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Anche le banche italiane finanziano ancora i combustibili fossili #finsubito prestito immediato


Nonostante le promesse, le maggiori banche europee continuano a finanziare l’industria fossile. Secondo il reportEuropean banks and transition: time for a reality check” dell’organizzazione non governativa francese Reclaim finance, dal 2021 i 20 maggiori istituti bancari europei hanno realizzato 982 transazioni verso compagnie attive nell’esplorazione, produzione e distribuzione di petrolio e gas, per un valore totale, negli anni fra il 2021 e il 2023, di oltre 200 miliardi di dollari.

Questo nonostante 19 di loro facciano anche parte dell’Alleanza delle banche per la neutralità climatica (Nzba).  E nel rapporto non si menzionano solo i grandi colossi francesi e inglesi (che comunque la fanno da padrone): dal 2021 le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit avrebbero addirittura aumentato i loro finanziamenti al fossile.

“Intesa Sanpaolo ha recentemente aggiornato le proprie politiche rispetto al petrolio e al gas, ma una serie di escamotage le permettono di continuare e aumentare i suoi investimenti nelle industrie fossili, soprattutto per quanto riguarda il gas naturale liquefatto (Gnl),” spiega Susanna de Guio dell’organizzazione italiana ReCommon, che si è unita a Reclaim Finance nel chiedere alle banche di adottare politiche più stringenti al riguardo.

“UniCredit invece si classifica ancora come il maggiore dei finanziatori internazionali di Eni, i cui prestiti ammontano a 7,7 miliardi dall’Accordo di Parigi a oggi, di cui 1,6 miliardi solo nel 2023”, aggiunge de Guio.

Secondo il report, dal 2021 UniCredit avrebbe portato a termine 61 transazioni per un totale di 8.697 milioni di dollari. Intesa Sanpaolo la segue a breve distanza, con 8.641 milioni di dollari per un totale di 91 transazioni. Ma quest’ultima spicca per avere la seconda maggiore crescita nel giro di due anni, attorno al 70%.

Per Intesa Sanpaolo, i clienti principali sono stati le italiane Eni ed Enel (per quanto riguarda soprattutto lo sviluppo di impianti legati al gas), la Saudi Arabian Oil Co, la tedesca Rwe e l’americana NextDecade. Anche Unicredit ha solidi rapporti con Eni, Enel e Rwe, a cui si aggiungono la norvegese Aker BP e la tedesca EnBW Energie Baden-Wuerttemberg.

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Intesa Sanpaolo ha fatto sapere ad Altreconomia di aver assunto da tempo un forte impegno rispetto alle iniziative riguardanti il clima e l’ambiente e che punta a raggiungere le zero emissioni di gas climalteranti nette entro il 2050 per il proprio portafogli di prestiti e investimenti e per l’asset management e l’attività assicurativa. Al 2030 intenderebbe ridurre le emissioni nel settore del petrolio e del gas, le cui emissioni finanziate assolute hanno finora avuto una contrazione del 66,3% in comparazione con giugno 2021.

Contattata da Altreconomia, UniCredit ha invece preferito non commentare fino ad ora i risultati dell’analisi.

L’immagine complessiva che emerge dal report è però quella di un settore in controtendenza rispetto ai requisiti della cosiddetta “Legge sul clima” europea, che prevede di tagliare i gas responsabili del riscaldamento climatico. Secondo quanto stabilito da Bruxelles, entro il 2050 l’Unione dovrà infatti raggiungere la neutralità climatica, ovvero pareggiare i gas climalteranti emessi con quelli assorbiti.

