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Palazzo di Intesa Sanpaolo – Milano, 2019

ROMA, 21.05.20 – A seguito di una campagna di pressione tutt’ora in corso da parte di Greenpeace e Re:Common, Intesa Sanpaolo ha reso noto di aver adottato una policy che limita i finanziamenti della banca torinese al carbone, il più inquinante tra i combustibili fossili. Dopo Assicurazioni Generali e UniCredit, Intesa è la terza istituzione finanziaria italiana a compiere un passo simile.

Tuttavia da quanto emerge dalla “versione sintetica” del documento approvato, la mossa – peraltro tardiva – di Intesa manca di ambizione e credibilità. Sebbene l’istituto torinese si impegni a non finanziare più in maniera diretta la costruzione di nuove centrali e miniere a carbone, non vi è alcuna limitazione rigorosa per quanto riguarda i prestiti alle società.

Intesa Sanpaolo applica inoltre un inaccettabile doppio standard tra paesi OCSE e quelli in via di sviluppo, che non ha precedenti tra policy di altre banche europee. Per quanto riguarda questi ultimi, Intesa ha adottato criteri molto più blandi, che le consentiranno di continuare a finanziare copiosamente il carbone in Asia ed in Africa.   

Altrettanto preoccupante è che Intesa voglia continuare a finanziare persino quelle società che ancora oggi prevedono di realizzare nuove centrali a carbone, nonostante gli appelli della scienza e delle Nazioni Unite a porre immediatamente una moratoria su questi impianti.

Una nota positiva della policy riguarda le acquisizioni di centrali a carbone da parte di società energetiche. Intesa sembra escludere i finanziamenti per questo tipo di operazioni, quando risultano in un aumento della capacità installata a carbone.

Come rivelato dal rapporto “Finanza Fossile”, pubblicato lo scorso mese da Re:Common e Greenpeace, nel 2019 Intesa Sanpaolo ha prodotto emissioni di CO2 pari a 35 milioni di tonnellate, superiori a quelle dell’intero comparto agricolo italiano lo stesso anno.

Dal rapporto, si evince che Intesa stia finanziando alcune delle società più inquinanti in Europa, come la tedesca RWE e la finlandese Fortum, che ha recentemente acquisito il colosso del carbone Uniper. Nel solo 2019, l’istituto torinese ha concesso prestiti a queste due aziende per un totale di 830 milioni di euro.

Lo scorso febbraio, gli attivisti di Greenpeace erano entrati in azione presso la sede milanese di Intesa Sanpaolo, per denunciare gli investimenti della banca nel carbone ed in particolare il finanziamento concesso al gruppo indiano Adani, promotore della miniera di Carmichael in Australia.

Il passo compiuto da Intesa non può certo considerarsi come una risposta soddisfacente alle richieste degli attivisti. La policy non è infatti minimamente all’altezza di quelle delle sue competitor europei, come Credit Agricole e ING.

Risulta anche inferiore a quella adottata dalla sua diretta concorrente Unicredit. Sebbene anche quest’ultima sia ancora insufficiente, l’istituto milanese ha compiuto un passo in avanti rispetto ad Intesa, impegnandosi a ridurre i propri finanziamenti anche ad altri settori fossili come l’estrazione di petrolio e gas nell’Artico.

«È del tutto inaccettabile che una delle maggiori banche italiane applichi un doppio standard tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo in materia di inquinamento e clima. Le popolazioni di paesi come il Vietnam o l’India, attualmente investita dal più potente ciclone degli ultimi 20 anni, non possono essere considerate come “sacrificabili”», commentano Greenpeace e Re:Common. «Si percepisce in modo chiaro che Intesa non voglia ancora impegnarsi in modo concreto per il clima del Pianeta, e questo non è ammissibile da parte di un’istituzione così importante».



 

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