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Trovati in tutte le Regioni in cui sono stati cercati, Emilia-Romagna compresa, i Pfas (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche conosciute anche come “forever chemicals” ovvero inquinanti eterni). A questa conclusione arriva l’analisi di Greenpeace “Contaminazione da Pfas in Italia”, basata sul database ISPRA. L’associazione fa notare come controlli e analisi in alcune regioni siano  assenti. 

Cosa rileva lo studio

Le analisi fatte in Italia tra il 2019 e il 2022 in merito alla presenza di Pfas nelle acque superficiali e sotterranee rilevano che sono 18 mila, con una contaminazione presente nel 17%1 dei risultati. 

Basilicata (31%), Veneto (30%) e Liguria (30%) sono le Regioni con la più alta percentuale di analisi positive: “La fotografia dei controlli degli enti preposti è sconcertante – fa notare Greenpeace Italia – quasi il 70% delle analisi nazionali è stato eseguito in sole quattro Regioni del nord Italia (Veneto e Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia), mentre il restante 30% è distribuito nelle altre 12  interessate dalle verifiche, creando una sproporzione in termini di numero e accuratezza. Per intenderci – spiega l’organizzazione ambientalista – mentre nelle quattro Regioni del nord Italia si sono svolti i due terzi delle analisi fatte in tutto il territorio nazionale tra il 2019 e il 2022, nelle altre il contributo al totale delle analisi effettuate non supera la soglia del 10%”. 

Concentrazioni di Pfos e Pfoa

PFOS (acido perfluoroottansulfonico) e PFOA (acido perfluoroottanoico) appartengono alla famiglia delle sostanze organiche perfluoroalchiliche (PFAS). 

Già una decina di anni fa, fu rinvenuta la presenza di Pfos (una sostanza prioritaria da monitorare nelle acque superficiali) in Veneto, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano. In particolare, in Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio e Liguria fu rilevato un numero più alto di stazioni in cui la concentrazione di Pfos era superiore a 0.65 ng/l, il valore di riferimento per il corrispondente SQA.

Anche il Pfos, oggi classificato come cancerogeno per gli esseri umani, fu trovato quasi ovunque, ma in concentrazioni più elevate in Veneto.

Oltre al Veneto e alla zona piemontese contigua alle attività di Solvay (Torrente Bormida di Spingo e fiume Tanaro, nelle vicinanze di Alessandria), le più alte concentrazioni di Pfoa– molecola «cancerogena per gli esseri umani» – sono state rilevate in Lombardia. Ma accanto a questa Regione – dove Greenpeace Italia ha già verificato la presenza di Pfas nelle acque a uso umano – contaminazioni comparirebbero – sempre stando allo studio – anche in Emilia-Romagna e Lazio.

Nel dettaglio, nel 2022 il Pfoa sarebbe stato rilevato in:

●    Piemonte: Fiume Dora Baltea (Vercelli) e Torrente Scrivia (Alessandria);

●    Emilia-Romagna: Comune di Savignano – Frazione Capanni (Forlì-Cesena);

●    Lombardia: Torrente Molgora, Lavagna e Cavaione (Milano), Comune di Ottobiano (Pavia);

●    Lazio: Comune di Roma, nei pressi di Ponte Galeria.

La situazione a Bologna e in Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna tra il 2019 e il 2022 la concentrazione è di 0,0723 µg/l (microgrammi per litro) quanto ai campionamenti del Fiume Rubicone, nelle pressi di Savignano (Forlì-Cesena). Criticità sono state riscontrate nei fiuni del ravennate, nelle zone di Comacchio e Canossa. I dati Ispra e Arpa forniti da Greenpeace rilevano che nel 2022 il Pfas era presente sia nelle acuqe sotterranee che superficiali interne. 

“L’Emilia-Romagna paga a monte, dalla zona di Alessandria, che scarica nel Tanaro e quindi nel Po – ha detto a Bologna Today Giuseppe Ungherese responsabile comapgne inquinamento di Greenpeace che sull’argomento ha pubblicato un libro “Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua” (ed. Altraeconomia9  – ma non è una novità – fa notare – si tratta di sostanze nocive note sin dagli anni ’30. Le cause della concentrazione di questi inquinanti sono molteplici, dagli scarichi, ai rifiuti, ai fanghi utilizzati come concimi, che possono finire nelle acque potabili e nei cibi. Uno scenziato ricorda che si tratta di molecole simili a quelle dell’amianto che cioè non cuasano effetti a breve termine, ma bastano piccole quantità per dare un falso segnale al nostro organismo”. 

