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Il caso oggetto della pronuncia qui commentata trae origine da un’opposizione a decreto ingiuntivo per le ormai note motivazioni ovvero: decadenza ex art. 1957 c.c. per non avere la creditrice attivato una tutela giurisdizionale entro i sei mesi dalla scadenza della relativa obbligazione; nullità della deroga pattizia all’art. 1957 c.c. per mancata specifica approvazione ex art. 1341 co. 2 c.c.; la nullità della fideiussione azionata dalla creditrice -ovvero della specifica clausola di deroga all’art. 1957 c.c.- per violazione della normativa cd. antitrust[1]; nullità della fideiussione ex artt. 1418 e 1938 c.c. per mancata previsione dell’importo massimo garantito; interessi di mora usurari.

La pretesa creditoria a monte, nel caso di specie, proveniva da un contratto di fideiussione a garanzia di un finanziamento fondiario in pool[2].

Il Tribunale di Ancona, prima di analizzare le eccezioni sollevate, ha delineato le tre figure negoziali che comportano una progressiva attenuazione delle eccezioni che il garante può opporre al creditore in caso di richiesta di adempimento da parte di quest’ultimo e che così riassumiamo: contratto autonomo di garanzia ed excpetio doli generali; fideiussione tipica parificata al debitore principale e fideiussione con clausola solve et repete che, come noto, consente di sollevare eccezioni solo dopo il pagamento. Fatta la doverosa premessa il Tribunale inquadra il caso di specie come fideiussione specifica con la logica conseguenza (stando ormai all’orientamento prevalente) di non rientrare nell’ambito di applicazione del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 e, pertanto, l’odierno fideiussore non ha potuto giovarsene. Infatti, l’accertamento della Banca d’Italia indicato fa riferimento ad un’intesa illecita sfociata nell’adozione dello schema di contratto dichiarato parzialmente nullo[3], con riferimento alle sole fideiussioni omnibus, la cui caratteristica ontologica è quella di essere prestate per garantire un numero indeterminato di operazioni di credito. Il caso odierno, invece, si riferisce ad un prestito in pool ma relativo ad un finanziamento fondiario. Conseguentemente, nel caso in esame il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia non assolve all’onere della prova. Infatti, nel giudizio de quo, necessaria e dovuta sarebbe stata l’allegazione e dimostrazione (diabolica!) di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito anti concorrenziale lamentato e posto a fondamento dell’opposizione volta all’ottenimento della declaratoria della nullità della fideiussione. Ciò perchè è stato ritenuto che tale provvedimento amministrativo non fornisca la prova dell’esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza in quanto l’effetto di invertire l’onere della prova sussiste solo in caso di fideiussione omnibus, mentre in caso di fideiussione ordinaria, l’attore non può giovarsi dell’inversione dell’onere della prova in presenza della corrispondenza delle clausole del noto e criticato schema ABI e sanzionato dal provvedimento[4].

In conclusione, il provvedimento in oggetto conformemente alla giurisprudenza maggioritaria che pur sinteticamente ripercorre, delinea con chiarezza i limiti dell’inquadramento contrattuale e i relativi regimi probatori.

 

 

 

____________________________________________________

[1] V. art. 2 L. n. 287 del 1990.

[2] Si tratta di un tipo di finanziamento con la presenza di un gruppo di banche che mediante un unico contratto e congiuntamente concedono il credito al medesimo creditore (in caso di importanti finanziamenti).

[3] Vedasi nullità indicata per clausole nn. 2, 6 e 8, con applicazione uniforme e per contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90.

[4] Cfr. Trib. Prato, 16 gennaio 2021, n. 28.

 

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