milioni, avverte il ministero della Protezione sociale. La banca centrale prevede una contrazione del Pil di oltre il 5%. Molti economisti se la aspettano del 10%. Putin ha promesso più aiuti a imprese e cittadini. Il suo ministro Reshetnikov è il primo a non farsi illusioni: «Non siamo nell’Ue, non possiamo emettere riserve “in valuta”: ci sono limiti alla nostra politica economica». Centinaia di migliaia di piccole aziende potrebbero sparire. È un settore da sempre sotto pressione per la corruzione, la sclerosi burocratica e la scarsa certezza del diritto.

Conta per un quinto della ricchezza nazionale. Al Cremlino non sembrano preoccuparsene granché: lo zoccolo duro del sostegno al regime è nelle grandi aziende statali o legate alle commesse di Stato. Il rischio, avverte Yaroslav Kuzminov, preside della prestigiosa scuola di economia Hse, è quello di un generale impoverimento della classe media – la cui creazione fu la grande novità degli anni Duemila, in Russia. «Non c’è alcun piano per salvare un settore in particolare, le misure di supporto devono riguardare tutti», ha tagliato corto il portavoce di Putin Dmitri Peskov. La classe media e in particolare i piccoli imprenditori esprimono una delle parti politicamente più attive della società civile russa. E più pronte alla protesta. Lo zar se la sta definitivamente giocando.

 

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