I prelievi di Arpa nel 2019 hanno riscontrato la presenza di Pfas nel canale Navile, a Malalbergo, e nel Reno, in località Traghetto (FE). 

La recente esplosione alla centrale elettrica di Bargi, che ha fatto sette vittime, ha portato all’intensificazione dei monitoraggi da parte di Hera delle acque prelevate dal lago di Suviana “senza registrare alcuna anomalia. Peraltro, il servizio idrico per i comuni di Alto Reno Terme (frazione di Porretta), Castel di Casio, Gaggio Montano, alcune frazioni di Grizzana Morandi e di Vergato, è pienamente presidiato dal successivo processo di potabilizzazione dell’impianto Hera di Suviana” fa sapere la multiutility. 

Lo studio Unibo 

Gli effetti dei PFAS sulla salute umana e sull’ambiente sono stati analizzati recentemente con un’analisi comparativa trascrizionale – pubblicata sulla rivista Toxics e realizzata da studiosi dell’Alma Mater e dell’Università di Padova – confermando che gli effetti dell’esposizione ai PFAS vengono conservati a livello molecolare sia in diversi tessuti che in diverse specie, e produce conseguenze sia nell’uomo che in altre specie animali.

“Dalla nostra analisi abbiamo identificato e riportato diversi geni che mostrano una risposta trascrizionale coerente ed evolutivamente conservata ai PFAS”, dice Federico Manuel Giorgi, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. “Questi risultati mostrano per la prima volta che diverse molecole di PFAS influenzano vie ormonali e vie metaboliche, aumentando ad esempio i meccanismi di accumulo degli acidi grassi e indebolendo il sistema immunitario”.

“A causa della loro alta stabilità molecolare – spiegano da Unibo – infatti, questi materiali finiscono per diffondersi ampiamente nell’ambiente, dove possono permanere per anni. In particolare, i PFAS si riversano in grandi quantità nei bacini idrici, da dove possono percorrere grandi distanze, entrando nell’ecosistema acquatico e risalendo la catena alimentare fino agli esseri umani. Tracce di queste sostanze sono state individuate nel latte materno, nella placenta, nel siero, nel liquido seminale e nei capelli”, ma, nonostante queste evidenze, fino a luglio 2023 del non era stata realizzata un’analisi complessiva di tutti i dati raccolti sul tema. Gli studiosi hanno quindi raccolto 2.144 campioni di sette diverse specie animali per esaminare le risposte a livello molecolare dell’esposizione ai PFAS.

“Il nostro obiettivo – spiega Giorgi – era evidenziare gli effetti molecolari indotti dai PFAS non solo al livello dei singoli geni, ma anche su varie vie molecolari e tipologie cellulari. La nostra ricerca offre così una visione completa dei meccanismi molecolari alla base della tossicità dei PFAS, in modo da offrire dati solidi su cui basare le scelte necessarie per la salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente”.

Utilizzo dei Pfas

  • Per conferire proprietà antiaderenti alle superfici interne delle pentole. 
  • Alcuni PFAS sono utilizzati in detergenti, lucidanti per pavimenti e vernici al lattice, come emulsionanti, tensioattivi o agenti umettanti.
  • Alcuni PFAS sono utilizzati alla fine del processo di produzione per trattare tessuti, rivestimenti, tappeti e pelle per conferire resistenza all’acqua, all’olio, al suolo e alle macchie;
  • negli articoli medicali per impianti/protesi mediche e per prodotti come teli e camici chirurgici in tessuto non-tessuto per renderli impermeabili ad acqua e olio e resistenti alle macchie;
  • nella placcatura di metalli;
  • nella lavorazione del petrolio e nella produzione mineraria;
  • nella produzione di carte e imballaggi oleorepellenti e idrorepellenti (OECD/UNEP, 2013);
  • nella produzione di tessuti, pelle, tappeti, abbigliamento e tappezzeria (ad es. Gore-Text®);
  • nel settore aeronautico, aerospaziale e della difesa, per la produzione dei vari componenti meccanici;
  • nel settore automobilistico, per migliorare i sistemi di erogazione del carburante e per prevenire infiltrazioni di benzina;
  • nella produzione di cavi e cablaggi, grazie alla bassa infiammabilità;
  • nell’edilizia, per rivestire materiali che diventino resistenti agli incendi o agli agenti atmosferici (come tessuti di vetro, piastrelle, lastre di pietra, cemento o metalli). Inoltre, sono utilizzati come additivi nelle pitture;
  • nel settore elettronico, grazie alle proprietà dielettriche e idrorepellenti;
  • nel settore energetico, per coprire collettori solari e migliorare la loro resistenza agli agenti atmosferici;
  • nei prodotti antincendio, come schiume ed equipaggiamenti.

