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«Paga somaro lombardo e taci». Sono passati quarant’anni dalla fondazione della Lega di Umberto Bossi. Secondo la propaganda del Carroccio di allora, Roma era ladrona.

Eccessi di un periodo storico già giurassico.  

Negli anni successivi la Lega è giunta nella capitale. Bossi è stato pensionato. La società e la politica non sono più le stesse.  Roma si è trasformata, ma senza abbandonare il pragmatismo del principe di Salina. Cambiare tutto per non cambiare nulla. 

I lombardi non erano somari a quei tempi e non lo sono tuttora. Forse un po’ ciula.  Brontolavano e continuano a farlo.  Pagavano e pagano.  Ganassa erano e ganassa sono. 

Anche i leghisti sono diversi. Apprezzano la città eterna. E la spada di Alberto da Giussano, prima sempre sguainata, oggi è una spilletta da esibire all’occhiello della giacca. 

A parole i lombardi spaccano il mondo, in realtà assomigliano al Gran cancelliere Antonio Ferrer dei Promessi sposi: «Adelante Pedro con juicio, se puedes».

E quasi sempre il juicio fa chiudere le stalle quando i buoi sono già scappati.  

Roma non era e non è ladrona, ma non ha scordato il passato da capitale dell’impero. Comanda. Impone. Tartassa e infiocina enti locali e cittadini.

Il popolo mugugna. Qualche volta urla.  Ma la sua protesta non oltrepassa le evangeliche voci che gridano nel deserto. Da alcuni anni il popolo si è scoglionato.  Da alcuni anni evita di recarsi ai seggi elettorali. Da alcuni anni ha delegato in bianco. Roma fa. Roma disfa. 

Nelle settimane scorse i Comuni italiani hanno ricevuto la comunicazione ministeriale di una spending review che li riguarda. 

Missile Tomahawk a lunga gittata, il provvedimento ha centrato le terga dei sindaci. Per la proprietà transitiva anche quelle dei cittadini. 

Mal comune non è mezzo gaudio, ma fottuta fregatura generale. E un missile conficcato là dietro non è esperienza piacevole.

Zacc e chi s’è visto, s’è visto. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. E a prenderlo in saccoccia sono sempre gli stessi: il terzo stato e i servi della gleba della politica e della pubblica amministrazione. Quelli che, per dirla con Enzo Jannacci, «e sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re fa male al ricco e al cardinale».

Il Tomahawk si chiama contributo alla finanza pubblica. È previsto dall’articolo 1, comma 533, della legge 30 dicembre 2023, n.213.  Roma si imberta 250 milioni di euro annui dal 2024 al 2028.  I comuni italiani ne perderanno circa 200 l’anno, Province e città metropolitane, 50 milioni. 

Per il 2024 i comuni lombardi lasceranno a Roma circa 47 milioni di euro.

Un detto cremasco avverte «Chei da Bagnol prima i la dà e poi i ta la tol».  Vale anche per Roma. Dà e toglie. È il gioco delle tre carte. Carta vince, carta perde. Vince sempre il banco. Vince sempre Roma, anche senza Giulio Cesare.  E per gli sconfitti resta valido l’avvertimento: vae victis.

Non è semplice per i singoli Comuni calcolare quanto la scure imperiale – da non confondere con il fascio littorio – inciderà sui propri bilanci.

Il calcolo è legato ad alcune variabili. Se non si pretende la precisione assoluta, questi gli effetti della mannaia romana su alcuni Comuni della nostra provincia.

Cremona quest’anno è penalizzata per 375 mila euro, Crema per 129 mila, Casalmaggiore per 40 mila, Castelleone per 23 mila, Pandino per 19 mila, Pieranica per 4 mila, Casale   Vidolasco per 5 mila, Sesto e Uniti per 23 mila, Capralba per 7 mila, Sergnano per 7 mila e 500.  E la giostra durerà altri quattro anni. Chi è appassionato di numeri con una moltiplicazione può calcolare l’effetto finale del missile.  

Un dettaglio aumenta il dolore nel fondo schiena: il Tomahawk colpisce la spesa corrente, quella per i servizi. 

«Anci Lombardia – ha sottolineato il presidente Mauro Guerra –  esprime  forte preoccupazione di fronte ai numeri che quantificano i tagli alle risorse di parte corrente previsti per l’anno in corso e poi sino al 2028, e ribadisce  la  contrarietà, già espressa in occasione della legge di bilancio che li ha previsti, alla riapertura di una stagione di contrazione delle risorse a disposizione di un comparto che negli anni ha già dato un contributo straordinario ai saldi di finanza pubblica e che ora non può sopportare ulteriori tagli» (Anci.Lombardia.it, 11 luglio).

Se i Comuni, soprattutto i piccoli e i microscopici, vorranno mantenere i servizi attualmente erogati saranno costretti a reperire le risorse trattenute a Roma. 

Quattro le possibilità a loro disposizione.

Risparmiano sul costo del servizio a scapito della qualità.

Mantengono il medesimo standard qualitativo, ma riducono il numero delle prestazioni.  Esempio banale limitano gli sfalci del verde pubblico. 

Conservano invariati qualità e quantità, ma impongono il pagamento di servizi oggi gratuiti e aumentano le tariffe per quelli già a pagamento. 

Sopprimono il servizio.

Al netto di tutto questo, non è una situazione drammatica. Non è emergenza.  È un po’ di cacca che i sindaci dovranno spalare. Si aggiunge a quella quotidiana. Basica. Non eliminabile. Grazie Roma.

I Comuni in passato hanno affrontato con successo prove più impegnative. Supereranno anche questa.

Come il sergente Gunny di Clint Eastwood, i sindaci sanno improvvisare e adattarsi. Sanno raggiungere lo scopo. Qualche volta si incazzano e mandano affanculo l’imperatore e i suoi accoliti.  La spending review in questione rientra tra queste volte, con la doverosa precisazione che la critica negativa non scaturisce da pregiudizi politici o da qualsiasi altro genere. Non è un’opposizione a Roma per partito preso. Non è una bocciatura dell’impero. Lo chiarisce il sergente  Gunny: «Il fatto che ci stiamo tenendo per mano non significa che dobbiamo fare lingua in bocca sotto alla doccia».

Un dato è certo: non basta un Tomahawk sparato nelle terga per abbattere Comuni e sindaci.  Roma non è ladrona. Un po’ stronza, sì. 

 



 

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