Ma per ottenere un risultato simile su scala globale, l’Agenzia internazionale per l’energia ha stimato che sia necessario fermare immediatamente lo sviluppo sia di nuovi giacimenti di gas e petrolio sia di nuovi impianti per il gas liquefatto. Anche solo consumare le riserve di carbone, petrolio e gas attualmente attive porterebbe infatti a un aumento della temperatura globale ben oltre gli 1,5 o 2 gradi centigradi stabiliti dall’Accordo di Parigi del 2015. E superare questa soglia significa provocare cambiamenti di lunga durata o irreversibili a livello globale, come ad esempio la perdita di alcuni ecosistemi.

Le 19 banche aderenti all’Alleanza per la neutralità climatica hanno formalmente assunto l’impegno di allineare i propri prestiti, investimenti e attività di mercato all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Ma per Reclaim finance, nessuno dei loro piani di transizione si può considerare credibile fino a quando non smetteranno di sostenere l’esplorazione di nuovi giacimenti o la costruzione di terminali per il Gnl.

“I target di decarbonizzazione sono dichiarati nell’ambito dell’Alleanza, che però non fa nulla per controllare se le banche li raggiungono o meno,” spiega Noam-Pierre Werlé, autore del report. Per lui, i dati dimostrano inoltre chiaramente che anche l’argomento per cui sia necessario finanziare le compagnie fossili affinché si preparino alla transizione non è valido. Analizzando i flussi finanziari verso le sei maggiori imprese attive nel petrolio e nel gas con sede in Europa, Reclaim finance ha infatti scoperto che solo il 28% di questi riguardavano attività non legate ai combustibili fossili. E nel caso delle banche italiane le percentuali sono ancora più basse: 12,6% per di Intesa Sanpaolo e 14,5% per UniCredit.

Questo però è possibile anche a causa di regolamenti pochi stringenti. Reclaim finance ha infatti anche classificato le regole adottate dagli istituti bancari negli ultimi anni. Intesa Sanpaolo e UniCredit avrebbero, ad esempio, promosso delle restrizioni che si applicano solo ai finanziamenti di progetti di produzione di petrolio e gas, mentre non avrebbero alcuna regola per limitare i finanziamenti a imprese che operano nella gestione e nello sviluppo di progetti di export di Gnl o anche di sviluppo di nuovi tentativi di esplorazione.

Intesa Sanpaolo ha comunque rimarcato ad Altreconomia che, all’interno di un percorso graduale volto al raggiungimento della neutralità climatica, nel 2024 avrebbe ampliato e integrato le regole per l’operatività creditizia di tutte le sue società nel settore del petrolio e del gas non convenzionale, ovvero quello estratto da rocce scistose, argille e porose tramite la tecnica del fracking, prevedendo l’esclusione del finanziamento ai progetti di estrazione non convenzionali e dei progetti di sviluppo di nuovi giacimenti petroliferi, oltre a escludere quelli a società con ricavi derivanti da risorse non convenzionali e prevedere un’uscita anticipata da queste ultime al 2025. Ha sottolineato inoltre come a partire dal 2021 avrebbe erogato quasi 63 miliardi di euro per iniziative a supporto della transizione ecologica.

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Le cose per le banche europee potrebbero cambiare dal 2025, quando le Direttive sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e sui requisiti di capitale richiederanno loro di sviluppare dei piani per la transizione. Ma per Reclaim finance questi dovrebbero andare un passo oltre, chiedendo alle banche di includere anche strategie che portino alla fine dello sviluppo dei progetti fossili.

Non mancano comunque anche passi in in avanti positivi: le francesi Bnp Paribas e Crédit Agricole hanno deciso di astenersi dall’emissione di obbligazioni per la produzione e l’esplorazione di combustibili fossili. Entrambe le banche possono comunque continuare a realizzare prestiti, anche se si tratta di una attività molto inferiore per volumi, e possono ancora emettere obbligazioni per le imprese attive nella distribuzione, come fa notare Werlé.

Se però tutte le banche ne iniziassero a seguire l’esempio, l’impatto sarebbe già notevole: delle 166 transazioni documentate in totale nel 2024, ben 143 erano infatti obbligazioni

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