(Fonte: Istituto Mario Negri)

Quando una legge “no PFAS”?

Recentemente l’agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA) ha fissato limiti molto bassi per la presenza nelle acque potabili di sei molecole del gruppo dei PFAS, spiega Greenpeace: “In particolare, per le molecole cancerogene o presunte tali per gli esseri umani (rispettivamente PFOA e PFOS), i valori di sicurezza saranno pari allo zero tecnico. Con questo provvedimento, agenzia statunitense prevede che nei prossimi anni si eviterà esposizione di circa cento milioni di persone ai PFAS attraverso l’acqua potabile, prevenendo migliaia di decessi attribuibili a queste sostanze”.

In Francia dal 2026 sarà vietata la produzione e la vendita di prodotti non essenziali contenenti PFAS. Ovvero cosmetici, sciolina e abiti, salvo quelli per la protezione professionale. Il bando esclude per ora le pentole e altri utensili da cucina. Anche la Danimarca ha imposto importanti divieti per alcuni settori industriali, incluso il tessile.

In Europa le norme in materia ambientale suggeriscono agli Stati membri di monitorare la presenza di inquinanti chimici nelle acque, compresi alcuni degli oltre 10 mila PFAS, ma non è previsto alcun obbligo specifico.

“Nel nostro Paese manca un divieto per lʼuso e la produzione di PFAS, ma non si vedono allʼorizzonte neppure provvedimenti nazionali efficaci a tutela della salute delle persone e dellʼambiente – lamenta Greenpeace – Proprio per questo, nonostante nella maggior parte dei settori industriali esistano da anni alternative più sicure, queste sostanze continuano a essere utilizzate e quindi impunemente sversate, continuando a inquinare e a mettere a rischio la nostra salute. Anche in Italia, come nel resto dʼEuropa, entrerà in vigore a partire dal 2026 la direttiva europea 2020/2184 che fissa dei limiti per la presenza di PFAS nellʼacqua potabile. Limiti che la comunità scientifica internazionale non ritiene cautelativi per la salute umana. In virtù di questo, numerose nazioni hanno già adottato limiti più severi”. 

Per Greenpeace Italia “i dati relativi alla presenza di PFAS in Italia confermano un’emergenza nazionale diffusa e fuori controllo, che interessa non solo le aree già note (alcune province del Veneto e dellʼalessandrino in Piemonte), ma anche numerose altre zone del Paese. Di questo quadro, già grave, non si ha una fotografia completa vista lʼinefficacia dei controlli in numerose Regioni, pertanto  la  situazione potrebbe essere decisamente peggiore. Lʼinazione politico-legislativa dunque aggrava la situazione”.

“Mancanza di dati”

Il confronto tra il database nazionale ISPRA e i database forniti dalle Agenzie Regionali per la Protezione dellʼambiente ha rilevato la presenza di alcune differenze. Nello specifico, risulterebbero monitorati dalle ARPA, ma assenti nel database pubblicato da ISPRA:

I valori di PFAS / PFOS nelle acque superficiali di:

●    Puglia e Sardegna per gli anni 2020-2022

●    Provincia Autonoma di Trento, per gli anni 2021-2022

●    Sicilia per il 2020;

●    Campania per il 2021;

●    Basilicata per il 2020.

I valori di PFAS / PFOS nelle acque sotterranee di:

●    Basilicata e Campania per gli anni 2021-2022;

●    Sicilia per il 2020;

●    Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Bolzano per il 2020 e il 2022.


 

 

 

 

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